Tre anni di Fattoria Nannì6 min read

Una piccola ode su dubbi, paure, tecniche e ingegno di Roberto Cantori

Forse Roberto Cantori non era pronto per i 3 bicchieri del Gambero Rosso. Ma andiamo con calma

Il coraggiosissimo importatore Londinese “Passione Vino” fece una grande mossa nell’assumere un personaggio come Marco Celegato, famoso per essere stato  figura chiave di uno dei locali di punta per i winelovers del centro-nord Italia, Il Tabarro a Parma. Devo alla sua amicizia il ricordo di grandi momenti, come la visione incessante dei video del rapper Action Bronson dove racconta varie storie del vino naturale fumandosi nel frattempo uno stuolo micidiale di canne.

Ma la cosa per la quale gli sarò debitore a vita è di avermi introdotto ai vini di Roberto Cantori.

Sapendo della mia passione per il Verdicchio, mi consigliò di chiamare questo suo amico, appena uscito con la prima annata. La cosa più strana fu che nonostante al primo impatto  al palato il vino non mi fosse piaciuto (ah, beata ignoranza!) nacque tra me e Roberto una grande amicizia che mi ha portato poi a conoscere a fondo il suo lavoro. Ma per apprezzarlo al meglio ho dovuto compiere quattro giornate di verticali tra vari produttori marchigiani  per capire che nel suo Verdicchio si nasconde quel “miglio in più”.

Parliamo seriamente ora. Robertino il c… se lo è fatto e anche parecchio. Laureato in Enologia nel 2007 all’Università di Ancona inizia a lavorare in California per Buena Vista nella AVA  Carneros, seguita da una grande esperienza per Il Borro di Salvatore Ferragamo, senza contare sei vendemmie per Moroder, cantina leggendaria dell’anconetano.

E’ a questo punto che, sotto il consiglio di uno dei giovani maestri del Verdicchio, Leopardo Felici, acquista una vigna nel comune di Apiro, nella DOC Verdicchio dei Castelli di Jesi. Dopo sole tre annate riceve i 3 bicchieri del Gambero e viene segnalato come uno dei cinque Verdicchio Boys, giovani produttori con un grande focus su vini di terroir.

La vera rivoluzione del suo lavoro non sta solo nella sua esperienza ma nella  visione di questo grande vitigno italiano. Il Verdicchio, se analizzato sotto il profilo del mercato estero, si presenta come uno spin-off delle più grandi uve bianche.

Porta con sé la mineralità dello Chardonnay di Chablis, le avvolgenze della cera dello Chenin Blanc del Sud-Africa, gli idrocarburi del Riesling della Mosella.

Ma è nella ricerca del nuovo che si cela il genio di Roberto.

Nella sua visione la chiave dell’uva non risiede nell’acidità. Anzi! Nella sua esperienza ci racconta che il Verdicchio tende a perderne tantissima quando nella vasca il potassio scende in campo, creando la sensazione salata che ritroviamo nel vino.

Il vino di Fattoria Nannì  parte dalla vigna, dove l’attenzione si sposta nel conservare molti composti chimici dell’uva come i polifenoli (comprese le loro parti tanniche  che danno un maggiore supporto all’invecchiamento) e i terpeni,  che creano i potenti profumi dei vitigni aromatici ma che nel verdicchio sono sussurrati rispetto ad uve come il Sauvignon Blanc.

Da qui il vitigno marchigiano, grazie ad un lavoro in cantina basato sulla riduzione, ovvero vinificare in ambienti anaerobici senza la presenza di ossigeno, sprigiona un’aromaticità inedita.

Segue qui un racconto dell’assaggio dei quattro vini prodotti fino ad ora dall’azienda.

Vigna Arsicci

Un cru che viene da una vigna di 3 ettari a 450 metri di altitudine nella contrada Arsicci. La vendemmia viene sempre anticipata..

2018 – Grande mineralità e acidità. Il limone e il lime si mischiano ad una pietra bagnata che ammorbidisce la classica mandorla amara del Verdicchio sul finale. Il comparto aromatico e salino rimangono nascosti grazie ad una bassa alcolicità che facilita la beva.

