Stampa estera a portata di clic: Bourgogne Aujourd’hui, n. 1526 min read

La vigna riprende vita, sia pure in epoca di coronavirus, e l’immagine di copertina è dedicata al suo risveglio. Il titolo principale rimanda alla degustazione della Guide d’Achat dei vini di Santenay , Maranges e Chambolle-Musigny dell’annata 2017, annunciata dal titolo “2017 per il piacere immediato”. Gli altri titoli sono per l’incontro con il Domaine Coche-Dury, referenza assoluta per i  bianchi della Côte-de-Beaune, e per il supplemento Beaujolais. Infine: il Dossier dedicato ai “fondamenti” della Borgogna, con l’appendice dedicata al Beaujolais nel quaderno allegato, e la riposta al quesito: “La ceralacca  sul tappo è davvero utile?”

Per una maggiore brevità,  la nostra attenzione sarà indirizzata principalmente alle degustazioni e all’incontro con Coche Dury, mentre ci limiteremo a qualche cenno sugli altri servizi.

Cominciamo da Coche-Dury. Questo Domaine di Meursault, 11 ettari di vigna, dei quali l’80% dedicato alla produzione di vini bianchi, è nato quasi un secolo fa (nel 1923) con Léon Coche, un  vignaiolo salariato di quel territorio. A condurlo, oggi, è il trentottenne Raphael Coche, che, affiancato il padre Jean-François nel 1997, è ora da “solo al comando”. La fama di questo Domaine di Meursault (Dury proviene dal cognome della madre) è naturalmente principalmente dovuta ai suoi vini di quell’AOC, nel cui ambito possiede parcelle in tre  dei suoi premiers crus più prestigiosi (Genevrières, Perrières e Caillerets) oltre che village.  Ad essi  si aggiungono  il prezioso  Corton-Charlemagne grand cru, e altri bianchi e rossi  nelle appellations Bourgogne, Bourgogne Aligoté, Auxey-Duresses, Monthélie , Puligny-Montrachet e Volnay premier cru. Coche-Dury svolge anche una limitatissima attività di négoce, proposta con lo stesso marchio, che si è resa necessaria nella difficilissima (a causa delle gelate) annata 2016, nella quale perse il 60% della produzione.

Raphael Coche-Dury

Nell’intervista il giovane Coche parla del suo rapporto col padre e della diversità dei loro stili, soprattutto per quanto riguarda i vini rossi, che preferisce  con più concentrazione, più materia, ma ottenute naturalmente, attraverso  la riduzione delle rese e uve più concentrate, più che con pratiche enologiche. La vinificazione è tradizionale, con 12 giorni di cuvaison e modulazione anno per anno dell’impiego di “grappe entière”. Anche nei bianchi , afferma di non amare i vini eccessivamente depurati e minerali: vuole che ci sia  della  potenza, della materia o, per così dire, della “carne”. “Voglio  vini freschi, non  acidi” afferma.  Lamenta  che molti abbiano perduto il gusto di bere un grande vino antico:  una generazione che, a causa della Premox, cerca solo vini giovanissimi e immaturi, e non è più in grado di apprezzare dei vini realmente complessi in grado di sfidare il tempo (NdA: Il suo monumentale Perrières 2016 sarà commercializzato non prima di cinque anni dalla vendemmia).

Benché il 55% dei suoi vini sia venduta all’estero, Raphael afferma di non aver alcuna intenzione di andare in giro per il mondo a propagandarli: di questo fortunatamente si  occupa piuttosto suo padre. Non vuole ingrandirsi più di tanto,  ha anzi timore di una crescita eccessiva che ha già trasformato più  di un vigneron in altrettanti  imprenditori, più preoccupati del mercato che delle vigne.  Preferisce vivere la sua vita e svolgere la sua attività piuttosto  “deconnecté”, senza preoccuparsi troppo delle opinioni e dei giudizi degli altri. Confessa anche di avere un rapporto “in dosi omeopatiche” con i giornalisti. Conosce naturalmente  il rischio della speculazione e delle falsificazioni, ma ha più fiducia nei suoi distributori, che conosce tutti personalmente da anni,  che nei codici a barre sulle bottiglie. Per lui una bottiglia di cui non conosca la provenienza è “sicuramente falsa”.

