Stampa estera a portata di clic: Decanter, aprile 20198 min read

 Dopo il numero monografico di marzo, dedicato ai vini spagnoli, questo appare decisamente più global. Difatti le due grandi degustazioni tematiche di questo mese sono dedicate rispettivamente ai carmenere cileni e a ai picpoul de pinet della Languedoc.

Poi, è ancora  Sud America, con il report su Monasterio (Argentina), ci sono i  rossi del Pacifico nord-occidentale (Washington e Oregon) dell’Expert’s Choice, Howell Mountain in California,  gli Chardonnay australiani,  e parecchia altra Francia : Rodano Sud (in copertina con quattro suoi  crus),  i “super-premiers”  della Borgogna,  la rivisitazione del millesimo 2016 di Bordeaux.

Naturalmente, tutte le solite rubriche, dalle lettere alle notizie, le pagine dei columnists  (Jefford sulla sterilità delle perfezione tecnica, ed Elin Mc Coy sulla possibilità di sopravvivere del Moscato Passito di Pantelleria in un’epoca che sembra rifiutare i vini dolci), il Fine Wine World di Spurrier, i Weekday Wines di Tina Gellie, le Notes & Queries.

Cominciamo dalle grandi degustazioni del mese, senza entrare ovviamente nel dettaglio, lasciando al lettore interessato di scoprire il resto. Il carmenere, un tempo confuso con il merlot, è una delle sei varietà classiche del bordolese, abbandonata dopo l’invasione della fillossera, che ha trovato un terroir molto favorevole in Cile. Ora si comincia a conoscerla davvero: si tratta di  un vitigno a maturazione tardiva, che ha bisogno di un clima caldo, ma non torrido, e di suoli ben drenati non eccessivamente fertili. Vendemmiato non perfettamente maturo,  il carmenere è spaventosamente “verde”; vendemmiato troppo maturo, invece, la sua acidità precipita verso il basso e perde la sua caratteristica verdeggiante. E’ fragile: le rese troppo alte  danno vini scadenti, gli autunni piovosi hanno conseguenze catastrofiche su di esso.

Insomma, è un tipino difficile. L’annata 2016, annegata da un mese di aprile torrenziale,  è stata disastrosa; abbastanza negativa è stata anche la 2017, a causa delle ondate di calore e  degli incendi; molto buona, nonostante le gelate, che hanno fortemente ridotto la produzione, invece la qualità dei vini del 2014 è discreta (con punte di ottimo livello) quella del 2015, forse un po’ troppo generosa per il clima molto mite.

E la 2018? Relativamente fresca, la vendemmia ha dato vini generalmente buoni , ma variabili, per difetto di maturazione dei carmenere dei siti più tardivi. I risultati della degustazione di Decanter (in assaggio i vini delle annate 2014-2017) sono in definitiva buoni , con due vini outstanding (da 95/100)  e 11 highly recommended (90 punti o più, fino a 94).

E’ abbastanza insolita, invece, l’altra degustazione, dedicata ad un vino bianco “minore” della Languedoc , amatissimo dagli inglesi, che ne bevono più di un terzo della produzione.  Che cos’è il picpoul o piquepoul? E’, con la clairette e il terret, una delle tre varietà impiegate per la produzione di vermouth francese. Il vino ha origini modeste (AOP solo dal 2013). Proveniente da   una regione dominata dalle  cooperative, che  coprono oltre l’80% della produzione, grazie anche all’impiego molto diffuso della meccanizzazione, ha costi  molto bassi, caratteristica che ha attratto i grandi  rivenditori britannici. I progressi della vinificazione dei vini bianchi ne hanno fatto un tipico “oyster wine”, apprezzato per la sua freschezza acidulata e il suo carattere salino, associato ad un basso tenore di alcol.

Inutile parlare di vendemmie vecchie: il picpoul va bevuto giovanissimo. La 2017 è stata un’annata molto difficile per le gelate, che hanno però toccato molto di meno il picpoul, vista la sua collocazione più vicina alla costa, mentre l’annata 2018, più tiepida e umida,  ha  ingenerato problemi di mildiou, sebbene la rapidità degli interventi e le brezze marine abbiano permesso di affrontare con successo la situazione, e la qualità dei vini sia generalmente ottima. La modestia del vino non ha impedito che due cuvée siano state  valutate come oustanding dal gruppo di degustatori di Decanter , coordinato da Jefford, e ben 22 highly recommended.

