Stampa Estera. Bourgogne Aujourd’hui, n. 158: Volnay e Pommard del 2018 in pista!9 min read

In copertina sono in evidenza le degustazioni dei rossi del 2018 (Volnay e Pommard, Marsannay e Fixin e i Côtes de Nuits-Villages) col titolo “Arrossire di piacere”. Poi: il dilemma tra i bianchi ricchi o “tendus” (tesi, vibranti) e il quaderno dedicato ai crus del Beaujolais dell’annata 2019. Infine, i dieci “monopole” di Volnay. Poi, naturalmente, c’è anche altro: l’incontro con due star dell’universo vinicolo femminile della Borgogna (Ludovine Griveau e Nadine Gublin), Eric Forest e il terroir de Les Crays verso la vetta, i desserts di Aymeric Pinard a “La Côte-d’Or” di Saulieu,  e le consuete rubriche dell’attualità.

Cominciamo dalle degustazioni della Guide d’Achat e dal riassaggio dopo quello di un anno fa, dei vini delle annate 2017 e 2018  delle appellations Volnay e Pommard. Si è trattato  di due ottime annate con caratteristiche diverse: i vini della 2017 sono più “flatteurs”, seduttivi, e saranno apprezzati per il loro frutto e la loro eleganza; quelli della generosa e calda annata 2018 sono più densi e concentrati e hanno bisogno di più tempo per rivelarsi appieno. Nessun dubbio però sulla qualità di entrambi i millesimi, anche se i punteggi assegnati premiano maggiormente l’annata 2018, che propone dei Volnay e dei Pommard più carnosi  e più ricchi, riflesso di una maturazione più completa. La valutazione più alta , per Volnay, con 19/20, è stata quella raggiunta dal Clos des Ducs Premier Cru 2018 (uno dei dieci magnifici monopole dell’appellation, di cui parla Tupinier nell’articolo allegato, di proprietà esclusiva del Domaine Marquis d’Angerville), mentre a Pommard è il Les Charmots Premier Cru 2018 del Domaine Jacques Prieur a ottenere, con 18.5/20 , il maggior punteggio della sua AOC. Sono comunque molte le cuvées delle due annate  a superare i 16-17 punti . T

Tra i produttori, vi sono belle conferme dal Domaine Jean-Marc Bouley (“il perfezionista”), da Comte Armand Domaine des Epenaux, Bernard et Thierry Glantenay, Benjamin Leroux,  tutti  con eccellenti batterie di vini delle due denominazioni . Spicca in particolare il primo, con i 18.5/20 del suo Volnay Les Caillerets Premier Cru  2018. Da seguire il Domaine di Jean Vaudoisey, specie per i suoi affidabili Pommard. Fa piacere  rilevare il ritorno in grande del prestigioso Domaine Bouchard Père et Fils, con due impeccabili batterie di Volnay (18.5/20 per il Volnay Les Caillerets Ancienne Cuvée Carnot 2018 e 17/20 per il suo Taillepieds 2018 e molte altre selezioni parcellari di queste due AOC oltre i 16/20).

Il report sulla  degustazione è arricchito da due articoli-satellite: il primo, al quale ho già accennato, è quello dedicato ai dieci Clos monopole di Volnay, dai tre  Premier Cru del Domaine de la Pousse d’Or (Clos La Bousse d’Or, Clos des 60 Ouvrées e Clos d’Audignac), al Clos de la Barre, di proprietà Coupet, ma sfruttato en fermage dalla Maison Louis Jadot, ai quali va aggiunto Les Grands Champs, monopole dal 2010 del Domaine Réyane et Pascal Bouley, che però non è un Clos, cioè non è circondato da mura. Una bellissima foto a due pagine mostra una veduta dei coteaux di Volnay, in cui si scorgono  ben otto dei clos descritti nell’articolo, ad accezione del Clos de la Cave des Ducs , situato nel cuore  del borgo e del Clos des Ouvrées, situato al limite del confine con Meursault, che non risultano visibili. Ciascun Clos è descritto in un’ampia scheda, che ne riporta storia, caratteristiche e proprietà  e l’assaggio di due annate, una recente e l’altra più vecchia. L’altro articolo satellite è il focus sul climat Les Épenots, Premier Cru di Pommard, articolato nei suoi tre lieux-dits (Les Petits e Les Grands Épenots, con in mezzo il Clos des Épenaux). Da conservare la dettagliata cartina , nella quale sono riportate le parcelle possedute dai vari Domaines.

