Stampa estera a portata di clic: Decanter, vol 467 min read

Una bottiglia gocciolante della Cuvée Nicolas François della Maison Billecart-Salmon (l’annata 1959 è quella scelta per il  vino-leggenda che chiude questo numero) è l’immagine della copertina, accompagnata dai titoli degli articoli principali, che potremmo riassumere così: sparklings e rossi “memorabili”, classici (Champagne e Porto), Pétrus, vini dolci e fortificati, ultima annata dello Chablis.

Sono gli sparklings (di tutto il mondo) ad aprire questo numero, naturalmente dopo le notizie del mese, le lettere dei lettori e la pagina di Jefford (la “lezione” del 2020, ma non mi soffermerò su di essi, se non per segnalare che, per Decanter, il “Top Fizz” non è uno Champagne, ma uno sparkling Late Disgorged australiano (della Tasmania) , e precisamente l’EJ Carr  House of Arras 2004 da 100 sterline alla bottiglia, 96/100, e che nel gruppo dei migliori dieci, insieme con  cinque Champagnes (il Vintage Brut 2006 di Krug nella piazza d’onore con 95/100)  ci sono uno sparkling inglese (4°), una Blanquette di Limoux (al 6° posto) e un Vouvray Ancéstrale (7°). Primo spumante italiano é il Rosé nebbiolesco di Ettore Germano, Rosanna, undicesimo, a precedere il Vecchie Viti di Ruggeri, un Prosecco superiore, e un altrettanto inatteso Blanc de blanc Pas Dosé toscano , di Montellori: Trento, Franciacorta e altre denominazioni “nobili” degli spumanti italiani sono assenti all’appello. E’ invece un Amarone classico riserva, il Fieramonte  di Allegrini 2012, che, con ben 98/100, a ottenere il primato dei rossi memorabili (in classifica anche altri vini italiani, principalmente toscani e piemontesi ).

Gli sparklings tornano in un altro servizio più avanti, il Panel Tasting riservato agli Champagne non vintage. 68 i vini assaggiati, il frutto appare più maturo di quelli degli anni precedenti, e i dosaggi hanno inesorabilmente valori più bassi.  Sono stati due gli champagne Sans Année ad essere valutati “Outstanding”: 95/100 ciascuno per la Grande Cuvée Brut di Charles Lafitte e MV 15 Ay grand cru di Henri Giraud. Ben 51 champagnes, però, sono rientrati nella categoria degli “Highly Recommended” con il punteggio di almeno 90 su 100 o più. Nessuna cuvée è risultata “Poor” o “Fair” (il punteggio più basso assegnato è stato 88/100), segno di uno standard qualitativo che resta irreprensibile.

Non mi soffermerò sull’articolo che ripercorre sinteticamente la cronaca dell’anno 2020 e sulle “Lockdown stories” introdotte de Peter Richards: come hanno visto e affrontato la pandemia i vignerons di tutto il mondo (non c’è nessun italiano tra i personaggi contattati). Siamo arrivati al denso articolo della specialista di Bordeaux di Decanter, Jane Anson,  volto a delineare il profilo dello Château Pétrus,  leggenda di Pomerol. Come sempre accurata nelle sue ricostruzioni storiche, la Anson  segnala che, ancora nel 1785, quando i più conosciuti Châteaux del Médoc erano già famosi in tutta la Francia , la mappa di Pomerol di Belleyme, pubblicata quell’anno, non lo menziona neppure. Fu solo quasi 100 anni dopo (nel 1860) che la famiglia Arnaud piantò le prime vigne, ma la sua affermazione fu rapidissima, dal momento che nel 1878 lo Château vinse la medaglia d’oro (primo vino di Pomerol) all’esposizione universale parigina di quell’anno. La storia di successi di Petrus (fu il vino offerto alle nozze della regina Elisabetta, allora principessa,  e del principe Filippo nel 1947) é proseguita ininterrottamente  fino i ai giorni nostri: di proprietà esclusiva della famiglia di J.P. Moueix dal 1969, è divenuta azienda autonoma separata dagli Établissements Moueix nel 2009, infine, nel 2018, il 20% dello Château è stato acquistato dalla famiglia Santo Domingo, che aveva costruito la sua fortuna commercializzando birra in Colombia (ahimé!).  Tra le annate degli ultimi venti anni di Pétrus sono oggi al vertice i vini del 1998 e del 2009, entrambe 100/100, mentre l’annata 2016 si ferma a quota 99/100 e l’altra grande annata 2010 a 98/100.

Soffermiamoci un attimo sul report su Chablis, firmato da Andy Howard. L’annata 2019 nella Yonne è stata generalmente ottima, da quattro stelle, come la 2012 e la 2017. Cinque stelle erano state raggiunte solo dalla 2010 (eccellente in tutta la Borgogna) e nella 2014 (tra le poche annate più favorevoli ai bianchi che ai rossi ultimamente). Dopo la terribile annata 2016 funestata dalle gelate, la 2019 ha dato vini più acidi di quelli del 2018 ma più rotondi  di quelli del 2017. Di più la qualità è stata abbastanza omogenea e i vini hanno dappertutto una buona affidabilità.

