Sostenibilità: dobbiamo imparare dalla mezzadria!4 min read

Nel mondo del vino ci sono state varie parole d‘ordine negli ultimi 30-40 anni: per esempio “barrique, merlot, densità per ettaro, cabernet, autoctoni, territorio, monovitigno, cemento” ma sono sicuro di essermene scordate parecchie.

Stranamente il termine biologico non è mai entrato a far parte del gruppo, forse perché, almeno in Italia, poco gettonato e non sempre associato a vini di alto livello o forse perché poco sponsorizzato da tante aziende. Sicuramente ha avuto più successo il termine biodinamico e anche tra i produttori di vini cosiddetti naturali il termine “biologico” è visto come un qualcosa di parziale, di incompiuto.

Alla fine, per evidenziare vini come ha da sempre detto Slow Food “ buoni, puliti e giusti”, si è trovato un termine di compromesso: “sostenibilità”.

Dietro questo termine si nascondono tante cose, ma fondamentalmente siamo di fronte ad un qualcosa di estremamente generico, forse più di tante parole d’ordine del passato. Infatti biologico è sostenibile, la lotta integrata è sostenibile, biodinamico è sostenibile (per carità, figuriamoci!), però sostenibile è anche chi fa i trattamenti dall’elicottero così non si calpesta il vigneto e chi utilizza (per fortuna!) bottiglie leggere. Insomma, visto che le cose insostenibili in viticoltura e in agricoltura sono centinaia, quelle sostenibili sono altrettante.

In questi mesi sto preparano un libro sulla storia dei primi 50 anni di una cantina chiantigiana e così mi è capitato di interessarmi un po’ di più del fenomeno storico, sociale ed economico della mezzadria. Si trattava, in parole povere, di un economia chiusa, circolare, dove non si buttava via niente, dove tutto serviva, dove non c’erano problemi di calpestamento dei vigneti, di inquinamento, di utilizzo esagerato di fitofarmaci, pesticidi etc.

Il concime per le vigne e per i campi era animale, i mezzi usati in vigna erano le braccia e gli animali, le bottiglie pesanti non esistevano perché c’erano i fiaschi e chi non li riciclava, cioè li utilizzava per centinaia di volte  era visto come uno scialacquatore. Insomma, la mezzadria era una forma quasi perfetta di economia agricola ipersostenibile per il nostro pianeta.

Per esserlo aveva tutte le carte in regola, bastava non essere un mezzadro! Quello che doveva con le sue braccia e lavorando dalle 10 alle 16 ore al giorno, renderla sostenibile. Non per niente i mezzadri e le loro famiglie appena poterono lasciarono il lavoro dei campi per andare in fabbrica a lavorare “solo” 9-10 ore al giorno.

Bisogna inoltre far notare che l’economia mezzadrile si basava su consumi e su aspettative di consumo almeno 10-20 volte inferiori rispetto a oggi (una festa per i ragazzi era quando potevano correre nei campi senza guardare le bestie, per gli adulti quando potevano mettersi a veglia e raccontarsi storie, magari condite da un bicchiere i vino.)

Partendo da questo mi viene da affermare che oggi una viticoltura e un’agricoltura veramente sostenibili non possono non passare attraverso alcuni capisaldi.

  1. Chiedere meno (al terreno, agli altri).
  2. Essere soddisfatti di avere meno.
  3. Sprecare meno.
  4. Muovere meno i prodotti agricoli (perché devo comprare un kivi neozelandese e magari in Nuova Zelanda si mangiano un kivi italiano?).
  5. Aiutare e aiutarsi di più.

Mi accorgo che sembra proponga di abbandonare la civiltà dei consumi, ma questo oltre a non essere vero è possibile? In che misura? Pagando un prezzo? Quale?

Molti potrebbero dire che tante macchine possono sostituirci anche in agricoltura, ma le macchine consumano, pesano, inquinano, costano e poi chi crede ancora alla favola che ti liberano dal lavoro? Ti sostituiscono un lavoro con un altro, magari MOLTO meno faticoso dal punto di vista fisico, stop.

Attenzione, non voglio dire che le conquiste moderne, da quelle mediche in poi, siano da buttare: semplicemente vorrei far notare che alla fine dei salmi lo strumento agricolo che inquina meno è il braccio umano ed è ancora insostituibile e ben poco valorizzato nel mercato delle braccia, anche perché spesso ove è sostituibile la cosa viene fatta solo con un altro braccio, magari scuro, che sicuramente lavora per un compenso inferiore (e questo, anche se può sembrare sostenibile per la terra, non lo è per il genere umano).

In definitiva cosa volevo dire con questo pippone? Semplicemente che per capire cosa vuol dire sostenibile non dobbiamo guardare avanti ma indietro e imparare a vivere un po’ tutti “in sottrazione”, anche minima. Solo cosi potremo sperare di salvare il nostro pianeta,  facendo un po’ tutti quello che facevano i mezzadri: consumare meno, chiedere meno e magari essere in prima fila a produrre o a valorizzare chi lo fa usando le sue braccia.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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