Stampa estera. Decanter, vol 47: Rioja, distillati e Champagne.9 min read

I vini e i distillati per le ricorrenze sono al centro di questo numero, che comprende anche un sostanzioso quaderno aggiunto riguardante la Rioja. Molta carne a cuocere e naturalmente molte degustazioni sono alla base del menu.  Innanzitutto quelle dei Panel Tasting: Champagnes Vintage e Cabernet Sauvignon australiani. Poi, naturalmente, l’Expert’s Choice, riguardante i vini di altre denominazioni che possono offrire un’alternativa ai Sancerre e Pouilly Fuissé. A queste, che, come sempre, rappresentano il corpo principale della “Buying Guide”, che chiude ogni numero, bisogna aggiungere il report sugli Chablis 2020 di Andy Howard, la selezione di “sweet wines”, i vini dolci e da dessert, di Peter Ranscombe,  e poi  le segnalazioni del mese dei redattori e i vini quotidiani, del fine settimana e dei giorni di festa.

Tra gli altri articoli, quelli di maggior interesse, sono il profilo di Château Angelus della specialista Jane Anson, e le “sleeping beauties”, le bellezze dormienti, del Rodano, Brézème e Seyssuel, presentate da Matt Wells. Che altro ancora, oltre alle consuete rubriche, i commenti dei columnist (Jefford sul 2021, l’”anno di tutte le miserie”),  le pagine educative di “Wine Wisdom” e le notizie sul mercato del fine wine? L’itinerario di viaggio (alla scoperta della gastronomia scandinava), i distillati (gin e whisky in evidenza), il “food pairing” (il classico tacchino di Natale).

Come sempre, mi limiterò a qualche accenno sulla maggior parte dei temi di questo numero, soffermandomi un po’ di più sul vintage report dello Chablis, sul profilo di Angélus e le scoperte rodaniane di Walls. Alla fine, un’occhiata molto veloce al supplemento dedicato ai Rioja.

Partiamo dalle degustazioni dei Panel Tasting. Champagne millesimati: 93 vini assaggiati di vari millesimi, dal 2002 al 2015, ma principalmente delle annate più recenti a partire dall’ottimo 2012.Nessun vino “exceptional” (98/100 o più), ma 7 con valutazioni tra 95 e 96, e ben 64 (quasi il 70%) che hanno raggiunto o scavalcato i 90 punti. Un solo campione difettoso. Del gruppo di testa fanno parte non a caso quattro 2012, un 2008 (il Rare Brut, top score con 96/100) , un 2007, ottimi millesimi anch’essi , e un 2009. Gli Champagne del millesimo 2012 fanno un po’ la parte del leone tra le cuvées “highly recommended” (90-94/100). Mancano all’appello, perché non degustate alcune delle cuvées più ricercate (Krug, Roederer, Pol Roger, Bollinger tra le altre).

Cabernet sauvignon australiani: 83 vini all’assaggio, in prevalenza di Margaret River e Limestone Coast. Anche in questo caso nessun vino ha raggiunto quota 98/100 e solo due hanno ottenuto il punteggio minimo (95/100) della seconda fascia qualitativa, quella dei vino “outstanding”. 33 vini oltre la barriera dei 90 punti (il 40%) attestano comunque un ottimo livello qualitativo. Sotto esame in questa degustazione vari millesimi, soprattutto gli ultimi tre. Provengono entrambi   da Margaret River, un 2018 (la Reserve Xanadu) e una delle cuvée più “vecchie” (del 2014), la Matthew Wilyabrup di Woodlands che hanno raggiunto la soglia dei 95 punti.

Le alternative ai Sancerre e ai Pouilly-Fumé della Loira selezionate dall’”esperto”: sono bianchi da uve sauvignon blanc della Loira, provenienti dalle denominazioni minori e assai meno costose di Reuilly, Quincy, Menetou-salon, Coteaux du Giennois, Valençay, o genericamente Touraine. Non mancano le chicche. Cinque di esse (due Menetou-Salon e un Reuilly, un Quency e un Coteaux du Giennois) delle ultime tre annate spuntano 93/100, a prezzi generalmente ben sotto i 20 pounds.

