Studio Enpaia-Censis sul rapporto dei giovani col vino: a prima vista, ripeto a prima vista, buone notizie3 min read

Ho letto con molta attenzione e anche con piacere i dati dello studio  Enpaia-Censis sul rapporto dei giovani col vino.

Ne sono venuti fuori dati interessanti e incoraggianti, almeno ad una prima lettura.

Quello che mi ha colpito più positivamente riguarda la frenata del dato relativo agli italiani che bevono vino, sceso soltanto, dal 1993 al 2020 oggi dal 58% al 55.5%. Rispetto a quanto viene detto da molte parti una vera e propria boccata d’ossigeno, anche se occorrerebbe capire quanto ne bevono.  Ma veniamo ai giovani e al succo di questo articolo.

Nello stesso arco di tempo la quota di giovani che beve vino è salita dal 48,7% al 53,2%, mentre quella che beve più di mezzo litro al giorno è scesa in picchiata dal 3,9% a meno dell’1%.

Il 79.9 dei giovani intervistati, con età compresa tra 18 e 34 anni, afferma in soldoni che è meglio bere meno ma meglio e preferisce bere vini italiani, meglio se Dop o Igp. Inoltre molti giovani sono attenti alla tracciabilità del prodotto, alle produzioni sostenibili e ai vini biologici.

Un quadro indubbiamente positivo ma mentre leggevo (e poi ascoltavo il video registrato della conferenza per capire meglio)  c’era qualcosa che non mi quadrava: era il termine “giovani”.  Anche se non fa una piega dal punto di vista generale, come si fa a inserire in questa categoria le persone da 18 a 34 anni?

Due/tre generazioni, ognuna con propri gusti e un proprio modo di esprimerli, specie riguardo ad un prodotto particolare come il vino. Posso capire che un trentenne pensi di bere meno e meglio, ma un diciottenne la vede allo stesso modo? Generazione Y e Generazione Z  non sono delle invenzioni statistiche ma realtà ben definite, con modi di agire e di confrontarsi col mondo molto diversi tra loro e che spesso non comunicano tra loro. Chi ha figli in questi due gruppi lo sa bene.

Quindi parlare di rapporto dei giovani col vino senza dividerlo ufficialmente in almeno due categorie per me toglie molta, molta importanza a quello che è venuto fuori.

C’è inoltre un ulteriore punto che per me andava toccato ma non è stato fatto. Capisco che per uno studio presentato a  Vinitaly si rischiava di andare fuori tema ma parlare di vino senza toccare gli altri alcolici (birra e superalcolici per fare due nomi) per me vuol dire guardare solo mezza faccia della medaglia.

Per esempio  se sono diminuiti i “giovani” che si stordiscono col vino  mi piacerebbe sapere quanti sono quelli che lo fanno con la birra o con i molti superalcolici a prezzi bassissimi che si possono comprare ovunque.

Inoltre, e questa è la cosa più importante, è inutile crogiolarsi in questi dati e magari presentarli alla Comunità Europea, difendendo l’orticello del vino (come fatto recentemente) se poi i danni da superalcolici o da prodotti a basso tenore alcolico (birre ma anche quei mefitici pseudo cocktail in bottiglia o in lattina) sono i principali colpevoli dei problemi sociali e fisici derivanti dall’abuso di alcol tra i giovani.

Sarebbe stato interessante lanciare la stampella vino oltre l’ostacolo alcol e portare in discussione dati generali anche sulle altre tipologie di alcolici, ma forse si voleva lanciare solo segnali positivi, parziali ma positivi.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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