Stampa estera a portata di clic: Decanter n. 9, 20199 min read

“Bordeaux 2018, intensi, strutturati e allettanti”. E’ il titolo centrale di copertina di questo numero, che accompagna l’immagine di tre bottiglie iconiche di questo terroir: Château Grand Puy-Lacoste, Pauillac, Château Trotanoy e Château Lafleur.  Gli altri titoli sono per i vini di Oltreoceano: Rossi sudamericani e i migliori cileni, Top chardonnay californiani. Più in piccolo: italiani in Australia, itinerari a Nizza e tra le vigne inglesi.

Cominciamo subito col tema principale di questo mese, i primeur di Bordeaux. A presentarceli é Jane Anson, specialista di Decanter e autrice di un  monumentale volume sui Premier Cru del Médoc. La 2018 é stata un’annata di estremi climatici, che hanno scatenato la peronospora e provocato una drastica diminuzione dei volumi, ma dalla quale sono venuti vini di grande intensità e spessore.

Estremamente umida nella prima parte, fino a luglio, ed estremamente secca dopo fino a ottobre, nonostante tutte le difficoltà, l’annata  ha potuto contare su  una lenta e completa maturazione delle uve e  una vendemmia in condizioni ottimali. L’assaggio dei vini é stato sorprendente per più di un motivo.

Ci si aspettava, dice la Anson, una degustazione difficile per un’eccessiva tannicità, ciò che non é stato; scongiurato  anche  il timore di brett e volatile a causa della ridotta acidità (pH alto, spesso oltre 4). Infine l’alcolicità, che si temeva intrusiva a causa dell’estate eccessivamente calda, non si é fatta troppo sentire.

Alla fine l’alta gradazione ha smussato la tannicità dei vini rendendoli approcciabili presto, ma anche capaci di evolversi  a lungo . Vediamo ora le diverse sottozone, partendo dalle appellations communales.

St.-Estèphe appare in linea con l’annata, per texture, potenza, tannini ed alcolicità.Al vertrice, come sempre, Cos d’Estournel e Montrose (97/100), seguiti a gomito da Calon Ségur .

A Pauillac, dove  la peronospora é arrivata un po’ più tardi, a luglio, ben dopo la fioritura, i vini sono classici, di grande potenza, ma anche equilibrio. Ben tre vini hanno raggiunto, per la Anson, i 98-100/100, con un potenziale di 100/100: Lafite-Rotschild, Mouton-Rotschild e Pichon-Longueville Comtesse de Lalande. Un soffio al di sotto sono Latour e poi Lynch-Bages e Pichon Baron. Sorprendentemente  la Anson non cita Pontet-Canet (19/20 per la Revue du Vin de France), che ha avuto una drammatica riduzione di volumi, ma qualità eccellente.

A St.-Julien é andata non troppo dissimilmente che a Pauillac, con Cabernet molto maturi e Merlot eccezionalmente concentrati: Léoville-Las Cases, con 98/100, precede di un punto Ducru-Beaucaillou e Léoville-Poyferré, e di due l’altro Léoville,  Léoville-Barton.

Margaux é stata, tra le appellations del Médoc, la più brillante. Palmer, nonostante l’assalto della fillossera, risulta di complessità e qualità eccezionali: 98-100/100 (con potenziale di 100), davanti anche al Premier Cru Château Margaux (98/100), a precedere un sempre più convincente Rauzan-Ségla.

Infine, nelle AOC minori, di Listrac e Moulis, spiccano come sempre Château Clarke ,  Poujeaux e Chasse-Spleen. Nelle appellations regionali, Clos Manou tra i cru del Médoc e il valore sicuro di Sociando-Mallet nell’Haut-Médoc  fanno la differenza. A Pessac-Léognan e nelle Graves i bianchi sono risultati migliori di quanto ci si attendesse (come sempre capofila sono Haut-Brion e La Mission-Haut Brion, con 95/100, seguiti da Smith-Haut Lafitte e Domaine de Chevalier, 94), ma i rossi appaiono nel complesso qualitativamente  più omogenei e di alto valore: 98/100 per Haut-Bailly, Haut-Brion ,  Les Carmes-Haut Brion e Smith-Haut Lafitte.

