Stampa estera. Terre de Vins n. 69: il punto sul bio in Languedoc6 min read

Un grande cesto pieno di erbe selvatiche e di bottiglie di vini della Languedoc accompagna il titolo principale di copertina, che annuncia la maxi-degustazione dei vini bio della Languedoc. Gli altri titoli: ancora novità nella formazione nel mondo del vino, alla tavola di Angélus a Bordeaux;  escursione  nei Coteaux-d’Aix e il supplemento monotematico sulle cooperative.

Sono molti i temi trattati in questo numero, incorniciati nelle abituali sezioni e rubriche:  interviste di “Sur le Divin” (a Nathalie Delattre, senatrice girondina e “aggiunta” di Alain Juppé per oltre un decennio, proprietaria di un’azienda di vini nella regione di Cadillac, molto critica sulla Loi Évin e sulle politiche del Ministero della Santé) , a Mathieu Potin, vincitore del concorso di miglior caviste di Francia del 2020, la “Saga” familiare  dei Picard in Côte-d’Or, l’incontro con i talenti (Mathieu Rollin e Nicolas Seffusatti, “borgognoni” a Montpeyroux, in Languedoc), le novità nel campo della formazione alle professioni del vino , tema molto caro a Terre de Vins, che se ne occupa  con regolarità. Tuttavia mi soffermerò su due articoli in particolare.

Il primo è la grande degustazione seriale, annunciata anche in copertina, dei vini bio della Languedoc. La Languedoc è sempre più verde. Le etichette che fanno riferimento a certificazioni di agenzie operanti nel campo della sostenibilità sono sempre più numerose: Terra Vitis, HVE (Haute Valeur Environmentale) AB Eurofeuille, Demeter e Biodyvin(viticoltura biodinamica), Vignerons engagés…

Fatto sta che all’invito di Terre de Vins hanno risposto in tantissimi e ben 297 cuvées sono state sottoposte all’esame del comitato di degustazione. Si pensi che il 63% delle superfici delle Terrasses du Larzac produce vini biologici certificati AB (il 9%  di essi in biodinamica), con l’obiettivo di raggiungere l’80%; a Faugères le superfici destinate alla produzione di vini bio sono ormai il 40%, a Corbières il 60% possiede la menzione AB (biologico) o HVE (Alto Valore comportamentale), con l’ambizione di raggiungere il 100% nel 2025.

Ma veniamo alla degustazione. Ciascun vino è accompagnato da una breve descrizione, leggermente più approfondita e articolata per i “coup de coeur”, il marchio di viticoltura sostenibile, biologica o biodinamica di riferimento,  un punteggio in ventesimi (Terre de Vins resiste ancora alla pressione dei centesimi), il  prezzo indicativo e un suggerimento di accordo con un piatto.  Mi limiterò a citare solo alcuni “coup de coeur” col più alto punteggio per  AOC (minimo 18/20) indicando il tipo di certificazione posseduta e il prezzo. Partiamo  da Cabardès: le Vent d’Est 2017 del Domaine de Chabrol, HVE, 18/20 e 16 euro; a  Cistus 2018 dello Château La Liquière, AB, 18.5/20, 17.70 euro, e Montfalette 2019 del Mas d’Alezon, Demeter, 18.5/20, 18 euro. Nell’AOC Grès-de-Montpellier, lo Château Saint-Martin de la Garrigue 2017, Terra Vitis, 18/20, 17 euro; a La Clape, il Grand Vin 2018 dello Château L’Hospitalet , Demeter, 18.5/20, 39 euro e Aureus Prestige 2017 di Château Laquirous, AB, 18.5/20 e 52 euro (però!); a Minervois, Les Hirondelles 2017  di Cyri Cattaneo, AB, 18/20 , 20 euro; a  Les Sept Rangées 2017 Domaine des Grandes Costes, HVE, 52 euro; nell’AOC Saint-Chinian Elise 2020 Château La Dournie, AB, 19/20, 18 euro; infine, a Terrasses-du-Larzac il Domaine de Montcalmès 2017, AB, 18.5/20 e 27 euro. A seguire sono  due degustazioni-satellite più specializzate della serie “pepites”: Grenaches  di tutti i colori e i vini dell’AOP Duché-d’Uzès. Prima di arrivare all’itinerario nei Coteaux-d’Aix, sul quale mi soffermerò un po’ di più, c’è spazio per scoprire  i tesori dell’Armagnac, i vini di Marcillac, nell’Aveyron e il Tête-de-moine, formaggio a pasta semi-dura di latte di mucca crudo  originario del Jura svizzero e i vini adatti ad accompagnarlo.