Un cenno anche ai vini dolci, anche spumanti e rossi. Tra questi sono anche un Moscato d’Asti di Chiarlo del 2020 (92/100) e un Brachetto d’Acqui, il Rosa Regale di Castello Banfi della stessa annata (93). Ma in cima al gruppo sono una Blanquette de Limoux ancestrale di Antech-Limoux (95/100) e, un punto al di sotto, il Nocturne di Taittinger (con un dosaggio doppio di quello del brut). Tra i vini fermi, ovviamente, spadroneggiano i Sauternes e gli altri grandi liquorosi di Francia (Alsazia, Jurançon, Loira) e Germania, senza dimenticare i bianchi dolci (dagli Auslese in su) di Mosella e Austria, i Tokaji Aszù, e isolati vini spagnoli, sudafricani, australiani e californiani. Anche due italiani (il Ben Ryé, Moscato passito di Pantelleria di Donnafugata, 2019, 96/100, e il Recioto classico di Allegrini 2015 (95/100). Ma il Top score (97/100) è quello di un Gewurztraminer VT alsaziano di Rolly Gassman del 2008.

E ora concentiamoci su Chablis, Angélus e cru dormienti del Rodano.

La vendemmia del 2020 nello Chablisien è stata indubbiamente tra le migliori degli ultimi anni, insieme con quelle del 2014 e del 2017.Un’annata classica che ha portato  Chablis freschi dal caratteristico timbro minerale, adatti a un buon invecchiamento: 5 stelle, per Decanter, come la 2017, meglio  della 2019 , che ne ebbe solo quattro, e naturalmente delle tre assegnate al  torrido 2018 e al 2016 funestato dalle gelate. Il ”vino della vendemmia” è il Les Clos grand cru del Domaine François Raveneau, che ha ottenuto 98/100. La 2020 è stata un’annata favorevole al Les Clos , che ha ottenuto le valutazioni più alte: 97 punti quello del Domaine William Fèvre, e 96  a quello del Domaine Vincent Dauvissat. Molto bene fra i grand cru, il  monopole La Moutonne del Domaine Long Depaquit  (97/100) , Les Preuses di Billaud-Simon (96/100) e Vaudésir di Bernard Defaix (94/100). Tra i premier cru, spicca la performance di un altro vino di Raveneau, il Montée de Tonnerre (96/100), un cru che ha ottenuto ottime valutazioni anche in altri Domaines: 94 quello di Brocard , 93 quello di Charlène e Luarent Pinson. Molto buoni i risultati di diversi altri premier cru (Fourchaume, Séchet e, più inatteso, Vau de Vey, con punte di 94/100). Tra gli Chablis Villages, anche quest’anno si segnala il Domaine Gueguen (93/100), e, con lo stesso punteggio, il Vieilles Vignes del Domaine Séguinot-Bordet  e il Saint-Pierre del Domaine d’Henri. Tra i Domaines “under radar”, da tenere sotto osservazione, che hanno ottenuto valutazioni molto alte per i loro Chablis “village”, segnalo quelli di Agnès e Didier Dauvissat, Camille e Laurent Schaller, Jean-Claude Courtault, e Orion.  Tra i più semplici Petit-Chablis, 91 punti per quello di Moreau et fils e per il Vibrant de La Chablisienne.

Su Angélus, Jane Anson che firma il suo profilo in questo numero, ha già scritto un bel libro. Questo Château grand cru classé 1 A di Saint-Émilion dal 2012 è stato recentemente investito dalle polemiche sorte intorno al suo proprietario, Hubert de Boűard, e dal processo originato dalle contestazioni derivanti dall’ultimo classement. La storia di questa proprietà, una delle pochissime possedute dalla stessa famiglia dagli anni che precedettero la rivoluzione francese,  inizia nel 1782 con l’acquisto, da parte di Jean de Boűard  de Laforest, di un lotto di vigne a St.Martin-de Mazerat, presto incrementato  a seguito delle nozze  della figlia di Jean, Catherine Sophie, con Charles Souffrain de Lavergne. L’acquisizione del Clos de l’Angélus, che avrebbe dato nome allo Château, ebbe luogo nel 1922, sicché, dal 1945, tutto il vino prodotto nei 12 ettari della proprietà , cominciò ad essere imbottigliato sotto il nome attuale. Angélus ottenne il riconoscimento come grand cru già nel primo classement di Saint-Emilion del 1955, a un secolo di distanza da quello napoleonico dei crus della Rive Gauche. Trent’anni dopo, all’età di soli 29 anni, Hubert de Boűard prese le redini della proprietà, che, nel 1996, ottenne il riconoscimento come premier grand cru classé, prima della consacrazione finale del passaggio dalla classe B alla A.

