Stampa estera. En Magnum n. 22: la mitica annata 1982 a Bordeaux e dove va il Sauternes?5 min read

,Sulla copertina del nuovo numero di En Magnum è una magnum (scusate il bisticcio) “à l’ancienne” con un’etichetta insolita per un Bordeaux: un’opera di Anatoly Gankevich dal titolo “With God” raffigurante l’astronauta Yuri Gagarin. Il mistero è presto risolto: si tratta del grand vin dello Château  La Grace Dieu des Prieurs , a Saint-Émilion acquistato nel 2014 da Andrei Filatov, magnate russo appassionato d’arte , che non ha certo lesinato risorse nelle vigne e in cantina. I titoli maggiori di copertina sono tutti per Bordeaux: la storica annata 1982, i Sauternes visti da Michel Bettane e i migliori vini della regione nel 2018.

Come sempre, nelle 130 pagine di grande formato di questa rivista trimestrale dell’inossidabile duo Bettane & Desseauve, c’è molta carne a cuocere, molta di più di quella rappresentata nei titoli di copertina. Non potendo occuparmi di tutti, ne ho scelto tre, che mi hanno interessato di più: il grande millesimo 1982, Sauternes di fronte alla crisi e la grande verticale di  40 annate dello Charmes-Chambertin del Domaine Charlopin-Parizot commentata dallo stesso Bettane.

Una nostalgica foto in bianco e nero di quel tempo , in cui Bettane e Desseauve, giovanissimi,  assaggiano grandi Bordeaux da Alains Sanderens, introduce l’ampio servizio del primo sulla “favolosa” annata 1982.L’autore  ricostruisce  le origini del suo mito e come essa abbia rappresentato una sorta di spartiacque nel mondo del vino bordolese. Eccezionale, in tutti i sensi, quell’annata lo era stata davvero. Un meteo eccellente (bel tempo e piogge nei momenti giusti),uve in stato perfetto, e cosa ancora più straordinaria, in grande abbondanza: probabilmente la più ricca  di sempre, in rosso,  nella Gironda. Subito consacrata come una grandissima annata, nonostante le esitazioni del négoce, il suo mito è via via cresciuto nel tempo e i suoi vini sono ancora ricercatissimi al mercato delle aste.

La 1982 è anche l’anno della rinascita dei vini di Bordeaux, dopo i disastrosi anni ’70, oltre che l’inizio di un radicale rinnovamento delle pratiche  viticole. Risale ad allora anche   l’esplosione del carisma di Robert Parker (ne parla Louis-Victor Charvet nell’articolo collegato): per la prima volta la stampa anglo-americana, che, pur avendo già stabile reputazione,  aveva fino  a quel momento esercitato un  ruolo praticamente irrilevante, giunse a influenzare i mercati in una misura mai vista prima.

Può andare in crisi la perfezione? Sembrerebbe di sì, a proposito dei grandi vini di Sauternes e Barsac, il cui fascino è apparso decisamente appannato da una drastica caduta della domanda. I cambiamenti del gusto, il bordeaux bashing, la competizione con i vini di altre regioni produttrici di vini liquorosi, che hanno messo in rilievo una più attenta regolamentazione dei protocolli delle loro selezioni di “grains nobles, con  l’interdizione della chaptalisation: sono molteplici le cause di una crisi commerciale, che ha indotto diversi proprietari di Châteaux prestigiosi a ricercare nuovi modi di consumo (compresa l’ammissione del ghiaccio) per riconquistare i consumatori e, sempre più frequentemente, a produrre vini secchi , con la semplice denominazione Bordeaux, al di fuori delle appellation Sauternes o Barsac. Ne parla ancora  Bettane, in un altro, ampio servizio della serie “Psychanalyse d’un terroir”.

Ora però si intravede la fine del tunnel, con uno slancio ritrovato, sia nella  vinificazione (più igiene, riduzione dei tassi di solfiti, attenuazione dei toni eccessivamente boisé) che nel miglioramento della comunicazione, complici anche alcune annate eccellenti (2010, 2011, 2015, 2016 e 2017). Le sorprese maggiori, a parte ovviamente i  premiers crus, vengono da molti cru bourgeois o artisans di grande valore, spesso sottovalutati.  Bettane ne cita 10 di grande valore: tra questi il Domaine de l’Alliance, con un bellissimo 2017, lo Château des Arrieux,  un cru artisan sorprendente da 13 euro a bottiglia , o il Clos Dady, a Preignac (eccellente il suo 2015). Ma il più inatteso di tutti è lo Château Closiot, dove Jean-Marie Guffens, gioielliere dello chardonnay del Maconnais e castellano nel Lubéron, coltiva la sua passione per i Sauternes in una vigna adiacente a Coutet, sulla inimitabile dalle di Barsac.

Eccomi ora alla verticale dei 40 anni dello Charmes-Chambertin del Domaine Charlopin-Parizot. Come è noto, Charmes è, fra i  grand cru di Gevrey-Chambertin, quello  maggiormente rivendicato dai vignerons, perché, oltre ad essere uno dei più grandi, con i suoi 12.25 ettari, può comprendere anche i vini di Mazoyères, che, con oltre 18 ettari e mezzo, è il più esteso: i produttori di quest’ultimo climat possono infatti denominare i loro vini indifferentemente Charmes o Mazoyères. Lo Charmes di Charlopin in effetti deriva da tre distinte particelle, due delle quali situate in Mazoyères e una nella parte bassa di Charmes.

Entrambi questi climats non fanno parte dell’élite storica dei cru di Gevrey: nella classificazione del Plan statistique des vignobles del CAB (Comité d’Agriculture de Beaune) del 1861, infatti, solo Chambertin, il Clos de Bèze e il piccolo Griotte erano situati nella prima classe, Mazoyères era  in seconda e Charmes parte in seconda e parte in terza. E in effetti, come ha sottolineato anche Castagno, Charmes è un climat molto disomogeneo, con parcelle di grandissima qualità (specie nella sua sezione più settentrionale) ed altre, nella parte più bassa , a est, di livello notevolmente inferiore. Philippe Charlopin e suo figlio Yann sono dei perfezionisti. Il grado di eccellenza raggiunto dai vini del loro Domaine è certamente segnato dall’influenza di Henri Jayer e Joseph Roty, ma , secondo Bettane, dovuto al “dono” nella  degustazione di Philippe, che gli ha consentito di comprendere prima di molti altri i difetti dei vini degli anni ’80 e di porvi rimedio. A parte le ultime magnifiche annate (2015 e ancor più 2016 sopra tutte, 2014 una riuscita ammirevole), è dal millesimo 1982 che comincia a delinearsi lo charme del pinot noir, con  progressi evidenti dal 1985, anno in cui il vino sembra aver guadagnato in carne e grasso, la 1989 è la prima annata davvero degna del suo rango. Grande millesimo il 1990, incredibilmente riuscito il 1994 (Chapeau! Setoso, di straordinaria finezza, con un grande allungo), annata molto difficile, in costante crescita 1996 e 1997, un monumento la rischiosissima annata 2003, eccellenti 2010 (più equilibrato dell’opulento 2009), il generalmente poco reputato 2011 e il 2012. Più Chambertin il 1998 di cui mostra alcuni tratti classici, molto aggraziati, quasi a evocare  uno Chambolle , 2000 (un millesimo sottostimato) e 2001. Insomma una grande degustazione, che un 1983, 1987 e 1988 (un problema negli anni ’80 ) bouchonnés non riescono a scalfire.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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