Stampa estera. Bourgogne Aujourd’hui, n. 159/2021: spazio alla biodinamica!9 min read

La Biodinamica e i suoi pionieri sono al centro di questo numero, poi ci sono le grandi degustazioni delle annate 2018 e 2019 nella Côte Chalonnaise e nei terroir di Nuits-Saint Georges e Vosne-Romanée, con la novità del “Cahier Jura”, destinato ad alternarsi  ai soliti dedicati ai Beaujolais e ai Crémant. Infine , l’incontro-intervista con Sébastien Reymond e il Dossier sul deperimento delle vigne in Borgogna. A un colorato servizio fotografico dedicato alle gelate di aprile e alle strategie messe in atto dai vignaioli per difendersi, segue la corposa intervista a Reymond, chef-sommelier del tristellato  Chez Lameloise (unico 3 stelle della Borgogna), che parla della sua esperienza e del suo modo di concepire la sommellerie.

Più avanti è l’articolo gastronomico dedicato al lusso “locavore” dello chef Jeremy Muller del raffinato Domaine de Rymska a Saint-Jean -de-Trézy ma adesso ci concentriamo sui pionieri della biodinamica in Borgogna.

Cinque come le dita di una mano, sono stati Jean-Claude Rateau (il primo?), Didier Montchovet,Dominique Derain, Emmanuel Giboulot e Thierry Guyot, ad applicare i principi e i metodi della biodinamica nella regione,  seguiti poi da altri, più o meno isolati, nel Maconnais e nelle Hautes Cotes. La loro serietà, l’apertura mentale, il loro coinvolgimento nelle associazioni professionali , i legami intrecciati con tecnici importanti come Claude Bourguignon, Yves Hérody, Pierre Masson,  sono stati decisivi nel cambiare un atteggiamento inizialmente ostile al biologico , spesso oggetto di derisione nell’ambiente.  Nel 1983 Rateau, con il suo gruppo di “copains”, aveva fatto del suo Domaine una porta aperta al confronto con studiosi come Bourguignon, che andò a parlarvi della vita microbica dei suoli  Ma la  svolta  venne negli anni 1989-90, quando si interessarono alle loro esperienze alcune grandi personalità del mondo del vino borgognone: Lalou Bize-Leroy, Dominique Lafon, Anne-Claude Leflaive e Philippe Drouhin.

Dietro di essi un numero crescente di vignerons cominciarono  a seguirli e imitarli. Oggi quasi un quarto delle vigne del Dipartimento della Côte-d’Or possiede  già una certificazione  biodinamica o è in conversione Una tappa decisiva per il movimento  fu naturalmente la creazione, nel 1995, del GEST (Groupe d’Etude et de Suivi des Terroirs), di cui Rateau sarà Presidente dal 2013 al 2018, per il ruolo da esso svolto di diffusione delle idee della biodinamica e di avvicinamento tra grandi e piccoli Domaines.

La loro è una  visione ampia, non settaria, che non crea barriere artificiali tra approcci diversi, tanto da far dire a Didier Montchovet che le cose che accomunano i vignaioli biodinamici a quelli che lavorano con serietà  con i metodi convenzionali sono più numerose di quelle che li separano. Di ciascuno di essi Christophe Tupinier, autore dell’articolo, delinea un breve ritratto, ricostruendo le tappe fondamentali del loro percorso nell’ambito della biodinamica . Una degustazione di vini di questi Domaines, ospitata  a Nantoux, nelle Hautes-Cotes de Beaune, ospitata da Boris Champy, già chef de cave al Domaine des Lambrays, che, agli inizi dello scorso anno ha ripreso il Domaine Montchovet, conclude questo interessante servizio.

La biodinamica è oggi considerata una risorsa importante anche nell’affrontare le nuove sfide del cambiamento climatico. Elisabeth Ponavoy presenta di seguito un rapporto tecnico sul deperimento delle vigne e le sue cause: a partire dall’Esca e dal BDA e ai loro agenti patogeni alla cicadelle (Flavescenza dorata). Un ruolo importante, a questo proposito, sembra l’utilizzo di porta-innesto adeguati (il diffusissimo 161-49 C comincia a mostrare i suoi limiti) e di potature rispettose del flusso della linfa.

Prima di passare alle degustazioni di questo numero, mi limito ad accennare al ritratto, fatto da Christophe Tupinier, di Jean-Philippe Fichet, che, nel suo piccolo Domaine di poco più di 7 ettari a Meursault, produce  eccellenti villages  di quella denominazione, tra i quali il Meursault Les Chevalières, proveniente dal climat da cui prende il nome, un climat d’altitudine, molto calcareo, non classificato come premier cru a causa della sua esposizione a nord-est. L’assaggio delle annate dal 1998 ad oggi di questo vino mette in evidenza un elevato valore qualitativo e una bella regolarità, con il suo vertice nel millesimo 2010 (18.5/20).

