Stampa estera. Terre de Vins, n. 726 min read

Sono i “rosé in libertà” a essere in primo piano. Poi, in copertina sono annunciati anche l’incontro col regista Ridley Scott, conquistato dal vino e proprietario di un Domaine nel Lubéron, il Mas des Infirmières, l’”escapade” in Provenza, capitale mondiale dei rosé ( e dove se no?), che ha trovato nell’arte un nuovo atout, e infine i Trofei dell’enoturismo assegnati da TdV.

Della maxi-degustazione di rosé di tutte le regioni di Francia (beh, non proprio tutte: principalmente del sud, dell’area mediterranea e della Champagne)  , che occupa una quarantina di pagine,  non dirò nulla, lasciando al lettore il compito di spigolarla come vuole. Mi limiterò  a constatare che TdV non ha ancora fatto una scelta definitiva sulla sua scala di valutazione, passando indifferentemente da quella in centesimi a quella tradizionale in ventesimi (stavolta i voti sono in ventesimi) e che brilla ancora la stella de L’Irréductible, il Bandol rosé del Domaine de la Bégude, che svetta tra le cuvées assaggiate con i suoi 18/20. Allegate alla degustazione principale, sono poi quelle satellite, delle magnum e dei vini in BIB (bag-in-box), della recentissima AOC di rosé provenzali, quella di Notre-Dame-des-Anges , nel cuore del massiccio dei Maures, e le accoppiate rosé-olio extravergine di oliva scelte da Sylvie Tonnaire.

Subito un cenno sulle altre degustazioni minori o più ristrette: i rossi della Côtes du Vivarais, nell’Ardèche; Saint-Nicolas de Bourgueuil;  verticale di Château Canon, dal 1955 (la descrivono Sylvie Tonnaire e Mathieu Doumenge ),19/20 il vino dell’annata 1990, profondo e maturo, in splendido equilibrio tra intensità ed eleganza). Per i temi gastronomici: occhio al pérail, formaggio di pecora prodotto nella parte sud del Massiccio Centrale, a cavallo di Aveyron, Lozère e Tarn, con estensioni in alcuni comuni dell’Aude, dell’Hérault e del Gard, e ai vini per accompagnarlo , e i piatti de Le Dolia, bar -à-vin premiato al “Tour des Cartes”, concorso tra le migliori carte dei vini, a Castelau-le-Lez , alle porte di Montpellier. Oltre al trofeo vinto da  Le Dolia (miglior carta per la categoria bar-à-vins), i premi assegnati da TdV (“per brindare alla ripresa”)  sono molteplici, uno per ciascuna categoria: il lionese Prairial si è aggiudicato  il premio per i ristoranti gastronomici, mentre Le Taillevent quello assegnato ai  ristoranti gastronomici “di prestigio”, l’alsaziano Le Lion d’Or quello per i ristoranti tradizionali, le P’tit Zinc di Rouen quello per i bistrots e i ristoranti bistronomiques, e così via. La lista dei vincitori e le loro schede sono comprese nel servizio dedicato che apre la strada a tutti gli altri di questo numero.

Dell’itinerario in Provenza si è già fatto cenno (sei indirizzi eno-artistici corredati di un carnet pratique contenente tutte le informazioni pratiche per organizzarlo). Ad esso si aggiunge l’itinerario “nel resto del mondo”, che questa volta tocca un paese del SudAmerica finora poco conosciuto sotto il profilo vinoso: la Bolivia con le sue vigne di vischoqueña della valle del Cinti, un interessante vitigno autoctono che dà vini rossi leggeri e aromatici da  apprezzare giovani.

Infine ci sono gli incontri-intervista: l’incontro “sur le divin” con  Christian Seely , direttore di AXA Millésimes e la saga della famiglia Moueix (Trotanoy a Saint-Emilion e La Fleur-Petrus a Pomerol e molto altro).

