Taste Alto Piemonte 2019, ovvero della necessità di cambiare (ulteriormente) passo5 min read

Taste Alto Piemonte è arrivata alla sua terza edizione, a Novara, nella cornice del suo bellissimo Castello. Location perfetta e degna di un evento  oramai punto di riferimento importante nel panorama enologico nazionale.

Ero presente alla prima edizione, saltato la seconda ed eccomi di nuovo immerso in una delle zone più affascinanti d’Italia, probabilmente uno dei più alti potenziali qualitativi, in buona parte ancora da esplorare e soprattutto da sviluppare, della nostra penisola.

Qua il Nebbiolo è il protagonista indiscusso, accompagnato in maniera leggiadra  da Croatina, Vespolina e Uva rara, un po’ in tutte le varie denominazioni.

Per le uve bianche la regina è l’Erbaluce, ma il suo peso al momento è ancora marginale rispetto alle bacche rosse.

Due righe sopra ho scritto “varie denominazioni” perché Alto Piemonte può voler dire molto ma anche risultare troppo generico: ci sono dieci DOC/DOCG che si ritrovano sotto questo ombrello:

  1. Boca
  2. Bramaterra
  3. Colline Novaresi
  4. Coste della Sesia
  5. Fara
  6. Gattinara
  7. Ghemme
  8. Lessona
  9. Sizzano
  10. Valli Ossolane

Alcune di queste sono già conosciute, non solo al pubblico di appassionati, altre probabilmente ancora in buona parte sconosciute al grande pubblico del vino: fatto sta che, lasciando un attimo da parte le due DOCG “regine” (Gattinara e Ghemme) un nugolo di DOC così geograficamente vicine e anche così simili per fattore pedoclimatico e vitigni, possono generare confusione anche nel più esperto assaggiatore.

L’evento si è dipanato tra degustazioni professionali, seminari e tasting al tavolo, sia per operatori che per privati e stampa. Un plus è stata la sezione delicatessen con una serie di banchi tra cui spiccano alcuni piccoli produttori di formaggi di altissima qualità, di cui la zona è ricchissima.  Il tutto sapientemente coordinato dall’attenta regia della Presidente del Consorzio Tutela Nebbioli Alto Piemonte, Lorella Zoppis Antoniolo, la quale fin dall’inizio ha creduto in questo format.

La degustazione

Ancora cinquanta vini all’assaggio,  come lo scorso anno e l’anno precedente. Immagino che sia il numero pensato per dare un’idea della zona e della qualità raggiunta dai produttori. Giusto un paio di bianchi da uva Erbaluce di pregevole fattura e un solo rosso da Vespolina (male male!!! perché il vitigno meriterebbe ben più luce come abbiamo già segnalato lo scorso anno (link)). Per tutto il resto il Nebbiolo è il protagonista quasi assoluto.

Tecnicamente parlando ho trovato una buona qualità media con delle interessantissime punte, alcune da cantine note, altre molto meno. Vini che conservano la loro rusticità territoriale ma quando domata e controllata possono dare l’esempio dicosa può sviluppare in nebbiolo in queste terre.

La nota dolente arriva dal misto frutta che ho trovato in degustazione: la presenza di vini con millesimo dal 2009 al 2018 ha reso impossibile dare un inquadramento “storico”; la scarsa presenza di campioni da alcune delle DOC ha reso altrettanto difficile un’interpretazione geografica. Meglio invece ai tavoli dei produttori che hanno proposto anche altri vini oltre quello in degustazione tecnica.

Storicamente pare che il Nebbiolo sia nato in questi pendii ed abbia però trovato per una serie di fattori contingenti (industrializzazione e temperature medie molto basse tanto per dirne due) fortuna più a sud, in Langa. Ma la lancetta della qualità da queste parti volge al bello: la conoscenza odierna e la tecnologia moderna, aiutate da un cambiamento climatico complice, stanno facendo crescere quasi esponenzialmente  la qualità media dei vini.

E si percepisce, come si percepisce la voglia dei produttori di essere sempre più protagonisti del loro futuro, tant’è che il numero delle cantine partecipanti sta aumentando, e spero che presto le circa settanta cantine siano tutte presente all’evento.

Ma se si vuole davvero cambiare passo, al di la di Taste che può essere un importantissimo momento di confronto e riflessione, un riflettore che una volta all’anno si accende su questa zona, è fondamentale la necessità di fare chiarezza e semplificare la giungla di DOC di cui il territorio è disseminato. In Italia si fa fatica a capire dove sia Ghemme o Gattinara (probabilmente le due denominazioni più famose), immaginiamoci spiegare ad un australiano, o un giapponese le differenze tra Valli Ossolane e Colline Novaresi!!!

Siamo in presenza di suoli acidi, quando in Langa abbiamo suoli prevalentemente alcalini; l’austerità di questi nebbioli si scontra con la corposa potenza di quelli che nascono a sud.

Vini minerali, sapidi, “leggeri e quasi impalpabili” (parlando di nebbiolo naturalmente)  e dall’eleganza infinita quando fatti bene. Ma spiegare i suoli  non basta, anzi a volte può ulteriormente complicare e creare confusione perché ci sono vigne a distanza di 100 mt che danno uve con ph e quindi vini completamente diversi.

In tutto questo è ammirevole lo “sforzo comunicativo” del Consorzio che si prodiga nel fornirci di ampio materiale cartaceo, dalle mappe ai mille dati delle DOC, ma si rischia di contraddire le regole basilari di una seria ed efficace comunicazione: la semplicità ed immediatezza del messaggio.

Per questo, magari sbaglio, ma sarebbe auspicabile che queste DOC vengano tutte raccolte da una denominazione unica che dia più visibilità a quei circa cinque milioni di bottiglie oggi prodotte. E, per il bene di tutta la zona stessa, i produttori accettino l’ombrello Alto Piemonte e mantengano le proprie differenze geografiche solo come sottozone. Questo potrebbe essere un passo decisivo per potersi aprire al mercato mondiale, mantenendo comunque l’identità storica. Contemporaneamente cominciare a spiegare e comunicare bene perché un Boca è diverso da un Fara o da un Sizzano.

L’impressione finale è che siamo di fronte ad una zona “in attesa di spiccare il volo”: meno campanilismi e più consapevolezza potrebbero favorire questo passo e rendere giustizia alla qualità dei vini; ma di questo credo il Consorzio sia cosciente e Taste Alto Piemonte  ne sia una testimonianza.

 

Gianpaolo Giacomelli

È nato a Lerici, vive a Castelnuovo Magra ed è quindi uomo di confine tra Toscana e Liguria. Al momento della “scelta” ha deciso di seguire la passione per le cose buone invece del comodo lavoro dietro una scrivania. Così la “scelta” lo ha portato a Londra a frequentare i corsi per Master of Wine, finendo tempo e soldi prima di arrivare agli esami. A suo tempo ha aperto un winebar, poi un’enoteca e alla fine ha un’associazione culturale, un wineclub, dove, nella figura di wine educator, propone serate di degustazione e corsi. Fa scorribande enoiche assaggiando tutto quello che può, sempre alla ricerca di nuovi vini. Ha collaborato con varie testate del settore, contribuito alla nascita delle guide vini Espresso e Vini Buoni d’Italia prima di dedicarsi anima e corpo a Winesurf.


LEGGI ANCHE