Seconda parte dei grandi falsi del vino. Italia, USA, Cina: un giro di miliardi di dollari6 min read

La Cina, in quanto a bottiglie di pregio  falsificate, sembra essere il paese dove ne circolano di più. Lo smercio di prodotti falsi è reso più facile dalla  distanza dai luoghi di produzione e dalla  minore familiarità dei consumatori  al prodotto.

Probabilmente a contare é però anche una diversa sensibilità verso il problema. Nell’intervista già citata nell’articolo precedente, Eric Rousseau racconta di aver visitato la cantina di  un importatore di Pechino, che aveva acquistato ad un’asta di Hong Kong tutte le bottiglie del suo Domaine bandite in quell’occasione.  Stupito, constatò che diverse  etichette di altri vini venduti da costui erano stampate con la stessa identica grafica delle sue bottiglie. Questo senza alcun timore e senza alcuna vergogna, perché era una cosa che il cinese riteneva del tutto normale, quasi un omaggio nei suoi confronti.

Questo episodio non deve però  indurci a pensare che la contraffazione sia un fenomeno esclusivamente cinese.  In America, dove si svolgono annualmente molte aste internazionali e dove sono alcuni dei maggiori collezionisti di vino del mondo, il fenomeno è purtroppo ben conosciuto.

Anche in Italia non si scherza…

E l’Italia non è certo fuori del giro. La cronaca riporta molti casi di bottiglie di vini italiani famosi contraffatte: si cominciò con  il Sassicaia, poi fu la volta del falso Amarone della Cantina di Negrar in Ontario, senza scordare  la truffa, fortunatamente sventata, di oltre 200.000 bottiglie di Brunello e di Rosso di Montalcino pronte  per il  mercato.

Sassicaia, Ornellaia, il Barolo di Giacosa e il Brunello di Soldera, pur se ancora lontani da Petrus e Romanée-Conti,  sono costantemente negli elenchi delle bottiglie di vini italiani più ricercati e quindi contraffatti.  Questo indesiderato privilegio è toccato però  anche a molti altri vini affermatisi recentemente, come il falso Primitivo di Fino apparso in Brasile.

Ovviamente i falsari italiani non si limitano alla contraffazione di prodotti nazionali. Qualche anno fa (era il febbraio 2013) la Guardia di Finanza di Olgiate Comasco fermò la  Porsche Cayenne di Enzo e Nicola Lucca, rispettivamente padre e figlio: nel cofano dell’auto c’erano 70 bottiglie di Romanée-Conti, probabilmente false.  In seguito furono entrambi condannati per contraffazione e ricettazione, a 5 anni e mezzo il padre e tre anni e mezzo il figlio. Le bottiglie furono confiscate per essere distrutte, anche se la perizia mostrò che si trattava di vino di grande qualità, comunque spacciato per il più prestigioso ( e costoso) Cru di Vosne-Romanée.

Artisti della contraffazione?

Non sempre la contraffazione è di alto livello qualitativo come nel caso appena citato. Il mercato asiatico, come riferisce Margaret Downey  fondatrice di Chain Consulting (ne parleremo nel prossimo articolo) , è pieno di vini falsi di differenti tipi e contraffatti con livelli molto variabili di accuratezza. A volte la falsificazione è  abbastanza superficiale. Di alcuni brand, ad esempio, ci si limita talvolta a corrompere i nomi: così, come  riporta  Jeannie Choo-Lee, Penfolds diventa Penfoids e non tutti si  accorgono della differenza.

