A spasso per cantine prima di Taste Alto Piemonte5 min read

Circa un anno fa scrivevo, riferendomi all’Alto Piemonte “…ad un certo punto mi sono immedesimato nei panni di un invecchiato Hänsel che gira per boschi cupi e non molto ospitali e alla fine sbuca in una meravigliosa e ampia radura dove, per fortuna, ad accoglierlo non c’è la strega cattiva con la casetta di marzapane ma il produttore buono con la sua cantina.”

In realtà questo non era un sogno ma una profezia e lo pensavo qualche giorno fa mentre stavo per arrivare nell’ampia radura di fronte alla cantina  La Prevostura, passando per stradine impervie e sterrate, contornate da boschi cupi e silenti. Per fortuna La Prevostura non è solo una cantina ma un ottimo locale con agriturismo e il pranzo che mi ha preparato la giovane e bravissima Elisa Bellini valeva anche l’attraversamento del Deserto del Gobi in ginocchio.

Elisa Bellini e Martino Morello, responsabili a La Prevostura

Prevostura: vini  buoni e cucina da ricordare

Ma prima del pranzo parliamo dei vini di questa giovanissima azienda (prima vendemmia ufficiale 2009) che si trova sulla punta sabbiosa prima che la zona di Lessona degradi verso la pianura. Hanno vigne giovani ma già una mano che diventa anno dopo anno più precisa e che cerca di produrre vini che portino l’accento sul territorio e sui vitigni che lo declinano. Avranno bisogno di qualche anno ma sono sicuro che di questa giovane cantina sentiremo parlare in futuro.

Sin da ora un esempio della loro bravura l’abbiamo col Garsun 2015, un Coste della Sesia piacevole e rotondo nonostante l’acidità viva che lo caratterizza e con il Muntac 2015, più austero, più figlio del nebbiolo, più portato al futuro. Ma il loro cavallo di battaglia è naturalmente il Lessona, che nella versione 2014 magari non ha una potenza ed una complessità enorme ma mostra quella finezza tannica assolutamente non marcata dal legno che i vini di questa denominazione dovrebbero avere.

Un eleganza tannica che lo sposa perfettamente ai salumi che ho gustato per pranzo, in particolare un salame morbido che rasentava la perfezione. A proposito di perfezione, cosa ne dite di un menù come quello qua sotto?

Vi posso garantire che, pur non avendolo provato tutto (dovevo lavorare, cribbio!) ho “testato” la cucina di Elisa e ne sono rimasto molto soddisfatto. L’uovo fritto (delle loro galline) sposato alla polenta e servito nel fornelletto da bagnacauda era notevole ma la torta di pane, pere e rum era assolutamente da sballo.

Considerando che il ristorante è aperto solo venerdì, sabato e domenica il consiglio è di prenotare per tempo.

Ioppa, quelli che sbancano (le colline, non il casinò)

Vi ricordate la scena di Amici miei in cui si presentano come responsabili di una futura autostrada e fingono di voler distruggere un paesino toscano? La frase forte della scena è “Qui, tutto giù!” e mi è tornata in mente mentre Andrea Ioppa mi faceva visitare il nuovo vigneto, nato grazie ad uno scasso che ha tolto circa 6/7 metri di “argilla superficiale” per arrivare così allo strato di sabbia adatto per far nascere nebbioli più fini e delicati.

Siamo a Ghemme e la famiglia Ioppa produce questo vino praticamente da sempre, in particolare da sette generazioni. Da qualche tempo il loro “core business” è diventato un rosato da nebbiolo, che nel 2017 è rotondo e piacevole, mentre sul fronte Ghemme stanno ripensando a diverse cose in questi ultimi anni. La  strada scelta era comunque valida e l’ho capito degustando a Taste Alto Piemonte il loro eccezionale Ghemme 1999. Ho scritto più volte che ho difficoltà a comprendere i vini di Ghemme, specie dal punto di vista aromatico: sono vini che hanno bisogno di tempo e quelli di Ioppa, pur buoni,  non fanno eccezione.

Per esempio i  loro Ghemme Santa Fé e Balsina 2013 sono ancora abbastanza coriacei al palato, con un naso che mostra giovinezza e futura complessità. Più abbordabile, ma sempre “con giudizio” il Ghemme base, più rotondo, meno muscolare, più godibile (per essere sicuri diciamo più godibile tra 2-3 anni). Forse stanno facendo una battaglia di retroguardia ma la loro Vespolina affinata in legno, che entra in commercio dopo quattro anni è un vino che fa pensare sulle reali possibilità di questo vitigno.

 I buoni vini di Boniperti (e se lo dice un’interista…)

L’avrei picchiato! Non si può far assaggiare (a marzo, non a settembre) un rosato 2017 da nebbiolo così austero, fine, complesso, profondo e poi dire che non può venderne nemmeno una bottiglia. Purtroppo Gilberto Boniperti (niente a che vedere con il Boniperti juventino) ne ha prodotte solo 1000 bottiglie, tutte prenotate dal suo importatore americano. Se ci pensi bene comunque  i numeri di questa piccola cantina, anche in piena produzione, non sono certo giganti: si parla di nemmeno 3-4 ettari a Colline Novaresi nella zona attorno a Barengo ed un fazzoletto di vigna nella zona del  Fara. Il tutto gestito da Gilberto, vero e proprio “one man jazz band” dell’azienda.

E oltre al rosato la “jazz band Boniperti” produce una buona Barbera, una particolare Vespolina ed un Nebbiolo a cui ha dato il mio nome. In realtà il Carlin (nome del vino), chiamato così in onore del nonno, è un Colline Novaresi Nebbiolo che unisce la complessa finezza del free jazz alla piacevolezza di alcuni assoli di tromba di Louis Armstrong: il 2016 in particolare è  di buona struttura con tannicità ampia ma già abbastanza rotonda, mentre il 2015  è adesso molto più elegante e complesso. Il bello di tutti questi vini è che non vedono legno e non ne sentono il bisogno.

L’unico vino che ha un bel passaggio in botte grande e il Fara Barton; adesso entra in commercio il 2014 e il consiglio è quello di tenerlo ancora in cantina. Sempre per rimanere nel mondo del Jazz l’ho trovato ancora un po’ “sincopato” al naso, mentre in bocca ha una bella grinta tannica da smussare, nonostante la vendemmia non certo da cinque stelle.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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