Origini

Prodotto da una vigna di 2,7 ettari di 53 anni, con terreni argillosi e scheletro di arenaria, con alta presenza di carbonato di calcio. Il nome ha due sfaccettature. La prima è collegata alla Denominazione di Origine Controllata, mentre la seconda è legata al fatto che questi terreni sono stati originati dall’erosione del Monte San Vicino.

2018 – Il limone e il lime visti su Arsicci si accostano ora ad una aromaticità che include banana, chewing gum e quel sentore di uva fresca che in una leggera patina di lievito ed acacia inizia a ricordare un Sauvignon Blanc del nuovo mondo (Greywacke Wild)  o delle aree più’ pronunciate sulla maturità della frutta come il villaggio di Quincy vicino a Sancerre. Freschezza assoluta sul palato che in retrogusto porta alla roccia bagnata  e sul finale a note verdi che ricordano il peperone.

2017 – Il colore si addensa grazie all’annata calda. Frutti già maturi e leggermente cotti. Le note citriche si arricchiscono di ananas e sambuco. La bocca finisce in una mandorla amara non propriamente matura. Iniziano qui a sentirsi i primi risultati del batonnage, dove un profumo di farina lievitata inizia ad abbracciare i sentori più calcarei.

2016 – L’invecchiamento su questa annata fresca dirige l’aromaticità verso note vegetali, fino al cavolo fresco. La riduzione presente al naso con il profumo di fiammiferi bruciati accentua la mineralità e la pietra bagnata data dalla combinazione tra il  terreno calcareo argilloso di Apiro e “l’expertise” dell’enologo (cercate un Sauvignon Blanc di Rippon e capirete le assonanze). Grandissima acidità con una forte struttura che ancora non si era presentata nei vini precedenti, che risultavano essere più’ acquosi. Il palato viene riempito dalla cera d’api mentre l’amarotico diventa più’ presente e robusto.

Ho chiesto a Roberto a cosa deve i Tre bicchieri al suo Origini ‘18. Lui ha posto l’attenzione sul  suo progetto, al sistema ecosostenibile, al rispetto per il territorio di Apiro. Ma ha anche spiegato quanto sia difficile muoversi tra la soddisfazione di un  premio come questo e le responsabilità che con esso arrivano.

Non è nel suo carattere tirarsela. Rimane semplice, umile e modesto nonostante sia consapevole di essere uno dei più preparati sia nel suo lavoro di enologo sia come degustatore e confesso che molti tecnicismi enologici e note di degustazione sul Verdicchio le ho apprese da lui.

Ama la sua terra e non cerca mai lo scontro a meno che non si debba difenderla dalle accuse sulla sua qualità. Storico fu un suo intervento contro l’imbottigliamento fuori zona durante una riunione del consorzio sulla presenza delle Marche al Vinitaly.

Roberto ha giocato il futuro della sua carriera e della sua famiglia nella visione del Verdicchio del Castello di Apiro. E’ alla sua terza vendemmia, è enttrato fin da subito sotto gli occhi della stampa di settore e così  non si può permettere di fallire.

Forse  non era pronto per i  Tre bicchieri del Gambero Rosso, ma li ha meritati più di molti altri.

Buon lavoro Robi!

Un grazie a Federico Moccia, assistente capo di 67 Pall Mall, che ha seguito la degustazione insieme a me.

Nelson Pari

Classe 1989, nato nella felliniana Rimini, da 10 anni residente nell’isola di Albione (Londra, UK). Dopo un Master in chitarra Jazz conseguito al Trinity Laban di Greenwich, si lancia nel mondo del vino. Supervisore eventi a 67 Pall Mall di Londra, il club privato di “fine wine” piú prestigioso al mondo, e Certified Sommelier per la Corte dei Master Sommelier. Il suo vino preferito e’ Mouton Rothschild 1989 in abbinamento a Kind of Blue di Miles Davis.


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