Dopo un gennaio e un febbraio miti e abbastanza umidi, le temperature hanno cominciato a scendere a marzo, poi, ad inizio aprile, il freddo si è intensificato e per diverse notti le tradizionali candele antigelo hanno illuminato le vigne. Anche  giugno è stato abbastanza fresco, la fioritura è stata molto lunga e difficoltosa, provocando frequentemente  il fenomeno del  millerandage. L’estate,  calda e secca (due le ondate di calore importanti), ha poi riallineato le cose.

Il calo della produzione, del 25-40%, è stato compensato da una qualità eccellente: uve sane e concentrate con ottimi livelli di zucchero e di acidità. Chablis è oggi la regione della Borgogna nella quale ancora è possibile acquistare degli chardonnay eccellenti a prezzi generalmente inferiori a quelli della Côte d’Or. Guardando le cuvées selezionate da Howard troviamo al vertice della classifica dei migliori, come “vino della vendemmia” un grand cru di un big: 96/100 per il Côte des Bouguerots Bougros di William Fèvre e dopo  di lui, a quota 95, altri quattro grands crus, Moutonne e Les Blanchots Long-Depaquit di Albert Bichot ,  Les Preuses di Billaud-Simon e Le Clos ancora di William Fèvre. La palma di  Top Value tocca però a un ottimo villages del Domaine des Malandes, L’Envers de Valmur  con 94/100, punteggio di tutto rispetto per un vino-base  in vendita a poco più di 15 euro. Numerosi i Domaines da scoprire. Ne cito qualcuno: Roland Laventureux, Corinne Perchaud, Guillaune Vrignaud, Camille et Laurent Schaller, Céline et Fredéric Gueguen, Laurent et Céline Notton.

Chablis

Come sappiamo i vini dolci e fortificati sono molto amati in Gran Bretagna, e questa volta i lettori di Decanter avranno modo di approfondire le loro conoscenze con ben  tre articoli su questo tema. Dapprima  ancora Andy Howard presenta i vini dolci di Bordeaux al di fuori del Sauternais e di Barsac: i Cérons,  i Loupiac, i Cadillac, i Sainte-Croix-du Mont, denominazioni meno conosciute ma che offrono eccellenti alternative ai cugini moelleux più famosi a prezzi assai più vantaggiosi. E’ Sainte-Croix -du Mont , un’appellation più giovane, a proporre gli assaggi migliori, ben 7 vini (tra i quali i primi due) tra i 10 col miglior punteggio. Sarah Ahmed, nella sezione degli assaggi di “Expert’s choice” passa in rassegna i migliori tawny Port (porto invecchiati in fusti di legno per almeno tre anni ) e i migliori colheita (vini provenienti da una singola annata e invecchiati in legno per almeno sette anni). E’ appunto ad un colheita, di uno specialista di questa tipologia di vecchi Porto, Kopke, e precisamente quello dell’annata 1941 (mica briciole: costa tra 550 e 600 pounds), che, con i suoi 98/100 guarda dall’alto tutti gli altri. Subito dopo, rispettivamente con 97 e 96/100, sono due vecchi Tawnies 40 years old, di Quinta do Noval ed Andresen (qui i prezzi scendono a meno di 100 sterline , 60-85). Poi, sempre a quota 96, sono  altri tre Tawnies più giovani (un Quinta do Noval 20 anni , un Quinta do Vallado e un Taylor’s di 30). I vini dolci e fortificati (dai Riesling Auslese agli Sherry) ritornano poi in un terzo articolo, di Anne Krebiehl, volto ad approfondire i modi di servire e accompagnare dal punto di vista gastronomico.

Istituto vino Porto

Di “Perfect Pairings” , ossia degli abbinamenti cibo-vino, si occupa anche un altro articolo, firmato da Ronan Sayburn, a proposito degli appetizers pre-dinner.  In questo numero, oltre alla consueta rubrica destinata agli spirits,  coloro che amano i distillati troveranno un ampio articolo di Laura Foster, dal titolo “Aging gracefully” sui Cognac XO. Resta ancora da accennare al profilo regionale di Jason Tesauro sulla   Virginia, stato americano dell’Est, vicino a Washington D.C., nel quale la perseveranza di un gruppo di growers (oggi vi sono 300 wineries e poco più di 1.500 ettari di vigna) comincia a produrre i suoi effetti, e a un articolo ricorrente sulla rivista avente per oggetto gli anniversari: qual è la bottiglia adatta per celebrare il compimento dei 18 anni o le nozze d’argento? Anthony Rose riferisce della sua caccia ai vini per le date più importanti della nostra vita.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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