L’intervista a Raphael  Coche è seguita da due degustazioni: la prima di 10 vini (6 bianchi e 4 rossi) della vendemmia 2017, poi una verticale di otto millesimi (dal 1999 al 2017) del suo Meursault Les Rougeots, un lieu-dit village, il più potente dei tre (con Le Tesson e Les Chevaliers) situati proprio  sotto i Vireuils, nel settore che guarda a Auxey-Duresses. Coche-Dury  possiede 65 are dei suoi poco più di tre ettari e ne ricava un Meursault molto solido e muscoloso, capace di durare a lungo in alcune annate. Per Coche quello del 2014 è superbo.

Eccoci alle degustazioni della Guide d’Achat. Santenay e Maranges sono due appellations “minori” della Côte de Beaune, le più meridionali: anzi, quella di Maranges geograficamente fa parte del Departement de Saône-et-Loire, aprendo sulla Côte Chalonnaise. Entrambe producono in grandissima prevalenza vini rossi.  La degustazione è preceduta da un focus sul climat Les Gravières, il più famoso dei premiers crus di Santenay , considerato Tête de cuvée del suo territorio già prima del riconoscimento dei Premiers Crus: poco meno di trenta ettari  di un suolo costituito da graviers (donde il nome) , galets e sabbie molto calcaree, con circa 25 exploitants , tra i quali il Domaine Jessiaume è quello che ne possiede la porzione maggiore.

La vendemmmia del 2017, a Santenay come a Maranges,  ha dato vini rossi che, pur senza essere al livello di 2015 e 2016, si fanno apprezzare per il loro lato charmeur e molto gourmand. Diversamente, per quanto riguarda i  rari vini bianchi, si dividono tra due profili diversi : in parte sono fruttati, solari e carnosi, altri sono più freschi e “tendus” (tesi).  Come sempre ha conseguito i migliori risultati chi ha limitato le rese, senza assecondare l’annata generosa dopo l’avarissimo 2016, e ha selezionato attentamente la qualità delle uve. I migliori assaggi: a Santenay spunta 18.5/20 il Clos Rousseau Les Fourneaux Premier Cru Vieilles Vignes  del Domaine Bachey-Legros , che presenta anche una buona selezione di altri crus, tra cui un discreto bianco , mentre il miglior risultato di Maranges, con 17/20, è quello del Premier Cru Les Croix Moines di Chevrot et Fils.

La degustazione successiva  è quella dedicata ai vini di Chambolle-Musigny, grande appellation della Côte-de-Nuits: quasi 170 ettari, dei quali 11 del suo grand cru Musigny. I vini della vendemmia 2017 sono meno concentrati di quelli delle due vendemmie precedenti, ma si fanno apprezzare per freschezza, frutto e molta finezza. Il miglior punteggio della degustazione (18/20) è stato assegnato a un Premier Cru, Les Noirots, del Domaine Sigaut, un “incontournable” dell’appellation, che presenta anche una bella selezione di altri premiers crus  e villages, come il Les Bussiéres Vieilles Vignes. Si distingue anche il Domaine Felettig, dove Gilbert e sua sorella Christine  hanno proposto una ampia selezione di Chambolle-Musigny di ottimo spessore.

Mi limito ad accennare soltanto all’articolo dedicato alla ceralacca (ormai  quasi sempre sintetica)  sempre più amata dai vignerons del Beaujolais e dello Jura, ma adottata anche da alcuni Domaines della Côte-de-Beaune (tra questi Olivier Lamy, a Saint-Aubin) , che preferiscono usarla per ricoprire i loro tappi per proteggerli maggiormente dall’ossigeno. Ugualmente sorvolerò sul servizio dedicato ai fondamentali della Borgogna (storia, regioni, vitigni e cifre-chiave) che conclude questo fascicolo, con una appendice nell’annesso fascicolo monotematico dedicato al Beaujolais. Quest’ultimo, oltre a proporre una vasta degustazione dei crus del Beaujolais  e delle sue varie tipologie, della eccellente (pur se non “hors-norme” come quella del 2015) vendemmia 2018, propone un incontro con Jean-Marc Burgaud , maggiore exploitant della Côte de Py di Morgon, di cui è presentata una verticale 1992-2016 del suo cru.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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