La terza degustazione della Decanter Buying Guide, quella dell’ “Expert Choice”, riguarda i vini rossi degli Stati del Nord-Ovest americano, che si affacciano sul Pacifico, Washington e Oregon. Questi territori, pur se tra loro vicini, sono caratterizzati dall’impiego di  varietà  diverse: rosse bordolesi (più syrah) nello stato di Washington, con Cabernet e Syrah che eccellono entrambi a Walla Walla, e le varietà del Rodano nel Rocks District of Milton-Freewater, mentre il Pinot noir regna sovrano nell’Oregon , specie nella Williamette Valley. Nella selezione di Michael Alberty, sono al top due Pinot dell’Oregon, seguiti da due Syrah di The Rocks District.

Ad aprire il numero di aprile è però la guida agli Chardonnay australiani, curata  da Sarah Ahmed. Questi vini hanno contribuito a rimodellare lo stile dei vini bianchi nel mondo, ma ora il trend sta cambiando. Sono oltre 20.000 gli ettari coltivati con questa varietà (il 44% di tutte le varietà a bacca bianca in Australia); l’ultima vendemmia, la 2018, è stata eccezionale in Tasmania, Victoria e nell’Australia occidentale, e segue a tre annate tutte molto positive (eccezionale la concentrazione e la purezza dei vini del 2015, freschi, vibranti e ben strutturati gli chardonnay, soprattutto nella regione di Margaret River , del 2016, intensi e aromatici i vini del 2017 , nelle regioni  a clima più secco, minore concentrazione del Grande Sud e a Coonawarra, colpite maggiormente dalle piogge).

A guidare il gruppo dei 20 “veri” migliori secondo Sarah Ahmed, uno chardonnay della Tasmania del 2017, di Tolpuddle Vineyard, nella Coal River Valley, con 98/100, “thrillingly mineral”,  per usare un’espressione dell’autrice.

Situato nella Uco Valley, Monasterio è, secondo Patricio Tapia, il maggior candidato a diventare  il primo grand cru dell’Argentina. Il suo suolo caratteristico è chiamato localmente “cemento indiano”: è una miscela di sabbie, ciottoli, argilla e gesso, molto compatto.  I suoi vini (ovviamente soprattutto malbec) sono marcati, più che dal frutto o dal carattere erbaceo, da un’impronta terrosa e minerale.

A seguire è il Vintage Report di Matt Walls sull’annata 2017 nel Rodano meridionale: un millesimo caldo e molto secco, che ha dato vini rossi potenti e strutturati, talvolta surmaturi o con tannini un po’ ruvidi, e vini bianchi più ricchi che freschi. Quattro bottiglie e mezza (su 5) è la valutazione di Decanter dell’annata 2017: furono 5 nel 2010 e nel 2016, mentre l’annata peggiore delle ultime dieci è stata la 2008 (due bottiglie), seguita dalla 2014 (due e mezza).

Tra i rossi della regione, spicca lo Châteauneuf-du-Pape di Château Rayas (98 punti), tra i bianchi quello di Beaucastel (100% Roussanne, 96 punti). Il miglior rosé viene naturalmente da Tavel (93 punti per quello del Domaine des Carabiniers).

Di Howell Mountain, bersaglio del “profilo regionale” stilato da Elin Mc Coy,  mi limito a dire  che si tratta di un’ AVA della Napa Valley (California)  istituita nel 1983. I primi impianti risalgono al decennio 1870-80: sono circa 600 ettari di vigna, situati tra i 425 e i 725 metri di altitudine, caratterizzati da suoli da ceneri vulcaniche rocciose (tufo) e argille rosse. Le varietà coltivate sono principalmente quelle bordolesi tra i rossi, ma anche quelle rodaniane, più lo zinfandel; tra i bianchi, fondamentalmente sauvignon. I produttori sono una quarantina, ma una decina sono quelli più interessanti, secondo Walls.