Alcuni truffatori sono però più ambiziosi , e le loro creazioni  talvolta davvero quasi indistinguibili dagli originali. In un’intervista  effettuata per LIV/EX, periodico specializzato nel mercato del Fine Wine, Michael Egan ( oltre venti anni alla casa d’aste Sotheby’s  sulle spalle, tra gli esperti che collaborarono  con Jim Wynne, l’agente incaricato dall’FBI nell’indagine sul caso  Kurnawian)  parla di una bottiglia di Romanée-Conti del 2005 contraffatta da due italiani, padre e figlio,  come del miglior falso nel quale si sia imbattuto, praticamente identico all’originale. Downey riporta il caso davvero paradossale di una bottiglia vera spacciata per falsa: un Lafite del 1964 venduto  come un Lafite del più costoso e ricercato 1961. Davvero un truffatore onesto.

Attenzione agli unicorni

Falsificare una grande bottiglia di annata recente è più  rischioso e meno remunerativo. Quale guadagno possano procurare delle grandi bottiglie molto antiche, sono a dimostrarlo le due bottiglie di Romanée-Conti (vere) del 1945 recentemente aggiudicate per oltre un milione di dollari (vedi su Winesurf) e i prezzi stratosferici pagati all’asta dei vini della cantina di Henri Jayer a Ginevra.

Ma, se la contraffazione è ben fatta e si riferisce a vini di diversi anni,  anche il rischio è minore. Per quanto possa essere raro, infatti,  per un vino di annata recente sono sempre disponibili delle bottiglie autentiche con le quali effettuare un confronto diretto. Inoltre  degli assaggiatori  esperti non avrebbero certo difficoltà a  distinguere un  Romanée-Conti, o un Pétrus da  un altro, pur ottimo, cru  ma di un terroir diverso.

Quando si tratta di bottiglie di annate molto vecchie invece, le cose si complicano anche per gli investigatori più smaliziati:  nel corso del tempo può essere è cambiato il proprietario, spesso anche solo per un inevitabile adeguamento estetico possono essere stati innovati  la grafica delle etichette, le capsule e i  sugheri.

La minor disponibilità di esemplari “sicuri” rende il riconoscimento dei falsi ancora più difficile. Se poi  l’annata è molto vecchia, anche l’assaggio diventa meno decisivo, perché i cambiamenti indotti dagli anni (e in molti casi decenni) possono essere variabili.

Poi però ci sono  gli “unicorni”, cioè  i vini che avrebbero potuto esistere  ma non sono mai davvero esistiti: come i Clos Saint-Denis  dal 1945 al 1971 di Laurent Ponsot (vedi articolo precedente). Non vi è infatti dubbio che una   minore  conoscenza dei prodotti e del modo con cui  erano confezionati (chi può dire di aver avuto tra le mani e aver addirittura assaggiato un vino dell’epoca del Presidente Jefferson?) offra ai contraffattori una grande opportunità “creativa”.

Non si commetta però l’errore di stimare questa come la  storia, intrigante ma circoscritta,  del duello tra banditi più o meno abili e geniali e pochi miliardari capricciosi ,  tipo Banda Bassotti contro Paperon de Paperoni.

Margaret Downey stima infatti  il volume di affari della contraffazione in oltre 3 miliardi di dollari, mica bruscolini. La valutazione è davvero difficile, perché, a parte i casi più clamorosi (Kurniawan si era creato da solo un giro di  550 milioni di dollari), ve ne sono molti  che rimangono nascosti, dal momento che  le bottiglie contraffatte non vengono sempre distrutte una volta scoperte, ma rimesse più volte in circolo.

Non sono infatti infrequenti i casi nei quali enotecari, ristoratori e rivenditori poco onesti, presentandosi loro stessi come vittime dei truffatori,  si accordano con le loro vittime restituendo  integralmente le somme versate in cambio dei vini contraffatti . Sono tutti soddisfatti: gli incauti acquirenti, che sono risarciti della perdita , senza dover affrontare estenuanti battaglie legali (oltre a evitare i costi di immagine  connessi al fatto di essere stati fregati) e  gli spregiudicati venditori, che, recuperati i loro falsi, possono tranquillamente riprovarci.

A quanto sembra non è affatto raro che ci riprovino: ma di questo e di altro vi parleremo la prossima volta.

 

 

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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