Sulla Right Bank le condizioni meterologiche hanno permesso ai produttori di vendemmiare nelle condizioni migliori e secondo le proprie strategie personali, per cui i vini riflettono molto le scelte stilistiche dei diversi châteaux (più freschi e “scolpiti” o succulenti e gourmet).

A St.-Emilion, per la Anson, questa volta non é Ausone (maggior punteggio per la Revue du Vin de France), a eccellere , ma  Beauséjour Duffau-Lagarrosse e Cheval Blanc, entrambe a 98-100/100 con 100 potenziali, poi Ausone, Angélus , Figeac e Pavie Macquin e uno château “to watch” (da seguire), Rocheyron, con 98/100.

Valutazioni difformi tra RVF e Decanter anche a Pomerol: Lafleur e Pétrus  con (solo)  98/100 sono leggermente al di sotto di Vieux Château Certan e Trotanoy, entrambi dei 100 potenziali (98-100/100) .

A parte le denominazioni maggiori, risultati interessanti  si sono riscontrati anche a Fronsac e Canon- Fronsac (La Vieille Cure e il sempre più affidabile La Dauphine) e nelle altre denominazioni satellite  della Riva Destra, dove spuntano dei nomi relativamente meno conosciuti, lo Chareau d’Alcée e lo Château Joanin Bécot, entrambi Castillon- Côtes de Bordeaux, con 93/100 (entrambi vini da al di sotto dei 20 euro).

L’annata é stata assai più difficile per i moelleux del Sauternais, con qualità discreta ma rese davvero minimali (meno di 5 hl./ha. a Coutet, Suduiraut e Château de Fargues (i migliori dell’annata per la Revue du Vin de France). I preferiti di Decanter  sono  i due Barsac di Doisy-Daëne: 97/100 per Château Doisy Daene, solo second cru, e L’Extravagant .

Le altre grandi degustazioni  sistematiche annunciate in copertina riguardano tutte l’Oltreoceano. I due panel tasting hanno come bersaglio rispettivamente i blend rossi premium del Sud America  e gli chardonnay di fascia alta della California. Buoni livelli, ma nessun vino é stato valutato exceptional (97/100 o più) in entrambe la rassegne.

Molto favorevole la vendemmia 2018 sia in Argentina che in Cile, alquanto torrida la 2017 (funestata in Cile anche da diversi incendi), con vini esuberanti, ma non sempre armoniosi, a seguire un freddo 2016 , che però ha dato risultati interessanti tra i migliori  in Cile. Alla fine sono stati solo  quattro i vini oustanding (95-96), tre argentini (due blend malbec-cabernet e un cabernet franc) e un cileno , assemblage di cabernet sauvignon , carmenère, merlot e cabernet franc).In entrambi i paesi si notano gli sforzi di produrre vini più terroir-driven , superando la tradizionale varietalità, più finezza ed energia nei blends argentini e un’interessante longevità in quelli cileni.

In aggiunta alla degustazione del Panel Tasting, Peter Richards, presenta in un articolo non annunciato in copertina, la sua scelta dei 30 migliori vini cileni Big Value  (al di sotto dei 25 pounds). Quanto agli chardonnay californiani si assiste alla sforzo di superare gli stili molto tostati dei pionieri in direzione di vini più freschi e  fini , e si assiste da una maggiore diversità. Tra le ultime annate, dopo un buon 2015, con un’estate molto calda e secca, aiutata però da qualche pioggia pre-vendemmiale, la 2016é risultata assai più fresca, eccellente per i bianchi, seguita poi  da una 2017 assai più problematica e un 2018 molto promettente .

Nella selezione di Decanter, però, non é emerso alcun vino eccezionale, né oustanding, solo una quindicina di buone bottiglie tra i 90 e i 92/100. Al top sono due chardonnay potenti ed alcolici : Montebello di Ridge 2016, da   Santa Cruz Mountains, e un vino dell’Alexander Valley di Stonestreet. Ai due Panel Tasting Decanter affianca anche un’altra degustazione, i cui vini sono selezionati da uno dei suoi esperti.

