Stampa estera a portata di clic: Decanter, vol 45, n. 87 min read

Ed eccolo il numero speciale dedicato ai vini del nostro paese, dopo quello sui vini spagnoli. Ad annunciarlo, in copertina, sono una bottiglia di Chianti Classico e una di Aglianico.

I titoli: Grandi vini italiani, dal Veneto alla Sardegna, Aglianico, i migliori vini italiani high-street, viaggi: Toscana e Sud Italia.

Prima di entrare nel vivo di questo numero, segnalo l’ultima colonna di Steven Spurrier, collaboratore quasi trentennale (dal 1993) di Decanter, e le pagine di Jefford e Anson: il primo pone a confronto il tasting analitico e quello appreciative, la seconda descrive il crescente nervosismo, di fronte alla crisi, di négociants e châteaux di Bordeaux.

Non potendo rendere conto in dettaglio di tutti i numerosi servizi e degustazioni di questo numero, ne sceglierò alcuni, limitandomi a un cenno sugli altri. Il primo articolo, che apre anche il numero, è quello di Michaela Morris sui “Young guns”, ossia le giovani leve dell’Italia vinicola e il loro apporto di energie, impegno e innovazione. Dieci i ritratti individuati, distribuiti un po’ in tutta Italia. Ognuno di essi è accompagnato dall’assaggio di una bottiglia emblematica, tutte valutate almeno 90 punti e oltre.

Tra questi è Priscilla Incisa della Rocchetta, ed è il suo Sassicaia 2016 a spuntare il riconoscimento più alto, con 98/100. Il Piemonte è rappresentato da Cristiano Garella (col suo Lessona Colombera & Garella 2016, 95/100), Marta e Carlotta Rinaldi (Barolo Tre tine 2015, 94/100); la Toscana, altra regione d’Italia molto amata da Decanter e dai wine lovers inglesi, è presente, oltre che con Priscilla Incisa della Rocchetta , con Angela Fronti (Istine) e il suo Chianti classico riserva Le Vigne 2016 (96/100) e con Francesco Ripaccioli (Canalicchio di Sopra), e il  Rosso di Montalcino 2018 (90/100). Gli altri “young guns”: in Veneto, Andrea e Davide Pieropan (Amarone della Valpolicella Vigna Garzon 2015, 94/100), in Friuli, Kristian Keber (K 2017, 91/100), nelle Marche, Riccardo Baldi (La Staffa) col Verdicchio Classico dei Castelli di Jesi riserva Rincrocca 2016, 92/100), in Basilicata  Lorenzo Piccin (Grifalco), con l’Aglianico del Vulture superiore Damaschito 2015, in Sicilia Francesco Cambria (Cottanera),con l’Etna bianco 2018 (90/100).

La famiglia Piccin

Dopo l’ampia selezione dei vini italiani venduti nei supermercati e nelle migliori catene inglesi a prezzi compresi tra le 12 e le 20 sterline (secondo attese, Toscana, Piemonte, Veneto e Sicilia fanno la parte del leone), un articolo di Andy Howard si focalizza sull’Aglianico, indicato nel titolo come il nebbiolo del sud. Di colore diverso rispetto al nebbiolo, l’aglianico è accomunato al vitigno piemontese per la spiccata acidità e l’imponente struttura tannica:  intensi e floreali  da giovani, sviluppano una  complessa ed elegante speziatura  una volta invecchiati.

L’Aglianico dà vini con una grande predisposizione ai lunghi invecchiamenti, si esalta sui suoli vulcanici di altitudine, ma si adatta a territori diversi proponendosi con caratteristiche originali. Dal Molise al Cilento, passando per l’Irpinia e il Vulture lucano, sono numerosi i vini che meritano l’attenzione del consumatore: 96/100 sono i punti assegnati all’Aglianico del Vulture Titolo 20° Anniversario 2017 di Elena Fucci e al Taurasi Radici 2015 di Mastroberardino, ma, con appena un punto in meno seguono il Serpico 2012 di Feudi di San Gregorio,  e gli “outsider” Cenito 2015 , Aglianico cilentano del “bianchista” Luigi Maffini e il Lucchero Janare sannita 2015 de La Guardiense. Non posso soffermarmi sui 25 anni di Bolgheri secondo Richard Baudains (molti nomi e molti vini high-scored, dopo i 99/100 assegnati al Sassicaia 2016), sulle “promesse” del Pignoletto assaggiato da  Carla Capalbo (95/100, oh la la, al Sui Lieviti, Pignoletto dei Colli Bolognesi di Orsi del 2014), sui  vini del Sulcis sardo (il trionfo del carignano) visti da Susan Holme e sui bianchi da invecchiamento italiani  selezionati da Aldo Fiordelli  (alcune presenze scontate e numerosi assenti, come il Fiano e il Greco irpini). Dovrò purtroppo tralasciare anche   i rosati (Garda, Abruzzo, Puglia e altro)  di Richard Baudains e il ritratto della famiglia Gaja (certo non sconosciuta ai nostri lettori), per passare direttamente ai  due Panel Tastings di questo numero.

