La Cina, in quanto a bottiglie di pregio falsificate, sembra essere il paese dove ne circolano di più. Lo smercio di prodotti falsi è reso più facile dalla distanza dai luoghi di produzione e dalla minore familiarità dei consumatori al prodotto.
Probabilmente a contare é però anche una diversa sensibilità verso il problema. Nell’intervista già citata nell’articolo precedente, Eric Rousseau racconta di aver visitato la cantina di un importatore di Pechino, che aveva acquistato ad un’asta di Hong Kong tutte le bottiglie del suo Domaine bandite in quell’occasione. Stupito, constatò che diverse etichette di altri vini venduti da costui erano stampate con la stessa identica grafica delle sue bottiglie. Questo senza alcun timore e senza alcuna vergogna, perché era una cosa che il cinese riteneva del tutto normale, quasi un omaggio nei suoi confronti.
Questo episodio non deve però indurci a pensare che la contraffazione sia un fenomeno esclusivamente cinese. In America, dove si svolgono annualmente molte aste internazionali e dove sono alcuni dei maggiori collezionisti di vino del mondo, il fenomeno è purtroppo ben conosciuto.
Anche in Italia non si scherza…
E l’Italia non è certo fuori del giro. La cronaca riporta molti casi di bottiglie di vini italiani famosi contraffatte: si cominciò con il Sassicaia, poi fu la volta del falso Amarone della Cantina di Negrar in Ontario, senza scordare la truffa, fortunatamente sventata, di oltre 200.000 bottiglie di Brunello e di Rosso di Montalcino pronte per il mercato.
Sassicaia, Ornellaia, il Barolo di Giacosa e il Brunello di Soldera, pur se ancora lontani da Petrus e Romanée-Conti, sono costantemente negli elenchi delle bottiglie di vini italiani più ricercati e quindi contraffatti. Questo indesiderato privilegio è toccato però anche a molti altri vini affermatisi recentemente, come il falso Primitivo di Fino apparso in Brasile.
Ovviamente i falsari italiani non si limitano alla contraffazione di prodotti nazionali. Qualche anno fa (era il febbraio 2013) la Guardia di Finanza di Olgiate Comasco fermò la Porsche Cayenne di Enzo e Nicola Lucca, rispettivamente padre e figlio: nel cofano dell’auto c’erano 70 bottiglie di Romanée-Conti, probabilmente false. In seguito furono entrambi condannati per contraffazione e ricettazione, a 5 anni e mezzo il padre e tre anni e mezzo il figlio. Le bottiglie furono confiscate per essere distrutte, anche se la perizia mostrò che si trattava di vino di grande qualità, comunque spacciato per il più prestigioso ( e costoso) Cru di Vosne-Romanée.
Artisti della contraffazione?
Non sempre la contraffazione è di alto livello qualitativo come nel caso appena citato. Il mercato asiatico, come riferisce Margaret Downey fondatrice di Chain Consulting (ne parleremo nel prossimo articolo) , è pieno di vini falsi di differenti tipi e contraffatti con livelli molto variabili di accuratezza. A volte la falsificazione è abbastanza superficiale. Di alcuni brand, ad esempio, ci si limita talvolta a corrompere i nomi: così, come riporta Jeannie Choo-Lee, Penfolds diventa Penfoids e non tutti si accorgono della differenza.
Alcuni truffatori sono però più ambiziosi , e le loro creazioni talvolta davvero quasi indistinguibili dagli originali. In un’intervista effettuata per LIV/EX, periodico specializzato nel mercato del Fine Wine, Michael Egan ( oltre venti anni alla casa d’aste Sotheby’s sulle spalle, tra gli esperti che collaborarono con Jim Wynne, l’agente incaricato dall’FBI nell’indagine sul caso Kurnawian) parla di una bottiglia di Romanée-Conti del 2005 contraffatta da due italiani, padre e figlio, come del miglior falso nel quale si sia imbattuto, praticamente identico all’originale. Downey riporta il caso davvero paradossale di una bottiglia vera spacciata per falsa: un Lafite del 1964 venduto come un Lafite del più costoso e ricercato 1961. Davvero un truffatore onesto.
Attenzione agli unicorni
Falsificare una grande bottiglia di annata recente è più rischioso e meno remunerativo. Quale guadagno possano procurare delle grandi bottiglie molto antiche, sono a dimostrarlo le due bottiglie di Romanée-Conti (vere) del 1945 recentemente aggiudicate per oltre un milione di dollari (vedi su Winesurf) e i prezzi stratosferici pagati all’asta dei vini della cantina di Henri Jayer a Ginevra.
Ma, se la contraffazione è ben fatta e si riferisce a vini di diversi anni, anche il rischio è minore. Per quanto possa essere raro, infatti, per un vino di annata recente sono sempre disponibili delle bottiglie autentiche con le quali effettuare un confronto diretto. Inoltre degli assaggiatori esperti non avrebbero certo difficoltà a distinguere un Romanée-Conti, o un Pétrus da un altro, pur ottimo, cru ma di un terroir diverso.
Quando si tratta di bottiglie di annate molto vecchie invece, le cose si complicano anche per gli investigatori più smaliziati: nel corso del tempo può essere è cambiato il proprietario, spesso anche solo per un inevitabile adeguamento estetico possono essere stati innovati la grafica delle etichette, le capsule e i sugheri.
La minor disponibilità di esemplari “sicuri” rende il riconoscimento dei falsi ancora più difficile. Se poi l’annata è molto vecchia, anche l’assaggio diventa meno decisivo, perché i cambiamenti indotti dagli anni (e in molti casi decenni) possono essere variabili.
Poi però ci sono gli “unicorni”, cioè i vini che avrebbero potuto esistere ma non sono mai davvero esistiti: come i Clos Saint-Denis dal 1945 al 1971 di Laurent Ponsot (vedi articolo precedente). Non vi è infatti dubbio che una minore conoscenza dei prodotti e del modo con cui erano confezionati (chi può dire di aver avuto tra le mani e aver addirittura assaggiato un vino dell’epoca del Presidente Jefferson?) offra ai contraffattori una grande opportunità “creativa”.
Non si commetta però l’errore di stimare questa come la storia, intrigante ma circoscritta, del duello tra banditi più o meno abili e geniali e pochi miliardari capricciosi , tipo Banda Bassotti contro Paperon de Paperoni.
Margaret Downey stima infatti il volume di affari della contraffazione in oltre 3 miliardi di dollari, mica bruscolini. La valutazione è davvero difficile, perché, a parte i casi più clamorosi (Kurniawan si era creato da solo un giro di 550 milioni di dollari), ve ne sono molti che rimangono nascosti, dal momento che le bottiglie contraffatte non vengono sempre distrutte una volta scoperte, ma rimesse più volte in circolo.
Non sono infatti infrequenti i casi nei quali enotecari, ristoratori e rivenditori poco onesti, presentandosi loro stessi come vittime dei truffatori, si accordano con le loro vittime restituendo integralmente le somme versate in cambio dei vini contraffatti . Sono tutti soddisfatti: gli incauti acquirenti, che sono risarciti della perdita , senza dover affrontare estenuanti battaglie legali (oltre a evitare i costi di immagine connessi al fatto di essere stati fregati) e gli spregiudicati venditori, che, recuperati i loro falsi, possono tranquillamente riprovarci.
A quanto sembra non è affatto raro che ci riprovino: ma di questo e di altro vi parleremo la prossima volta.