Stephen Brooks , borgognologo di Decanter,  presenta in un suo articolo intitolato “Premier cru status, grand cru quality”, sui cosiddetti “superpremier” della Borgogna,  siti che, pur avendone la qualità, non hanno ricevuto il riconoscimento di grand cru. Sono ben conosciuti dagli esperti:  il Clos St. Jacques a Gevrey-Chambertin, Les Amoureuses a Chambolle-Musigny, Aux Malconsorts a Vosne-Romanée, Les St.Georges a Nuits-St. Georges, Grèves (con il gioiello della Vigne de l’Enfant Jésus) a Beaune,  Épenots e Rugiens a Pommard, Les Caillerets a Volnay. Forse sarebbe il caso di aggiungere anche Perrières a Meursault .

Siamo intanto giunti a Bordeaux e alla rivisitazione della grande annata 2016 fatta da Jane Anson, corrispondente di Decanter a Bordeaux e autrice del volume  “Bordeaux Legends”, dedicato ai Premiers Crus bordolesi. Per la Anson, quella del 2016 è stata un’annata classica nel Médoc, che darà vini da lungo invecchiamento, e nella quale molti  crus hanno prodotto  i loro vini migliori dal 2010.

Cento punti hanno ricevuto due vini del Médoc (Lafite-Rotschild a Pauillac, e  Léoville-Las Cases, a St. Julien), uno delle Graves (Haut-Brion , a Pessac-Léognan), due del Libournais (Lafleur e Trotanoy a Pomerol).  Altri 13 vini sono stati valutati 99 o 98 punti, a confermare il valore molto alto del millesimo. L’articolo ha preso in esame solo i vini rossi, escludendo i bianchi delle Graves e i moelleux del Sauternais.

Oltre a quelli di cui abbiamo parlato fin qui, annunciati da titoli più o meno grandi di copertina, ci sono anche altri articoli, ai quali devo almeno accennare.  Il primo riguarda i riconoscimenti del Decanter Hall of Fame, che premia quest’anno una donna, Becky Wasserman-Hone, un nome ben conosciuto  a coloro che si interessano di Borgogna, per il ruolo svolto negli ultimi 50 anni nella conoscenza e diffusione dei vini   di questa regione. La Wasserman è l’unica donna ad aver ottenuto questo premio dal 1999, quando a ottenerlo fu Jancis Robinson.Entrambe sono state precedute  solo da  Laura e Corinne Mentzelopoulos, nel 1985, e da May-Eliane de Lenquesaing, nel 1994.

Un ultimo  articolo  di questo numero è quello di Rupert Joy, che riguarda un tema del quale si parla sempre più frequentemente in questi ultimi tempi, quello della “sostenibilità” della vitivinicoltura. Il suo impatto ambientale è  molto più alto di quanto si creda, in quanto tende ad essere sottostimato rispetto a quello generalmente riconosciuto all’agricoltura intensiva su larga scala,  nella quale l’impiego diffuso di pesticidi ha fortemente ridotto la biodiversità e danneggiato molte specie di insetti benefici, come le api e i ragni,  e conseguentemente gli uccelli e i pipistrelli , che si nutrono di insetti.

La via tracciata, oltre ad una forte riduzione o eliminazione dell’impiego di  prodotti di sintesi, è un vero e proprio cambiamento di paradigma, che concepisca e   cerchi  di preservare le aree viticole come ecosistemi, considerandole parti  di  agro-sistemi più ampi, adottando una viticultura “collaborativa”,  che non cerchi soltanto di combattere la natura, ma di conservare lo stato di salute del territorio.

Che altro c’é? Gli itinerari di viaggio (il primo riguarda le scuole del vino, il secondo Las Vegas) e la Wine Legend del mese: un Cabernet Sauvignon sudafricano di Paarl, il Nederburg 1974. Solo un cenno, infine, con la riserva  di parlarne più approfonditamente in altra occasione, alla domanda del Market watch di questo mese: quanto può durare ancora la bolla dei prezzi dei vini della Borgogna?

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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