Questa volta Sarah Ahmed  propone i suoi blend multiregionali australiani preferiti. Sì, perché le regolamentazioni di questo paese consentono dei blend di uve provenienti da territori diversi e anche molto distanti tra loro. Sembra con buoni risultati: per es. La cuvée Bin 311 di Penfold’s risulta da un blend di chardonnay di Adelaide Hills, Tumbarumba e Tasmania (94/100). L’impronta territoriale naturalmente é quella che é, ma risultano rewarding i prezzi più contenuti e la qualità più costante, in quanto ogni produttore é in grado di scegliere le uve migliori dai diversi territori.

Adelaide Hills

Restiamo in Australia per scoprire un’altra realtà ancora poco conosciuta nel nostro paese, i vini prodotti a partire da varietà italiane. Tra quelle a bacca rossa é  il Sangiovese a coprire la fetta maggiore, seguito dai vari lambrusco , dal dolcetto, nero d’Avola e montepulciano, ma oviamente ce ne sono molte altre. Tra le uve bianche é il moscato bianco a sovrastare tutte le altr, ma subito dopo é l’uva glera, poi moscato giallo, fiano e vermentino.

I migliori per Michaela Morrissono due Fiano della Mc Laren Vale tra i bianchi, mentre tra i rossi  a eccellere sono un Nebbiolo della Yarra Valley e un Nero d’Avola della Clare Valley. Gli altri due servizi annunciati in copertina sono due itinerari enogastronomici: il primo, “di casa”,  in Kent, l’altro, più breve, a Nizza.

Naturalmente c’é molto altro non segnalato dai titoli di copertina. Il primo  di essi é il profilo della regione di Savennières , nell’Anjou: qui si producevano, nel passato, alcuni dei vini bianchi più famosi del mondo, poi un pò appannati. Ora, spiega Rebecca Gibb, si assiste ad una graduale ripresa , con la comparsa di nuovi produttori  che vanno ad affiancarsi ai Domaines storici. Nella selezione di Gibb,tre chenin blanc di Savennières  raggiungono i 96/100.

A seguire é il ritratto-intervista di Jean-Claude Mas, produttore languedocien, a Pezenas e abilissimo nel marketing internazionale , col suo brand The Arrogant Frog.

Altri due articoli riguardano i vini rumeni e la ribolla d’Italia e Slovenia. Nel primo servizio Darrel Joseph delinea un breve panorama di una nazione che in passato era stato un produttore vinicolo importante, la cui rinascita é stata all’inizio guidata da produttori esteri (molti anche italiani), e che ora vede emergere dei talenti locali  tesi a valorizzare, accanto alle varietà internazionali (merlot e cabernet sauvignon  tra quelle a bacca rossa, riesling italico e sauvignon blanc tre le uve bianche), quelle  autoctone, come la fetească regala ,  la fetească neagră o il raro novac.

L’altro articolo (“You say Rebula, I say Ribolla”) parla della doppia identità della ribolla, uva diffusa nel Collio, ma anche oltrefrontiera nella regione di Goriška Brda, in Slovenia.  Diverse le tipologie dei vini ( affinati in legno o in anfora, macerati oppure no), la ribolla dà vini ricchi e complessi, non particolarmente aromatici , ma che, con rese basse, possono essere notevolemte longevi. Tra i vini segnalati da Stephen Brook sono soprattutto quelli di Gravner ad eccellere,  seguiti da quelli dei due  Simcic (Marjan ed Edi) e Radikon.

Non é finita, perché in questo numero, naturalmente,  ci sono anche le consuete, numerose rubriche  (le notizie del mese, le lettere dei lettori, “il mondo” di Steven Spurrier , i week-day wines , le Notes & Queries, il Market Watch) e le pagine dei columnist (Jefford: quanto contano le prospettive; Johnson: la classificazione dei cru  della VDP in Germania; Ribeirinho: i nuovi vini portoghesi). Si finisce, come sempre, con la Wine Legend, Opus One 1991.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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