Come si è detto, in questo numero i banchi di assaggio sono tre per l’aggiunta di quello dei crus dello Jura.

Cominciamo dalla Côte-Chalonnaise e le sue cinque appellations, partendo da quella più settentrionale, Bouzeron. 31 i campioni degustati  e poco più della metà (16) quelli  selezionati, a prova di una minore brillantezza dei bianchi nelle ultime due annate (unica eccezione Rully, nella quale i bianchi da uve chardonnay  hanno superato, per numero di riuscite, i rossi). Il migliore assaggio è stato  quello del Bouzeron Les Bouchines 2019 dello Château de Chamilly (16.5/20). Su valori vicini, a quota 16/20, il cru Les Corcelles 2019  de Les Champs de Thèmes, che si conferma un riferimento molto affidabile per l’appellation  e il  La Fortune 2019 del Domaine Jocelyne Chaussin.

A Rully, terra principalmente di bianchi, si distingue, come sempre, il domaine Dureuil-Janthial, con una serie di Rully bianchi e rossi di notevole livello. Tra i primi sono molto buoni, i Premier Cru Gresigny 2019 e Il Meix Cadot VV 2018(rispettivamente 17 e 17.5/20), mentre  tra i rossi spicca il Premier Cru Le Chapitre 2019 con 18/20, ma non è da meno il Rully En Guesne 2019 (17.5/20). La valutazione più alta della denominazione, però, tocca al Rully rouge La Barre della Maison Gouffier 2019 (18.5/20), presente alla degustazione anche con due ottimi Mercurey rouge. Apprezzabili come sempre le selezioni dei Domaines Jacqueson ,  Raquillet,  Jean-Baptiste Ponsot e Vincent Daux (18/20 per il suo sorprendente Rully rouge monopole Clos de Vésignot 2019).

Molto bene, soprattutto per quanto riguarda i rossi, è andata ai Mercurey. Tra i produttori, spicca il perfezionismo dello Château de Chamirey dei Devillard, con un eccellente Les Cinq Premier Cru rouge: 18/20 per l’annata 2019 e 17/20 per la 2018. Di ottimo livello anche il Mercurey rouge del Clos de la Maladière (17/20 il vino del 2018). Carnoso, elegante e molto lungo il bianco Premier Cru de La Mission (16.5/20 per il vino del 2018 e altrettanti per quello del 2019). Ottima riuscita anche quella del  Domaine Bruno Lorenzon, che spunta i punteggi più alti della degustazione, sia per i rossi,  con  la  cuvée Carline di Les Champs Martin 2019  (18.5/20), che per i bianchi , con il Clos des Barraults 2019 (17/20). Da segnalare anche il Clos de la Perrière rouge dello Château de Chamilly /17/20)  e l’ottimo  Les Naugues Premier Cru rouge  2019 del Domaine Jeannin- Naltet (17.5/20) , presente alla degustazione con una mezza dozzina di rossi dell’appellation, tutti compresi nel gruppo di testa. In margine alla degustazione , Bourgogne Aujourd’hui presenta un interessante focus sul Premier Cru Les Champs Martin: 13 ettari circa , di cui il Domaine Bruno Lorenzon, che ne è il maggior proprietario,  possiede quasi tre ettari e mezzo: dà dei Mercurey di grande finezza e mineralità, sia in bianco  (circa il 35%) che in rosso.

Quella di Givry è una denominazione più conosciuta per i suoi rossi, ma non mancano espressioni di buon livello degli chardonnay, come il Clos de la Brulée 2019 della famille Masse (17/20, punteggio più alto per i bianchi della denominazione). Al vertice della degustazione dei rossi (più dei tre quarti delle cuvée selezionati, a testimonianza del valore delle due  annate in esame), il Givry Les Teppes 2018 del Domaine Michel Sarrazin et Fils (18.5/20), che propone un ventaglio di altri bianchi (Champ Lalot Premier Cru 2018 16/20)  e soprattutto rossi di ottimo livello (Clos de la Putain 2019, 17.5/20, e il Les Bois Gauthiers Premier Cru 2019, anch’esso 17.5/20) di questa appellation.  Fra gli  altri Givry rouge sono apprezzabili  quelli del Domaine de la Ferté (17.5/20 il Clos de Mortières 2019) e del Domaine Ragot (16/20 il suo Vieilles Vignes 2019). Da segnalare, tra le riuscite migliori dell’annata,  quella del Givry rouge 2019 del Domaine du Four Bassot, fresco e molto equilibrato (17/20).

