Taste Alto Piemonte: tante conferme e la “folgorazione” delle Valli Ossolane5 min read

Oramai mi sento (e probabilmente sono) di casa a Taste Alto Piemonte, la manifestazione che da diversi anni il Consorzio Nebbioli Alto Piemonte organizza a Novara per presentare anche le nuove annate in commercio. Ho precisato “anche” perché sia nella degustazione “da anteprima” di quasi 50 vini delle varie denominazioni che tra i banchi dei produttori si trovavano bottiglie di 7-8-10 anni che sicuramente sono in commercio da qualche tempo.

Ma questo non è certo un problema per un territorio che oramai fa della longevità uno dei suoi punti di forza.

L’Alto Piemonte, dal punto di vista delle denominazione è quasi un puzzle, racchiudendo in una trentina di chilometri quadrati sette denominazioni più due “a ricaduta”, senza considerare la Doc Valli Ossolane, che si trova più a nord, quasi al confine con la Svizzera. Dieci  denominazioni dunque che da poco più di 10 anni sono sotto gli occhi degli appassionati e che sembrano baciate dalla fortuna per il riscaldamento globale, che permette alle uve di questi territori maturazioni delle uve che 20/30 anni fa potevano avvenire un anno ogni 4/5.

Mappa Alto Piemonte senza la Doc Valli Ossolane.

Ma oltre ad essere baciate dalla fortuna sono state accompagnate da una comunicazione che definirei attenta e lungimirante, perché credo che di pochissime zone italiane si riescano a capire le differenze tra denominazioni contigue come in Alto Piemonte. Oramai che, per esempio, un vino di Gattinara abbia grandi diversità da un Fara, un Boca o un Sizzano è chiaro anche ai neofiti del vino. Le differenze di terreno sono chiare e anche l’utilizzo o meno di altre uve in affiancamento al Nebbiolo. Forse solo la cugina Langa ha fatto metabolizzare così bene le sue “simili diversità”.

Quindi siamo in un momento particolarmente propizio per queste terre, ma le mie molte primavere, che mi hanno fatto  conoscere territori enoici in vari momenti di sviluppo, mi portano a dare alcuni consigli per evitare problemi in cui sono incorsi altri territori nei loro momenti di crescita.

La prima cosa da tenere a mente è che, pur se si riesce a vendere tutto il vino prodotto, il Consorzio di Tutela è sempre e comunque il faro da tenere acceso, perché magari può dare una piccola mano adesso ma farà sicuramente luce negli eventuali momenti bui. Per questo è fondamentale la coesione di tutti i produttori e il presentarsi uniti di fronte al mondo.

La seconda cosa è che il cambio climatico non è una buona scusa per, in qualche caso, rendere vini austeri e verticali corposi e grassi, magari con un importante apporto di legno nuovo. Capisco che stiano arrivando giovani produttori senza grande esperienza ma se i nebbioli di queste terre si mettono a fare braccio di ferro con quelli di Langa perdono di sicuro, perché la loro anima è più da dinamico ma arcigno peso welter che non potente peso massimo. Specie in denominazioni dove le componenti sabbiose del terreno sono importanti trovare vini opulenti e tannici spiazza un po’.

Come spiazza un po’ sentir parlare di un possibile luogo di riciclaggio o distruzione rifiuti da costruirsi a Ghemme: se venisse realizzato sarebbe una vera tragedia per tutto il territorio (anche perché Gattinara non è lontana) e anche per questo è importante avere un forte consorzio di tutela.

Ma veniamo ai vini degustati: a parte quelli assaggiati ai banchetti ce n’erano circa 50 a disposizione di noi giornalisti, che rappresentavano le 10 denominazioni.

I risultati degli assaggi li troverete sulla guida tra qualche mese ma alcune caratteristiche molto generali  le possiamo presentare: si va dalla grande diversità dei Colline Novaresi Nebbiolo e Costa  della Sesia Nebbiolo, alle conferme (in positivo e in negativo) dei Boca, alla finezza dei Fara, alla austera e dinamica ruvidezza dei Gattinara che si contrappone allo rotonda ma spesso un po’ troppo statica pienezza dei Ghemme. Per non scordarsi la finezza suadente di alcuni Lessona e le caratteristiche ancora da esprimere a pieno dei pochissimi Sizzano in degustazione.

Una carrellata veramente a volo d’uccello a cui avrete notato che manca la decima denominazione, le Valli Ossolane, per me quest’anno la vera folgorazione, non sulla via di Damasco ma di Domodossola, la ciliegiona sulla torta.

Mai come quest’anno, assaggiando alcuni ottimi Valli Ossolane Nebbiolo (sulla tipologia Rosso con dentro il merlot per il momento glisso) ho ritrovato le caratteristiche di fresca austerità e di sublime finezza che tutto il nord Piemonte dovrebbe ricercare. Capisco, Il clima è quello che è, l’acqua manca, e allora il consiglio mio e di godersi questi vini delle Valli Ossolane, che chiedono solo di essere conosciuti e gratificati per il lavoro che richiedono. Sono vini che ti fanno tornare giovane, che ti levano i pensieri e nello stesso tempo ti fanno pensare. Il prunent, così si chiama il nebbiolo da quelle parti, è dotato di grande freschezza, tannini accennati ma vini, profondità. Inoltre ha i classici profumi del nebbiolo, dalla viola in poi.

Sono vini molto buoni e il primo che me li rovina con il legno nuovo che il Signore gli mandi una foresta di querce al posto del vigneto.

Prossimamente andrò a visitare il territorio e ve ne parlerò in maniera più approfondita.

                                 

                                                                                                                                           

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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