Stampa estera. La Revue du Vin de France, n. 655: i vini dei Presidenti (francesi naturalmente)4 min read

Il titolo principale di questo numero è per 450 bottiglie di “haut vol” scelte dalla RVF per poter “vedere la vita diversamente”. Altri titoli importanti: i lieux-dits del Moulin-à-vent e del Fleurie nel Beaujolais, indirizzi del vino top  a Londra, i vini dei Presidenti della Repubblica (francesi, va da sé), la vendita del Domaine Ganevat, e ancora, Morey-Saint-Denis, Domaine Trimbach, Cheval Blanc e La Gaffelière.

Della vendita del Domaine  di Jean-François Ganevat, tre stelle della Guida verde della RVF e vigneron del 2018, si parla nella “grande intervista” che apre, come sempre, il fascicolo. La notizia ha creato grande scalpore nell’ambiente e presso gli  appassionati dei vini del Jura. Sarebbe soprattutto il timore delle  spese di successione ( del tema, che rappresenta una vera e propria clava sulla testa dei vigneron,  abbiamo già parlato in altre occasioni) a spingere a questa decisione estrema Ganevat, che però rassicura i suoi fans dicendo che resterà ben presente nel mondo del vino del Jura e che si concentrerà sugli “élevages longs”, i lunghi affinamenti.

Il primo reportage di questo numero è dedicato agli indirizzi del vino di Londra, che resta una delle grandi capitali di questa bevanda, pur essendone ancora solo limitatamente produttore. Sono dieci gli indirizzi  segnalati dalla RVF: naturalmente il famoso 67 Pall Mall  a St. James, ma anche The Black Book, nel cuore di Soho, lo Hide Restaurant, la più bella carta dei vini di Londra, Jean-Georges at The Connaught, che esalta lo spirito bistrot, Le 110 de Taillevent, a Cavendish Squares , con i suoi espertissimi sommeliers a celebrare l’arte degli accords cibo-vino… e altri ancora, che non posso citare tutti.

Pall Mall 67

Benoist Simmat presenta la sua inchiesta sui vini dei Presidenti della Repubblica francesi, tutti apprezzatori della bevanda nazionale, a parte l’astemio Sarkozy. Anche Mitterrand, nativo di Jarnac, non era un grande bevitore di vino, Pompidou era amante dei Bordeaux , Giscard , originario dell’Auvergne e difensore del Saint-Pourçain, è ricordato  per la sua passione per lo Chambertin 1966, di cui il caviste dell’Eliseo fece un opportuno stock.

Eccoci dunque arrivati alla degustazione dei Crus del Beaujolais, focalizzata su Moulin-à-vent e la meno conosciuta Fleury. Mai come in questi ultimi anni, dopo un periodo piuttosto sonnacchioso, la regione del Beaujolais sembra dinamica, con vini eccellenti  e la consapevolezza di grandi potenzialità, sicché spiccano il volo , come nella vicina Borgogna, le cuvée parcellari, provenienti da un solo, specifico lieu-dit.  Parte della ascesa di gamma dei crus del Beaujolais nasce anche dalla  adozione, da parte di alcuni dei migliori produttori, della vinificazione “alla borgognona”, basata sulla ricerca di maturità più spinte, dall’égrappage parziale e di cuvaisons più prolungate (ad es. Devignes, Labruyère o Thibault Liger-Belair).

è da sempre riconosciuto come un terroir di classe superiore, come conferma anche la degustazione  presentata da Pierre Vila Palléja: non debbono perciò stupire gli alti punteggi delle migliori cuvée provenienti dai lieux-dits già ritenuti di prima classe nel 1874, come  Rochegrès  (94/100   il vino dell’annata 2017 dello Château des Jacques),  Thorins (96/100  la 2018 di Château des Jacques  e 95 la stessa annata di Terres Dorées), ma soprattutto La Roche (ben 97/100 Le Moulin 2019 di Château des Jacques, costantemente tra i migliori, 96 l’annata 2017 dello stesso Château e 95  il vino del Domaine Labruyère 2017 e di Thibault Liger-Belair 2018). A Fleury (un cru assolutamente da riscoprire) spiccano le cuvée dei lieux-dits première classe 1874 (come La Chapelle des Bois: 97/100 per l’annata 2014 di Jules Desjourneys), o  Poncier e Les Moriers (94/100 alla 2019 dello Château de Rougeon a Poncié, e del Domaine Grégoire Hoppenot della stessa annata a Les Moriers), ma le vere sorprese vengono dai lieux-dits non classificati oppure classificati su classi inferiori , come mostrano i 94/100 della cuvée del 2018 di Grands Fers.

Come in tutti i numeri, Pierre Casamayor illustra il suo ritratto di uno Château: questa volta lo Château La Gaffelière a Saint-Émilion, di cui presenta anche una verticale a partire dall’annata 1959 (guarda un po’, il punteggio più alto, 99/100 è il suo): 100 per il vino del 1970 e per quello dell’annata 2016, 97 per 1986 e 2017.  Sono invece due Domaines del Rodano meridionale, il Domaine de la Charbonnière e il Domaine de Montvac i protagonisti , con i loro Vacqueyras, del duetto “Une appellation, deux styles” di Petronio. A sfidarsi a colpi di assaggi sono due giovani vigneronnes, Véronique Maret (Montvac) e Cécile Dusserre (Charbonnière) su diverse annate dalla 2011 alla 2019.

Interessante , come sempre l’expertise di Sophie de Salettes dedicata al terroir di Morey-Saint-Denis, con i suoi quattro grands crus “in  proprio” e Bonnes-Mares, in condivisione, sia pure in minor parte, con Chambolle-Musigny. Ad arricchire il report della de Salettes, le testimonianze di protagonisti, tra i quali Jacques Desvauges, régisseur dapprima del Clos de Tart ed ora del vicino Domaine des Lambrays, di Cyprien Arlaud del Domaine omonimo e Jérémy Seysses, del Domaine Dujac.

Naturalmente c’è poi tutto ciò che completa normalmente ciascun numero: le notizie, la posta dei lettori,  le pagine dei columnist,  le rubriche , i distillati (rhum straordinari dall’Asia e dal Pacifico) e la gastronomia (déjeuner de campagne  al Bristol con gli champagnes di Alfred Gratien),  la bottiglia “mitica” (Chateau Simone 1990) e quella su cui si dibatte (un riesling grand cru Frankstein).

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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