Segatura nel cervello? Facci il vino!4 min read

Immaginate di essere al teatro a guardare la recita della scuola di vostro figlio la sera della finale dei prossimi campionati del mondo di calcio (ovviamente Italia – Brasile), con il vostro bravo auricolare come molti altri papà. Arriva l’uno a zero per gli azzurri a un minuto dalla fine, convalidato dopo due gol annullati ingiustamente. A quel punto la recita è nella sua parte più “drammatica”: come gioireste? Ve lo dico io, agitandovi e sbracciandovi in maniera molto più teatrale della recita ma a volume zero, insieme a quasi tutti gli altri papà. Le vostre silenziose contorsioni sarebbero accompagnate dalle occhiate di disapprovazione di molte mamme, mentre solo poche di queste esulterebbero come voi.
Proprio allo stesso modo molti enologi hanno accolto verso la fine di dicembre del 2005 l’approvazione della legge CEE 2165/2005: in esultante silenzio. Il popolo dei produttori invece, si è diviso come le mamme: chi esultava, chi quasi si indignava.
La 2165/2005 autorizza fra molte altre pratiche anche l’uso di “pezzi di legno di quercia” (citazione testuale) per l’affinamento dei vini, e mentre i dibattiti ed i congressi con titoli double-face sul tema si moltiplicano (“Vino nel legno o legno nel vino?”), noi abbiamo cercato di sondare il terreno fra gli addetti ai lavori, raccogliendo idee e impressioni in proposito.
 “Certo non è il massimo per l’immagine dei vini europei, ma allo stesso tempo mi metto nei panni dei produttori di quei vini che per rapporto qualità/prezzo si scontrano con americani, cileni o australiani…” così, molto filosoficamente la vede Filippo Antonelli, proprietario della azienda Antonelli San Marco di Montefalco. Un commento molto misurato in confronto al liberatorio “Era ora” di Giovanni Capodonico, enologo residente dell’azienda “Il Pollenza” di Tolentino. Capodonico spiega la ragione di questa soddisfazione sottolineando proprio quanto la produzione italiana fosse penalizzata nei confronti di quella cilena o australiana, le quali da sempre si avvalgono legalmente dell’uso di trucioli e doghe. Ovviamente Capodonico fa riferimento ad una produzione di fascia di prezzo medio-bassa, che ha visto fino ad oggi i vini del nuovo mondo vincere nettamente a scapito dei nostri la battaglia dei prezzi. Lo stesso Capodonico aggiunge però come  fosse opinione diffusa che molte aziende  italiane si avvalessero già di queste metodologie sebbene in via non ufficiale, e quest’ultimo commento cambia ai nostri occhi il senso del precedente, che potrebbe quindi essere letto come “era ora che lo si potesse fare anche da noi senza rischiare la galera”. Ovviamente Capodonico non faceva riferimento alla produzione de “Il Pollenza”, che data l’esiguità dei numeri di bottiglie prodotte e gli obiettivi di alta qualità che si prefige, non si avvarrà delle metodologie permesse da questa legge.
Diametralmente opposto è il parere di Antonio Moretti, proprietario della Tenuta Setteponti di San Giustino Valdarno, il quale è indignato dalle nuove disposizioni e troverebbe giusto quantomeno “completarle”, obbligando le cantine che se ne avvalgono a dichiararlo in etichetta. “Così si penalizza chi non prende scorciatoie” è stato il commento a caldo di Moretti, evidenziando che questa legge non fa nulla per valorizzare e tutelare i produttori che invece sono votati alla qualità.
Federico Marconi, export manager del Castello delle Regine nei pressi di Amelia, sebbene concorde sul fatto che il provvedimento non sia certamente latore di qualità, ha una visione differente su quanto riguarda un eventuale miglioramento della legge. “Fra due maratoneti che devono partire da un punto A per arrivare ad un punto B, se uno dei due prende una scorciatoia, è quello che ha compiuto tutto il tragitto a doversi difendere” paragone che motiva il fatto che secondo Marconi, sono i vini invecchiati in botti o barrique quelli che dovrebbero recare in etichetta una dicitura del tipo “invecchiato tradizionalmente”.Sicuramente, anche senza entrare nei meriti tecnici, la 2165/2005 è una legge che può essere migliorata nella sua stesura: il riferimento a “pezzi di legno di quercia” dev’essere chiarito (cos’è un “pezzo” di legno? Anche un granello di polvere è fisicamente un pezzo) e i produttori di vini di qualità tutelati in qualche maniera. A sua parziale difesa dobbiamo comunque sottolineare che l’autorizzazione della legge all’uso di “pezzi di legno di quercia” si riferisce sicuramente ai vini da tavola ed alle IGT, certamente non alle DOC ed alle DOCG, per le quali sono previsti dei tempi minimi di permanenza NEL legno dai rispettivi disciplinari.
Se poi questa abbozzata difesa si dimostrasse priva di fondamento, allora pregheremmo i signori di Bruxelles di inviarci al più presto le tabelle di conversione: a quanti minuti di “infusione” equivalgono due anni in botte, con “pezzi di legno” di 2mm X 2mm? Qualcuno ci vuole anche della maionese?

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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