Stampa estera a portata di clic: Wine Spectator, n°4, 20195 min read

Due  flûtes  di spumante sono al centro della copertina di questo primo numero di giugno, accompagnate dal titolo  dominante, “Sparklers al centro della scena”. Poi ci sono i titoli minori  : deliziosi abbinamenti cibo-rosé, stile e valore dei vini sudafricani, viaggio in Texas.

Quella degli spumanti é una success story: trascinata soprattutto dal nostro Prosecco (mostruoso il suo incremento di vendite negli  anni 2010-2018, + 561,6%) e sostenuta  dalla tenuta degli champagnes, che hanno consolidato le loro posizioni nel corso degli anni , con un incremento del 40,4% .

Resta meno appariscente, ma comunque in crescita (rispettivamente del 26.6 e del 19.2%), la domanda di spumanti californiani  e cava spagnoli . “Sono la moda del momento”, dice Ettore Nicoletto di Santa Margherita, e l’articolo di Mitch Frank la documenta con chiarezza.

Alison Napjus indica i migliori, a suo giudizio,  per area di provenienza . Per quanto riguarda l’Italia, é saldo il primato della Riserva del Fondatore Giulio Ferrari (92/100 per l’annata 2005), ma suscita un po’ di sorpresa vedere appena un gradino al di sotto un Prosecco  e un Lambrusco emiliano, a precedere il primo spumante della Franciacorta .

Del resto, tra i 14 “eletti” di Napjus, 5 sono Prosecco e 3 sono Lambrusco, mentre quello di Ferrari é l’unico Trento classico in classifica e i Franciacorta  sono solo due.

Anche in terra di Francia, pur se sono gli champagnes a  condurre le danze , occupando le sei posizioni più alte, si fanno valere i cremant di Limoux , della Loira e della Borgogna.In Spagna sono naturalmente i cava catalani (Codorníu e Recaredo su tutti) a emergere , con valori molto eterogenei (da semplici sciroppi- é il giudizio di WS- a vini dal carattere complesso), ma spuntano i primi spumanti della Rioja, come quello di Bodegas Muga.

Punteggi altissimi, da champagne (dieci sono oltre I 90/100), sono quelli assegnati agli sparklers “domestici”, tra i quali, naturalmente, la California fa la parte del leone.

“Rosé in tavola” é il secondo servizio, per rilievo e numero di pagine, di questo mese. Owen Dugan illustra, con molte foto a colori, il menu di WS per esaltare il matrimonio tra la cucina estiva e i rosé: peperoni piquillos farciti di brandade di merluzzo , caratteristica tapa iberica, da accompagnare con una Txakolina rosé; bietole (di vari colori) con burrata, agrumi d’inverno e pane di segala tostato, abbinate  a un rosé californiano della Russian Valley; filetti di triglia con tapenade , piatto provenzale da gustare con un rosé di Cassis.

A completamento dell’articolo Brianne Garrett propone uno sketch molto essenziale dei rosè del mondo (Provenza e Languedoc in testa, ma c’é anche l’Italia, con i rosé salentini e i cerasuolo abruzzesi).

Aleks Zecevic firma il terzo articolo di copertina, dedicato ai vini sudafricani. Quella sudafricana é una vitivinicultura erroneamente accomunata a quella di paesi come l’Australia e l’Argentina : si tratta di una convinzione fuorviante, in quanto i vini sudafricani hanno una distintività (geografica ,  climatica e di suoli )che li differenzia da quelli di tutte le altre regioni del mondo.

Sono  soprattutto i bianchi, tra i quali spicca lo chenin blanc, a emergere, ma anche i rossi , con i loro caratteristici blend cabernet/merlot/syrah a farsi apprezzare. Stranamente, nell’articolo non si cita neppure il pinotage, varietà tra le più distintive della regione.

L’annata  2017 é stata molto secca,  e i volumi ne hanno risentito , ma non vi sono stati picchi di calore estremo e le escursioni notturne hanno preservato le acidità, rallentando l’ascesa dei gradi zuccherini: la qualità sarà, probabilmente , la migliore dell’ultimo decennio, insieme con quella dei vini dell’annata 2015,  altra annata calda e secca, ma ben lontana dagli estremi del 2016.

Nelle posizioni di testa (a parte il Constantia, abituato a occupare il vertice) sono soprattutto bianchi a base di chenin, ma nel gruppo sono anche un syrah/cabernet di Stellenbosch e un elegante syrah dello Swartland. L’ultimo titolo di copertina era per l’itinerario texano.

Si tratta di un mini-articolo  compreso nella rubrica Travel della sezione GrapeVine, che apre tutti i numeri della rivista, così, come a chiuderla é la Buying Guide: fondamentalmente una lista di indirizzi suggeriti ad Austin, la capitale, e nella vicina Hill Country, con la città di Fredericksburg.

C’é però, in questo numero, ancora un articolo piuttosto ampio,non annunciato in copertina. Si tratta di un servizio di Robert Camuto sulle Bodegas Juan Gil, che, partendo da poche migliaia di acri (3.600) nella regione di Jumilla, sono diventate progressivamente una delle realtà maggiori del panorama vitivinicolo iberico,  espandendosi progressivamente  un po’in tutte le regioni della Spagna.

La chiave del successo é stata la riscoperta del monastrell, di cui Gil ha saputo valorizzare il  patrimonio di vecchie vigne.

A parte la Buying Guide, con la quale si conclude anche questo numero della rivista , con i suoi lunghi elenchi di assaggi e punteggi di vini di tutte le regioni d’America e del resto del mondo (Toscana ancora una volta sugli scudi, con due Brunello di Montalcino nelle vetrine dei vini di maggior prestigio, questa volta in compagnia di un vino di Radikon), voglio citare  la valutazione, in “Retrospective”,  delle annate del San Leonardo , dal 1986 al 2011 , fatta da Alison Napjus.

Il punteggio più alto (94/100) é stato assegnato al vino del 1997 (quando aveva ancora la denominazione Vallagarina), con appena un punto al di sotto per 2004 e 2011.Solo 1986 e 2000 sono rimasti, sia pure di poco, al di sotto dei 90/100. Solo un accenno, in apertura alla sezione GrapeVine, alla battaglia legale  in corso su To Kalon, la più iconica delle vigne della Napa Valley, che vede contrapposte Vineyard House di Jeremy Nickel e la Mondavi Winery , colpevole, agli occhi di Nickel di essersi impadronita fraudolentemente del marchio di To Kalon, e  all’esame , fatto da Sanderson , dei vini dell’annata 2016 del Domaine de la Romanée-Conti .

Si finisce in gloria con il Perfect Match: Lamb chops con un rosso Saint-Joseph della Valle del Rodano.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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