Stampa estera a portata di clic: La Revue du Vin de France n.63-20197 min read

Al centro della copertina è l’immagine di una bottiglia di Château Gruaud La Rose, 2ème cru classé di St.-Julien, sullo sfondo di un paesaggio bordolese. Il mese precedente, a Bordeaux, si sono degustati  en primeur i vini dell’annata 2018, e la valutazione della nuova annata (“Le millésime de l’extrême”) rappresenta il tema più importante di questo numero.

Poi, come sempre, la copertina è affastellata di altri titoli minori: La rivoluzione dei crémants (l’altra grande degustazione del fascicolo di maggio), inchiesta sul prezzo dei vini al ristorante, bar da cocktails a La Havana, le migliori dieci applicazioni su cellulare dedicate al vino, il grand accord   all’Ar Iniz di St.-Malo, i buoni indirizzi  di Albéric Bichot a Beaune e infine, “Il cervello. Che succede quando si degusta un vino?”.

Cominciamo proprio da quest’ultimo titolo, che è però quello dell’articolo che apre il numero. Si tratta della “grande intervista” del mese,  rivolta a Gabriel Lepousez, trentaseienne neuro scienziato , oltre che appassionato degustatore, ricercatore dell’Institut Pasteur e formatore all’École du Nez.

Vi si discute di molti temi, tra i quali quello del primato dell’olfatto sul gusto. Lepousez spiega come la maggiore potenza discriminativa del primo sul secondo sia dovuta all’enorme numero di recettori del naso , che, grazie all’elevatissimo numero di combinazioni possibili, permettono potenzialmente all’uomo di discriminare tra loro  fino a 1000 miliardi (sic!) di odori distinti. E’ questo che consente di distinguere un Margaux del 1995 da uno del 1996.

Il gusto è assai meno discriminativo, ma ha il vantaggio di una minore variabilità inter-individuale, rispetto all’olfatto, e di una maggiore stabilità e coerenza. E’ questa la ragione per la quale i degustatori che si affidano al gusto più che all’olfatto si accordano assai più facilmente con gli altri degustatori e mantengono una coerenza più elevata quando riassaggiano lo stesso vino a distanza di tempo.

Nel cervello di chi assaggia un vino si attivano due percorsi distinti: il primo volto a definire se un vino sia buono o no e l’altro  a identificare di che cosa si tratti. E’ questo che fa sì che gli enologi si posizionano più facilmente sul lato analitico, valutando la potenza fenolica, il livello di acidità volatile, ecc., mentre i giovani assaggiatori scelgono quello olistico del primo percorso (“E’ buono, ma non so perché”).

Di seguito si trova  l’inchiesta sul prezzo dei vini al ristorante, sovente troppo alto, di cui è difficile comprenderne le logiche. Quello che è certo, è  che il vino al bicchiere rappresenta una grande opportunità per la clientela, ma anche  per i ristoratori, anche se i maggiori ricavi sono in parte bilanciati dalla necessità di finire presto le bottiglie aperte, oppure di investire in costose macchine tipo Enomatic.

Un discorso a parte è richiesto per i vini icona, che è necessario tenere in carta, e per quelli “speculativi” (come bottiglie rare di Roumier, Rousseau o Romanée-Conti) che alcuni potrebbero voler acquistare  senza consumarli per poi  rivenderli.

Il servizio seguente mette a confronto dieci applicazioni molto diffuse per informarsi o acquistare vini. La più nota è senza  dubbio  Vivino. Twil è la risposta francese, ma ve ne sono altre molto conosciute e apprezzate come Idealwine (specialista di millesimi rari e bottiglie introvabili)  e Wine Searcher.

Ma veniamo alle grandi degustazioni sistematiche di questo mese, come sempre riportate nella sezione finale della rivista. La prima è l’attesissima  valutazione en primeur dell’annata 2018. Tutti i commentatori concordano: sarà una grandissima annata, “ un millésime miraculé”, dal profilo unico, nata da due fasi ben distinte: una primavera caratterizzata da una pluviometria record ,  con una rapida ascesa delle temperature  che hanno fatto esplodere le malattie della vite ( peronospora in testa), poi, da metà luglio, un tempo caldo e assolato , che, grazie alle riserve d’acqua e le notti fresche, ha consentito una perfetta maturazione fenolica, preservando livelli importanti di acidità.

I vini hanno una costituzione robusta, sono molto concentrati, e soprattutto nelle appellations settentrionali, come St.Estèphe e Pauillac, molto alcolici. Quello del 2018 è stato un millesimo di grande potenza anche sulla Rive Droite: vini da lungo invecchiamento, tannici, massicci a St.-Emilion, mentre a  Pomerol si sono avuti vini maestosi, ma di notevole finezza, dove non si è ecceduto con le estrazioni.