E’ una storia strana, quella dei Coteaux d’Aix-en-Provence. Per vocazione terra di rossi, come dice anche il titolo dell’articolo di Frédérique Hermine (negli anni ’80 i rossi erano circa la metà di quelli prodotti nell’AOC,  fino a raggiungere il suo massimo  di due terzi nel 1986), poi forzosamente riconvertita alla produzione di rosé sotto la spinta della crescita impetuosa della domanda di questa tipologia di vini. I rossi precipitarono ad appena il 10%, mentre  i bianchi erano in quantità confidenziale, annegati in un mare di rosé. Ora è in atto la rinascita, e la proporzione dei rossi è risalita al 25% ed ha ripreso a crescere: sulle vigne circondate di boschi , oliveti e pinete, raramente al di sotto dei 300 metri di altitudine, questo terroir, caratterizzato da suoli in maggioranza argilloso-calcarei, su alti plateaux non distanti dal canale della Provenza e dalla valle della Durance, con estati molto calde e inverni severi , vi è la potenzialità di produrre grandi rossi .

Georges Brunet, arrivato a Vignelaure con le barbatelle dello Château La Lagune, nell’Haut-Médoc, è stato il primo  a introdurvi il cabernet sauvignon . “Cépage sécondaire” dell’appellation, limitato un tempo al 30% al massimo, ora rappresenta la metà degli assemblage , in perfetto matrimonio con il syrah. La cunoise, il mourvèdre, il carignan e, recentemente, il caladoc. Varietà tardive guadagnano terreno per fronteggiare il riscaldamento climatico, mentre il rolle (il nostro vermentino) domina il panorama dei rari bianchi dell’AOC.

L’itinerario  comprende la “visita” a sei produttori emblematici di questa appellation, cominciando naturalmente  dallo Château Revelette di Peter Fischer, a Jouques. Innamorato dei vini bianchi della Borgogna e diplomato in enologia in California, fu letteralmente stregato di questo terroir, in un’epoca nella quale tutto era in vendita nella Provenza ed era facile acquistare, e poi della moglie Sandra, figlia del proprietario di Revelette.  Situato sotto il massiccio di Vautubière , Revelette consisteva allora  di 12 ettari di vigna a 330 metri di altitudine , in mezzo alle colline, in una vallata fredda con forti escursioni termiche , ideale anche per la produzione di grandi bianchi. Ora gli ettari di proprietà sono poco meno di una trentina, dal 1990 convertiti alla conduzione biodinamica. Dopo aver piantato molto per trent’anni, oggi Peter si limita a sostituire i ceppi mancanti delle sue vecchie vigne di carignan, cabernet e grenache, ma pianta ancora syrah, counoise, grenache gris e carignan, blanc e rouge. E’ ancora sorpreso che la gente gli chieda dei rosé, quando la sua ambizione è di produrre rossi e bianchi vibranti. Gli altri Domaines inclusi del servizio sono lo Chateau Vignelaure a Rians, il Domaine Saint Bacchi a Jouques, lo Château de Beaupré a Saint-Cannat, i Vignerons du Roy René a Lambesc e il Domaine Tour Campanets a Le Puy-Sainte-Réparade. L’articolo è completato dai consueti consigli de “L’Escapade Pratique”.

Prima di chiudere, ancora un rapidissimo accenno al ritorno de “Le Gabriel”, storico ristorante stellato di Bordeaux, che, dopo una lunga chiusura e il minuzioso restauro compiuto dalla famiglia De Boüard (Château Angélus), impreziosito dai decori di Jean-Pierre Tortil  riapre le sue porte sulla Place de la Bourse con la sua bella tavola gastronomica de L’Observatoire: nove cuochi in cucina e sei nella pasticceria , sotto la guida dello chef pâtissier Damien Amilien, i vini certo  non mancano (650 referenze). Molto belle le foto dei piatti di Michael Boudot.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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