Tasca d’Almerita: un trittico etneo5 min read

Michele Brusaferri è come un bambino felice in un parco giochi. Tutto il giorno scorrazza impolverato nei 28 ettari acquistati da Tasca d’Almerita nell’ormai lontano 2007, distante mille chilometri dalla sua Milano, di cui non sembra avvertire nostalgia. Un cambio di paradigma di un emigrante del Nord che viene al Sud perché ama il proprio lavoro di enologo.

Così mentre l’Etna erutta di continuo fumo bianco, un po’ come i tombini di New York, Michele gira tra i vigneti ad alberello, gli ulivi, i boschi di castagno per poi rinchiudersi nella nuova cantina a Contrada Rampante nel comune di Randazzo dove vengono lavorati i vini. Non sappiamo se da bimbo abbia poppato il Nebbiolo di Arpepe, certo è che alla cieca si farebbe fatica a distinguere quel rosso nordico dal Nerello mascalese di Pianodario.

Nerello Mascalese

Un vino etereo, che quella volpe commerciale di Leonardo Vallone ha deciso di ritirare dalle vendite per assegnarlo solo a 40 ristoranti nella versione 2021 presentata al Vinitaly e in distribuzione da maggio. Un progetto sartoriale che questo rosso etneo merita, uno dei più straordinari che abbia mai provato: e sì che, in oltre 50 anni di militanza attiva nel partito dei bevitori, ne ho bevuti di vini!

Pianodario (pieno di aria) è l’emblema di cosa sia diventato l’Etna in questi ultimi 30 anni, da quando Benanti ne capì le potenzialità seguito da imprenditori lungimiranti e costringendo anche tante aziende siciliane ad investire sul vulcano che qui, come del resto il Vesuvio, è chiamato semplicemente ‘a Muntagna.

L’Etna, come il mare, pretende rispetto, le sue colate laviche, sciare, si possono coniugare alla memoria degli individui di ogni generazione, a differenza delle eruzioni del Vesuvio che ormai sono nel ricordo solo di chi era bimbo nel 1944. Sono vulcani diversi, uno quieto e pericoloso, l’altro esuberante ma tutto sommato domesticabile, anche se alcune sciare hanno fatto non pochi danni nel corso negli ultimi decenni.

In questo casino naturale Michele Brusaferri cerca di applicare il razionalismo cartesiano di chi nasce al Nord ma è costretto dal contatto quotidiano con la Divinità a dare sfogo all’istinto, alla percezione, ai suggerimenti di ciascuna annata e alla fine a proporre un rosso esile, sottile ma di carattere, proprio come l’Etna, che merita rispetto.

Noi italiani siamo figli dei comuni, non dell’Impero Romano come voleva la retorica del Ventennio, istintivamente amiamo il piccolo e anche parte del mondo del vino resta abbagliato dal giovane che fa il vino come il nonno. Ma la realtà è che per fare un grande vino sono necessari investimenti, spalle larghe e una pazienza commerciale che vada oltre le declamazioni. Non ha importanza, almeno per me, come si fa il vino, quel che conta è il risultato finale nel bicchiere, anfora, acciaio, legno piccolo, legno grande, cemento, vetroresina. Ne abbiamo viste e subite di mode dagli anni ’90 in poi, ma quando hai un bicchiere di Pianodario sei di fronte a qualcosa che dal reale ti porta all’irreale, come scriveva Veronelli.

Abbiamo avuto il piacere di assaggiare in anteprima l’annata 2021 e l’offriamo ai lettori di questa disgraziata rubrica che ormai va avanti da oltre un quindicennio. Eravamo giovani e forti, il fisico cede ma la nostra testa è fresca, freschissima, dotata di strumenti di intercettazione della realtà decisamente più efficaci di chi ci ha preceduto e di chi ci segue, visto che siamo passati dalla carta all’immateriale. Una generazione di mezzo.

Il progetto rosso di Tasca d’Almerita ha alle spalle una storia agricola che risale all’800, quando fu acquistata la tenuta di Regaleali nel centro della Sicilia, che oggi vanta 600 ettari tutti a conduzione rispettosa dell’ambiente. Ha dunque il grande vantaggio di non poter fare l’errore tipico di tutti gli imprenditori parvenue del vino, la fretta. Alberto Tasca e la moglie Francesca sanno che sono i tempi lunghi dell’agricoltura a determinare le scelte finali e che questi tempi non possono essere soggetti all’orologio che banalizza una giornata in dodici ore ripetute due volte.

Possiamo dire che il progetto dell’Etna sta raggiungendo adesso la sua maturità espressiva, rubo questa felice espressione a Fabio Rizzari.

Una maturità divisa in partes tres come la Gallia di Cesare.

Contrada Rampazzo, Contrada Sciaranuova e, appunto, Contrada Pianodario. Tutte 2021 entro l’anno. Quest’ultima, come abbiamo detto, è la più eterea, ha un naso di una eleganza assoluta, al palato freschezza, tannini risolti, finale amaro tipico dei vini da zone vulcaniche. Quasi cento piccoli terrazzamenti continuamente ventilati, è qui che si fa l’ultima vendemmia della stagione.

Contrada Rampazzo si presenta più fruttata, quasi esuberante al naso per ricomporsi al palato in un sorso esile e preciso ma che gratifica. Infine Sciaranuova (ossia lava nuova) è quasi una via di mezzo fra le due, quella che appare più equilibrata e in grado di parlare sia a chi ama il frutto sia a chi punta sull’eleganza.

Michele è riuscito a marcare le differenze fra questi tre cru di Randazzo e berli insieme ha qualcosa di didattico e al tempo stesso emozionante, perché l’assaggio tridimensionale dimostra ancora una volta quanto sia importante il terreno nel quale sono piantate le vigne e quanta differenza ci sia fra un versante e l’altro dello stesso territorio.

L’Etna di Tasca si inserisce in un movimento collettivo imponente che ne fa, a nostro giudizio, un territorio che ha ancora grandi potenzialità di sviluppo e di apprezzamento delle bottiglie. Il tema del vino non è la salute e scendere su questo terreno è perdente, la verità è che il vino è cultura, paesaggio, emozione, energia mentale.

Luciano Pignataro

Luciano Pignataro è caporedattore al Mattino di Napoli, il suo giornale online è Luciano Pignataro Wineblog.


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