Seely, inglese bonvivant , perennemente col papillon,  ha lasciato il suo paese ormai da 25 anni, vive in Francia e, come i due figli, sta per ottenere la doppia nazionalità. Viene da una formazione letteraria a Cambridge ed é stato conquistato da Bordeaux e dal suo vino quando, nel 1982, finiti gli studi universitari, seguì il padre in Aquitania: preparava un libro sui vini di Bordeaux, e fece il giro degli Châteaux (159 nel libro del padre) per assaggiare i vini delle ultime dieci annate. Oggi è a capo dell’impero vitivinicolo di AXA Millésimes, braccio agricolo della società di assicurazioni, che, oltre allo Château  Pichon Baron e al suo satellite Pibran, a Pauillac, e a  Quinta do Noval, comprende anche Suduiraut, gemma del Sauternais, il Domaine de l’Arlot, nella Côte d’Or, Diznoko, star del Tokaji ungherese e due tenute in America, tra le quali Outpost. Seely non ha dimenticato però la sua Inghilterra, anche se  riconosce che è oggi molto diversa da quella della sua infanzia, e ha voluto, a titolo personale, investire in una tenuta vitivinicola (12 ettari poi diventati 28) nella valle dell’Hampshire per produrre sparklings. Nell’intervista Seely parla, oltre che del viaggio col padre e delle personalità da lui conosciute  e che più lo hanno colpito (da Ronald Barton della dinastia irlandese dei Barton a Saint-Julien, a Jean-Michel Cazes di Lynch Bages e a M.me de Lencquesaing, per 30 anni proprietaria e direttore dello Château gemello , Pichon Longueville Comtesse de Lalande), della mission di AXA e dei suoi progetti ( tra i quali non esclude altre annessioni). Vede Londra e la Brexit non come un pericolo ma come una turbolenza, e ammette di aver intuito il successo della sua uscita dall’Europa e di Johnson  con largo anticipo. E nella sua cantina privata? Ovviamente Bordeaux ( a suo parere la 2001 è la migliore annata di Pichon Baron del nuovo millennio) e Borgogna, ma ama i grandi riesling tedeschi e naturalmente gli Champagnes.

Edouard Moueix,  è négociant e proprietario di 11 tenute vitivinicole, tra le quali Trotanoy a Saint-Emilion e La Fleur-Pétrus  a Pomerol, avendo raccolto l’eredità del padre Christian (alle sue spalle 38 millesimi di Pétrus) e del nonno Jean-Pierre. E’ da alcuni anni impegnato in opere faraoniche nella sua ultima acquisizione, lo Château Belair, diventato Château Belair- Monange. Era il 2008 e la famiglia aveva appena acquisito la loro seconda proprietà californiana, Ulysses, che andava ad aggiungersi a Dominus, che ebbe notizia della vendita di questo storico  grand cru. Contiguo alla loro proprietà di Château Magdelaine (era stato ormai chiuso anche  il capitolo Pétrus, diventato proprietà del fratello maggiore, Jean-François Moueix), Edouard progettò la loro fusione per formare un unico grande cru. Per più di trent’anni distributore esclusivo dei vini dello Château Belair, grazie agli stretti rapporti con i vecchi proprietari Dubois-Chalon, Moueix riuscì a farsi vendere dal loro erede la proprietà, ribattezzata Château Belair-Monange in onore di Adèle Moueix, madre di Edouard , Monange (“il mio angelo”) prima del matrimonio: un immenso terroir, spiega Moueix,  il più grande di saint-Emilion prima della fillossera. Non a caso ho parlato di opere faraoniche in corso ormai da diversi anni, perché a parte il restauro dell’antico Château settecentesco e delle  diverse costruzioni del villaggio semi-troglodita di Villeneuve, e  la costruzione del nuovo chai , su progetto degli stessi architetti svizzeri che avevano disegnato quello di Dominus negli Stati Uniti, l’impegno maggiore è stato il  lavoro di consolidamento dei suoli della proprietà: un terroir argilloso-calcareo molto fragile, letteralmente ricoperto di buche, a causa dello sfruttamento selvaggio delle cave , un labirinto sotterraneo di 86 km. originario del XV secolo e chiuso definitivamente solo alla fine del XIX.

Per evitare il suo sprofondamento sono state acquisite e ripiantate alcune parcelle a scopo di consolidamento del plateau , ma prioritario è stato  il lavoro, davvero faraonico, che ha richiesto quattro anni,  di rinforzarlo creando dei sostegni monumentali. Moueix, che ha grandi progetti su Belair-Monange, considerato, alla metà dell’Ottocento, il miglior cru di Saint-Emilion, e tra quelli che puntano al classement del 2022, afferma al riguardo: “Occorrono venti anni per rilanciare un cru, dieci anni di lavoro nella vigna e dieci per farlo sapere”.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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