Appaiono polposi  ed equilibrati i vini secchi di Pessac-Léognan, non dominati dalla marca varietale del sauvignon, mentre si è confermata un’annata davvero difficile per i Sauternes, a causa della meteorologia che ha esaltato  gli attacchi della peronospora, riducendo le rese a circa 10 hl. per ettaro.

La peronospora ha rappresentato un grandissimo problema anche per gli Châteaux bio del Médoc, come Palmer e Pontet-Canet, ma, pure se i volumi sono stati ridotti ai minimi termini, la qualità è risultata tra le più alte in assoluto. Chi ha raggiunto i punteggi più alti?

Nel Médoc, Château Margaux , Palmer (a Margaux i vini sono risultati meno spettacolari, ma assai più equilibrati che nelle altre AOC) e Château Mouton-Rotschild ,  con 19.5-20/20, e subito dopo, Léoville Las Cases, Lafite-Rotschild, Pontet-Canet e Pichon-Longueville Baron con 19/20.

Stesso punteggio a Haut-Brion , a Pessac-Léognan, ma solo per il rosso. Tra i bianchi secchi è ancora Haut-Brion al vertice , con 18-19/20, mentre tra i moelleux, questa volta a eccellere è Suduiraut (18.5-20) Yquem non partecipa più alle degustazioni primeur , così come Latour.

La seconda degustazione sistematica di questo numero riguarda i crémant di Alsazia e Borgogna, che , per la loro qualità e il prezzo, possono rappresentare una valida alternativa ai più costosi e impegnativi Champagnes. In Alsazia sono sempre più numerosi i vignerons usciti  dalle grandi caves cooperative , come Bestheim e Wolfberger, che si sono formati ad Avize e producono ormai dei crémant davvero competitivi nei confronti degli Champagne.

In Borgogna le grandi cantine storiche di Rully, come Veuve Ambal e Louis Picamelot, a dominare il panorama dei crèmant di Borgogna. Le nuove cuvèes “di terroir” lanciate alla fine degli anni ’90 da Louis Bouillot e Louis Picamelot  offrono un rapporto qualità/prezzo molto interessante.

Tra le versioni millesimate, sono il Crémant de Bourgogne En Chazot 2014 di Picamelot, e due Crémant d’Alsace (il Dosage Zero 2012 di Wunsch & Mann e il Clos Liebenberg brut 2012 di Valentin Zusslin) a spuntare il punteggio più alto della degustazione con 18/20, ma sono numerose le cuvées , soprattutto bianche, che hanno ottenuto valutazioni appena inferiori.

Gli altri articoli annunciati in copertina  riguardano temi gastronomici o itinerari di viaggio. Per quanto riguarda i primi , Olivier Poels presenta il grand accord del mese, l’aragosta  in salsa alla torba con arbois, proposta dallo chef Michaël Schier  all’Ar Iniz di Saint-Malo  (poi Olivier Poussier parlerà dei bianchi da abbinare al mango).

Per quanto riguarda gli itinerari di viaggio, Albéric Bichot, della nota maison beaunoise , propone i suoi suggerimenti per una balade nella città borgognona, mentre Jean-Baptiste Thial presenta un viaggio a L’Havana, alla ricerca dei migliori cocktails e sigari, ovviamente  partendo da La Bodeguita del Medio, di cui Hemingway era un aficionado.

Tra i servizi non annunciati i copertina ma degni d’interesse,  segnalo quello di Pierre Casamayor  sul Domaine des Bachelards, nel Beaujolais: Fleurie e Moulin-à-vent sono le cuvées più importanti. Roberto Petronio mette a confronto il  Domaine de l’Arlot e il Domaine Henri Gouges, che a Nuits-Saint-Georges producono due rari bianchi in un terroir quasi interamente consacrato ai rossi: qui, accanto allo chardonnay, vi  sono ancora ceppi di pinot bianco, tra cui il curioso pinot mutante di Gouges.

Non vanno dimenticati il servizio di Sophie de Salettes , che puntualmente presenta un terroir vitivinicolo della Francia, questa volta dedicato a quello di Crozes-Hermitage, nella Valle del Rodano, dove la vigna guadagna terreno al ritmo di 80 ettari l’anno,  e il ritratto-intervista di Claude Bilancini, patronne dello Château Tirecul La Gravière a Monbazillac.

Non restano che le numerose rubriche : le notizie del mese, le lettere dei lettori, le pagine dei columnist, gli spiritueux,  le aste e le tendenze del mercato (sempre più ricercati i grandi formati per i migliori millesimi). Si finisce con  la “bottiglia mitica” (pendant delle “leggende del vino” di Decanter), lo straordinario 1961 de La Chapelle di Jaboulet, e il dibattito intorno a una bottiglia, un rosso a base di grenache dell’Herault “scoperta” da Alexandre Ma, Le Grenache du Badaïre 2015 del Domaine Supply-Royer. Con Ma ne discute Olivier Poels.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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