Il primo di essi riguarda le annate 2015 e 2016 del Chianti Classico riserva e Gran Selezione: due ottime annate entrambe, con una leggera preferenza per la seconda da parte dei degustatori, che ne hanno apprezzato la freschezza e la grande accessibilità. Seguono a un mediocre    2014 e precedono due annate più difficili e con qualità meno omogenee (2017 e 2018). E’ confermato il trend che  vede la progressiva sostituzione delle varietà complementari internazionali (specialmente il merlot, molto vulnerabile alla crescita delle temperature) con quelle tradizionali (colorino e canaiolo) e la preferenza per i legni di grandi dimensioni. Non appare invece molto chiara la distinzione tra riserve e Gran Selezioni, per le quali il criterio di differenziazione più importante resta forse l’obbligo, per le seconde,  di impiegare esclusivamente uve di proprietà più che l’invecchiamento più prolungato. Buoni comunque i risultati alla prova di assaggio.

Se solo quattro vini (tutti dell’annata 2016) hanno riportato una valutazione “Outstanding” (il Vigna San Lorenzo Gran Selezione di Ama un soffio avanti al Riserva di Riecine, al Tenuta di Perano riserva di Frescobaldi e al Vigna Capannino Gran Selezione di Bibbiano, tutti con 95/100 di media), sono ben 61 quelli che hanno ottenuto il riconoscimento di “Highly Recommended”. E soprattutto nessun vino è stato valutato “Fair”, “Poor” o “Faulty”.

Il secondo Panel Tasting ha riguardato i sempre più popolari Ripasso della Valpolicella e i nuovi Ripasso-style, ossia i vini che utilizzano solo una parte di uve appassite in modo da riprodurre in modo più leggero la vinificazione classica del Ripasso. I Ripasso indubbiamente hanno incontrato il favore dei consumatori, per le loro caratteristiche di freschezza, morbidezza e fruttato: ormai sono il 45% dei vini prodotti nella zona. Il rischio è che in futuro si possano identificare i vini della regione semplicemente in base all’impiego di uve appassite, appannando la percezione del territorio. La degustazione ha confermato un livello di qualità medio-alto: non vi è stato nessun vino “Exceptional” oppure “Outstanding”, ma sono 14 quelli “Highly Recommended” (ossia, con almeno 90 punti, fino a 94), mentre  la maggior parte di essi  (44) è solo “Recommended” (86-89). Un altro gruppo consistente (34) di vini si è collocato dentro l’intervallo della raccomandabilità (83-85), mentre un solo campione è stato giudicato “Fair”. I migliori, secondo i giudici di Decanter: il Catullo 2016, un Ripasso Classico Superiore di Bertani, e il Valpolicella Ripasso Classico Superiore, sempre del 2016, di Monte del Frà, con 91/100.

Le annate: dopo l’umida annata 2014 (solo 2 stelle), un ottimo, caldo 2015 da 4 stelle, con vini già pronti da bere; è appena un soffio al di sotto l’annata 2016, più fresca e molto equilibrata (3 stelle e mezza). Bene le ultime due vendemmie, 2018  e 2019 (quest’ultimo già  pronto da bere), entrambi da 4 stelle, di minor spessore i vini dell’annata 2017.

Tocca a Michael Garner parlare del Verdicchio, una varietà apprezzata da Burton Anderson e Ian D’Agata e considerata  tra le migliori in assoluto d’Italia tra quelle  a bacca bianca, e scegliere i vini migliori per la  rubrica dell’” Expert Choice”. Dopo una breve introduzione volta a illustrare le principali differenze tra il Verdicchio dei Castelli di Jesi e quello di Matelica, la degustazione ha messo in evidenza numerosi vini eccellenti, con valutazioni di 93 punti e oltre. Al vertice, per Garner, il Balciana 2017, Verdicchio Classico Superiore di Sartarelli , con 97/100, incalzato dal Villa Bucci Riserva 2016 e dal Verdicchio di Matelica 2018 di Collestefano, con 96/100, poi è un cospicuo gruppetto a quota 95: il Vigna Cantico della Figura Riserva 2016 di Andrea Felici, il Cogito A 2018 di Mirizzi, il San Paolo Riserva 2015 di Pievalta, il Matelica 2018 di Colpaola, il Campo delle Oche 2015 di San Lorenzo, il Misco Riserva 2016 di Tavignano e il Villa Bucci “base” 2018.

I due itinerari di viaggio riguardano rispettivamente  il Sud d’Italia (ne parla Carla Capalbo), coprendo un’area molto ampia che va dal Lazio alla Sicilia e alla Sardegna, passando da Campania, Basilicata, Puglia , e la Toscana di Puccini (in senso ampio): Pisa, Lucca , Montecarlo, viste da Adrian Mourby. Dopo le consuete pagine delle Notes & Queries e del Marketwatch (la crescita d’interesse per i rossi piemontesi del 2016), che si aggiungono alle altre consuete rubriche di Decanter (dal Fine Wine World di Spurrier alla selezione dei Weekday wines), non resta che la leggenda del vino, va da sé anch’essa italiana: L’Ornellaia 2001.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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