Eccoci all’altra degustazione, dedicata alla vendemmia 2018 delle AOC cosiddette minori della Côte de Nuits: Marsannay e Fixin e l’ibrida appellation Côte-de Nuits-Villages: da non trascurare, per la loro maggiore accessibilità rispetto alle altre denominazioni della regione. Nonostante un’annata, come è noto, caldissima e dai rendimenti potenzialmente elevati (soprattutto per gli chardonnay) , le riuscite sono state numerose, anche per i rari bianchi , molto equilibrati. Quanto ai rossi sono praticamente delle bombe di frutti neri, ricchi e gourmand, dai tannini setosi e, nonostante tutto, equilibrati.  Per l’AOC Fixin, l’Oscar della degustazione va a Les Hervelets Premier Cru rouge del Domaine Bart, con 18/20, mentre il Domaine Jean Fournier, specialista di Marsannay, con i 18.5 /20 del suo Trois Terres Vieilles Vignes spunta il punteggio più alto della sua denominazione. Tra i Côte-de Nuits-Villages, la migliore performance, sempre in rosso, è della Cuvée del Domaine Collot Bernard Père et Fils. Oltre a quelli già citati , i quali hanno ottenuto ottimi risultati anche per le altre cuvées degustate, si sono confermati o fatti notare  il Domaine Berthaut-Gerbet, che ha adottato la vendange entière per guadagnare in freschezza, lo Château de Marsannay, in procinto di acquisire, nel 2022, la sua certificazione bio, il Domaine Galeyrand (17.5/20 il suo Côte-de Nuits-Villages rouge) e il Domaine Collotte (17.5  per il suo Marsannay  Grasses Têtes).

Ora un accenno agli altri articoli prima di soffermarmi un po’ di più sulla interessante intervista a due alla Griveau e alla Gublin. Innanzitutto il ritratto del Domaine Eric Forest, dove, ormai da venti anni, l’ancor giovane titolare porta in alto il prestigio dei Pouilly-Fuissé di Vergisson: esemplare il suo Les Crays, ormai premier cru, di cui “Bourgogne Aujourd’hui” riporta un’esaustiva verticale di tutti i millesimi , a partire dal 2000, il primo prodotto di questa cuvée (grandissima regolarità, con la punta del 2010, 18/20). A seguire, dopo un denso articolo storico  di Jean Pierre Garcia  sui classici “cépages” borgognoni diventati dominanti nel corso dei secoli , il dibattito sullo stile dei bianchi: ricchi o tendus? Ne parla Jean-Philippe Chapelon,che commenta un consistente gruppo di assaggi esemplari dei due stili. Intervengono sul tema anche due produttori ben conosciuti della Côte-de Beaune (Patrick Essa, del Domaine Buisson-Charles) e e del Maconnais (Frédéric-Marc Burrier, del Domaine omonimo). I golosi desserts di Aymeric Pinard , chef patissier dell’arcipelago Loiseau, precedono la chiusura del fascicolo con l’inserto (ormai parte integrante della rivista) dedicato ai crus del Beaujolais del 2019: una buona annata, anche se meno brillante della 2018 , da bere prima di quella che l’ha preceduta, e anche della 2017: solo Moulin-à-vent sembra aver mantenuto i suoi standard soliti  . Punteggio più alto della degustazione, il Côte-de-Brouilly cuvée Zaccharie dello Château Thivin (18.5/20). Raggiungono quota 18 anche il Regnié Sous la Croix del Domaine Les Capréoles, lo Chirouble Climax dello Château de Javernand, la formidabile cuvée Les Impénitents ( Morgon Javernières del Domaine Jean-Claude Desvignes), il Moulin-à-vent Le Clos del Domaine Labruyère.