Angélus è stato uno dei primi  Châteaux a impiegare nel suo blend  un’alta percentuale di cabernet franc (il 46%),  che  conferisce al suo vino il suo carattere distintivo, molto floreale, cremoso e con una decisa marcatura di frutti neri. I principali cambiamenti di Angélus, pur in una sostanziale stabilità, avvennero negli anni ’80 con a seguito dell’incontro con Émile Peynaud, che, dopo aver assaggiato i vini del 1953 e del 1955, confermò l’eccezionale potenziale delle sue vigne. De Bo ard è diventato uno dei winemakers chiave di questo territorio, sperimentando nuove vie per ottenere una completa maturazione delle uve , come la vendemmia verde, la gestione della canopy e l’incremento della densità di impianto. La chiave di tutto è stata ancora il cabernet franc: un tempo veniva vendemmiato insieme col merlot, ma, lasciandolo maturare ulteriormente, conferiva al vino una potenza e una concentrazione eccezionali. Angélus ha iniziato negli anni scorsi la conversione alla conduzione organic, completata nel corso del 2021, e importanti investimenti sono stati compiuti in campo agroforestale, con 15 ettari di alberi tra le parcelle di vigna. In cantina il vino viene fatto fermentare in vari recipienti di legno o acciaio il merlot e in cemento il cabernet franc. L’affinamento dura fino a 22 mesi in un mix di barriques francesi con diverse tostature il merlot e il cabernet franc: quest’ultimo in parte in botti di dimensioni più grandi per bilanciare legno e frutto.  In questi ultimi anni la famiglia de Boűard si è fortemente impegnata nella ristorazione: dopo aver rilevato nel 2013 il Logis de Cadène, inel villaggio medievale di Saint-Émilion, nel 2019 ha acquisito anche lo storico ristorante Gabriel nel centro di Bordeaux (cocktail bar, bistrot r ristorante elegante, L’Observatoire du Gabriel). A fine articolo sono riportati gli assaggi delle ultime annate dello Château Angélus: 98/100 il vino di 2001 e 1989, 97 quello dell’annata 2009, 96 la 2012.

Eccoci infine ai vini di Brézème e Seyssuel. Il primo è un Côtes-du-Rhone con una propria AOC (Brézème Côtes-du-Rhone), situata a sud di Cornas: viene prodotto sulla collina di Brézème, non distante da Valence: i suoi suoli sono principalmente costituiti da calcari e depositi alluvionali del Rodano e del Drôme, differentemente dalla non lontana Hermitage senza granito. Brézème  era conosciuta per i suoi vini già nel ‘400 e, agli inizi dell’800, il suo prezzo era simile a quello del vino Hermitage. Mentre però, dopo la devastazione della fillossera, il vigneto di Hermitage fu ricostituito velocemente, le prime vigne a Brézème furono ripiantate solo nel 1940. Seyssuel si trova più a nord, vicino Vienne, nella Côte-Rotie, non distante da Condrieu, un terroir più caldo per la sua esposizione a sud-ovest. Per l’80% rossi da uve syrah, i vini di Seyssuel , inquadrati attualmente nell’AOC Collines Rhodaniennes, assomigliano molto a quelli della Côte-Rotie. Per quanto riguarda i bianchi regna ovviamente il viognier. 95 i punti assegnati al Brézème rouge 2020 del Domaine des Quatre Cerises, simile ai migliori St.Joseph,  e 93 al Vigne dela Carrière 2018 di Martin Texier. In bianco, il blend Marsanne-Roussanne-Viognier 2019 del Domaine des Quatre Cerises ha spuntato, con 92/100, lo score più alto per i vini di quel colore. A Seyssuel ottiene 94/100 il viognier in purezza Esprit d’Antan 2019 di Pierre-Jean Villa, mentre tra i rossi l’Asiaticus 2019 di Pierre Gaillard, con 94, il Ripa Sinistra 2018 di Yves Cuilleron e L’Ame Soeur 2018 di  Stéphane Ogier con 93/100, guidano il gruppo dei migliori vini della denominazione.

Il supplemento dedicato alla Rioja consta di 96 pagine a colori denso di articoli riguardanti i cambiamenti in corso nella regione, l’ascesa della garnacha, il Who’s Who (i nomi celebri)  della Rioja, la rinascita dei bianchi della Rioja, e inoltre: l’invecchiamento dei millesimi 2001 e 2010, i vini da viñedos singular (Panel Tasting) ,  quelli che hanno reso famosa la regione e che esprimono stili diversi , le scelte dei sommeliers. Infine l’itinerario di viaggio con le indicazioni per visite e soste, e i suggerimenti su come investire nella Rioja

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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