Leggermente meno brillante delle altre, l’appellation Montagny (solo bianchi), trova il suo punto più alto nel Premier Cru Madeleine 2019 del Domaine Claude Jobard (17/20): da una vigna di 50 anni, è ricco, grasso, molto sensuale, con sentori di frutta gialla e agrumi, ed eleganti note grigliate. Molto convincenti anche i Montagny del Domaine Laurent Cognard, specie  quelli delle due annate del Premier Cru Clos du Vieux Chateau (16.5/20 la 2019 e mezzo punto in meno la 2018. Bene anche Les Bassets 2019 generoso e polputo, molto tropicale.

La seconda grande degustazione sistematica riguarda i crus di Nuits-Saint-Georges e Vosne-Romanée delle annate 2018 e 2019. Entrambe hanno dato vini di ottima qualità: ricchi e solari, per l’innalzamento delle  temperature, ma anche equilibrati, con un frutto maturo ma fresco. Sono stati 170 i campioni di Nuits Saint-Georges , più o meno equidivisi tra le due annate e una settantina di Vosne-Romanée, più una quindicina di grands crus. Non ingannino perciò le percentuali di riuscita più alte di questa seconda denominazione, in parte  prodotte dalla maggiore ristrettezza dei campioni. Buona la  qualità e abbastanza omogenea tra le due annate: la 2018 è stata un’annata più generosa per le quantità e i vignerons hanno dovuto fare attenzione a non lasciar fare troppo agli eccessi di produzione, in parte un rimbalzo dopo la penuria di 2016 e 2017. Il punteggio più alto della degustazione per i vini di Nuits è stato quello del Premier Cru Les Chaignots 2019 delle sorelle del Domaine Mugneret-Gibourg, con 19/20, proveniente da una vecchia vigna di 80 anni, che ha letteralmente stupito  gli assaggiatori.

Leggermente inferiore il punteggio della cuvée top  dei Vosne-Romanée: il villages 2018 della brava Amélie Berthaut del Domaine Berthaut-Gerbet, che coniuga potenza e finezza raggiungendo una profondità non comune tra i vini dell’annata. Tra i grands crus (ovviamente assenti le star), spicca l’Échezeaux  2018 di Anne Gros  (17/20 al suo Richebourg), con 18/20. Anne è ora affiancata dai due figli Julie e Paul e prepara la trasmissione del suo Domaine . “Riquadri” speciali anche per i Domaines  Philippe et Vincent Lecheneaut (un ottimo Vosne, 17/20, e diverse cuvées di Nuits di bella qualità), Truchetet e Legros, entrambi segnalati per i loro Nuits-Saint-Georges villages e Premier Cru. Molto buone anche le proposte di Georges Noëllat (18/20 al suo Vosne Les Suchots 2019 e al suo Échezeaux 2019) e del Domaine des Perdrix (molto buono il suo Vosne villages 2018, 17.5/20, tutte tra 16 e 17/20 le altre cuvées in degustazione).

Resta la degustazione dei crus dello Jura, preceduta da un’ampia introduzione di Gilles Tremaille (“Un vigneto da scoprire”). A lungo nell’ombra, nonostante le sue piccole dimensioni, i vini dello Jura viaggiano ultimamente con il vento in poppa e i vini di alcuni Domaines sono oggi molto ricercati e venduti a peso d’oro. Poche AOC, una geologia unica e una serie di varietà poco conosciute e assai poco diffuse altrove rappresentano un motivo di  richiamo  per i winelovers stanchi della Borgogna e dei suoi prezzi. Da scoprire sono non solo i preziosi Vin Jaunes (sono da assaggiare anche le versioni “ouillées”, ossia senza voile, del savagnin, ma anche i rossi da poulsard e trousseau. Solo qualche parola sugli assaggi. Sono stati 102 i vini testati, di cui poco meno del 60% selezionati per il loro livello di qualità. Tra i bianchi  la “meilleure note” è toccata ad un Arbois blanc, la  cuvée Signée Roger del 2018  di Fredéric Lornet (18/20), mentre il trofeo dei rossi è stato vinto da un Côte-du-Jura rouge Trousseau 2019 del Domaine Pignier (stesso punteggio). Buone indicazioni sono venute dal Domaine Benoît Badoz  (molto buono e gourmand il suo Poulsard sans soufre Grain de Poulsard appena rilasciato dell’annata 2020) e dal Domaine Dugois, con alcuni Arbois rouge Trousseau di buon livello.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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