Terroir o vigneron? Due vini del Domaine Virgile Lignier-Michelot a confronto3 min read

Uno dei dilemmi vecchi come il mondo è quanto la distintività e qualità di un vino dipendano da quello che comunemente viene definito terroir oppure dalla personalità e dallo stile proprio del vignaiolo. Come tutti i dilemmi, anche questo è fatto per discutere senza giungere mai ad una vera conclusione. Si pensi ai climat borgognoni: essi definiscono una classificazione delle vigne  di un dato territorio molto stringente, il cui risultato è la loro reale distintività anche rispetto a quelle più vicine e che rientrano nella stessa appellazione. Escludendo ovviamente i monopole, per i quali non c’è possibilità di confronto se non di tipo storico, tra vendemmie diverse, e quindi comprensibilmente problematico, anche per  i climat che hanno  più proprietari o exploitants diversi non è affatto facile  distinguere il contributo del terroir da quello del produttore, considerato anche che , specie i climat più grandi, hanno differenziazioni interne spesso tutt’altro che irrilevanti (si pensi ad esempio al Clos de Vougeot o a  Èchezeaux). 

Qualche sera fa, in una cena tra amici, ho proposto l’assaggio di due vini di Morey-St. Denis provenienti entrambi da vecchie vigne (60-70 anni) di due diverse zone della denominazione: della stessa annata, la 2022 (bollente e arida come la 2018, la 2019 e la 2020, benché temperata da alcuni benefici temporali nella seconda metà di giugno), e dello stesso produttore, il Domaine Virgile Lignier-Michelot. La prima cuvée, il Vieilles Vignes,  derivante da parcelle di tre climat della parte bassa di Morey (quella più prossima alla route nationale), Chenevery (in parte Premier cru, la porzione più alta che si affaccia sulla route des grands crus) Très Girard e Les Cognées, la seconda invece proveniente da una parcella del lieu-dit En la rue de Vergy, incastonata tra l’area boscosa del coteau, il Clos des Lambrays, il Clos de Tart e la porzione di Bonnes-Mares dello stesso territorio comunale. Questa ha un suolo molto calcareo e assai sottile, molto ben esposto e non lontano dalla combe Ambin.

Due ottime bottiglie, molto tipiche di Morey-St. Denis, nonostante entrambe molto giovani. Naturalmente, alla fine,  è questione di preferenze: alcuni amano l’intensità dell’aroma di frutti rossi e soprattutto neri (susina e ciliegie scure) molto maturi del Vieilles Vignes, accompagnati da sentori di rosa selvatica e un’evocazione di anice, potente ma non soverchiante, con tannini molto ben gestiti; altri, come me, sono innamorati dalla profondità e ricchezza di dettaglio e dall’eleganza minerale della cuvée di Vergy, il cui aroma sposa sensualmente lamponi e violetta. Due vini della stessa famiglia e dello stesso vigneron, ma quanto diversi tra loro!

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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