Ludivine Griveau

Nadine Gublin e Ludivine Griveau sono nomi ben noti a chi si interessa al vino borgognone e sono tra i più rappresentativi dell’ormai folto gruppo di donne responsabili di cantine nella regione. La prima è dal 1990 enologa al Domaine Jacques Prieur, e più recentemente   anche del Domaine Labruyère, nel Beaujolais, e dello Champagne Labruyère a Verzenay. Ha ricoperto ruoli importanti  nella Commissione tecnica del BIVB ed altri organismi, ed è stata enologa dell’anno (nel 1998) per la Revue du Vin de France. Ludivine Griveau, nonostante la più giovane età, ha anch’essa un notevole curriculum, e si è formata avendo  la stessa Gublin come supervisore: tra i suoi incarichi, il più prestigioso è quello di régisseur (dal 2015) del Domaine degli Hospices de Beaune, dove ha sostituito Roland Masse. Cavaliere della Confrérie des Chevaliers du tastevin  , è stata nominata vigneron dell’anno della Côte-d’Or nel 2018. L’intervista, a parte le domande d’obbligo sulle esperienze fatte insieme durante gli anni in cui hanno lavorato insieme, e quelle concernenti sulle difficoltà incontrate nell’inserirsi in un mondo professionale ancora in prevalenza maschile, ha toccato anche temi molto dibattuti nel mondo enologico borgognone. Tra questi, la vendange entière. La Gublin sostiene che la scelta o meno di applicarla dipende, oltre che dalle annate, soprattutto dai terroirs. Generalmente essa apporta freschezza e complessità aromatica, permettendo di produrre vini più espressivi là dove tendevano ad essere più rustici. Oggi è più facile applicarla dal momento che l’aumento delle temperature permette di ottenere uve con una maturità più completa. Personalmente, vinifica con questa procedura a Corton-Bressandes, nel Clos de Vougeot e per produrre il meursault rouge del Clos des Mazeray, e, naturalmente nel Pommard Charmots., al 100%. Ludivine vinifica anch’essa, agli Hospices, una palette di terroirs molto ampia. Afferma di aver impiegato la vendange entière per la prima volta per la Pièce des Présidents per l’asta del 2020 e di aver constatato che il Clos de la Roche vinificato in quel modo aveva raggiunto uno slancio decisamente superiore all’altra cuvée prodotta in modo tradizionale.

Altro tema importante trattato nell’intervista è stato quello, particolarmente dibattuto a Meursault, tra la ricerca di uno stile  di vinificazione più ricco oppure “tendu” (vibrante), e, ovviamente delle date di vendemmia. Tutto è diventato più complesso con il cambiamento climatico, che ha portato alcuni a raccogliere le uve ancora non perfettamente mature per conservare l’acidità, ed altri invece decisamente sovramature, da cui hanno prodotto vini molto ricchi ed opulenti. Oggi non esiste più , come nel medioevo, una data pubblica comune per la vendemmia, e questo conferisce al vigneron più flessibilità, ma anche più responsabilità.  Per la Gublin si è creata nel consumatore una falsa antitesi tra mineralità e acidità.  Quanto all’equilibrio delle acidità, si sa che il caldo brucia l’acido malico, ma conserva e concentra quello tartarico, che è quello strutturante e determina la longevità dei vini. Per suo conto ritiene sempre sbagliato raccogliere  uve non ancora mature. L’intervista ha poi toccato anche il tema dell’élevage e quello della conversione  al biologico. Il Domaine Prieur ha iniziato la conversione nel 2020 e otterrà la certificazione nel 2023, agli Hospices la Griveau ha proseguito il lavoro già avviato da Masse, ma è ancora presto per la  certificazione dell’intero parcellario del Domaine. Quanto all’élevage, agli Hospices la maggior parte del vino è affinata dai négociants-éleveurs a cui gli acquirenti affidano le pièces acquistate all’Asta. Resta tuttavia una parte , sia pure ristretta (una cinquantina di pièces) che resta agli Hospices e viene affinata in sede. La Gublin ha confermato l’opzione, sempre più diffusa, specie nei bianchi, di grandi recipienti   e di fusti di dimensioni superiori alle pièces tradizionali da 228 litri (ad es. al Domaine Labruyères si impiegano fusti da 600 litri). Per i recipienti di legno, nei quali il vino effettua la fermentazione e viene anche affinato, due  hanno forma ovale e uno tronco-conico, e si è recentemente acquistata una grande boule in cemento.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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