Quando il vino è un falso e arriva l’FBI5 min read

L’agente del Federal Bureau of Investigation, meglio conosciuto come FBI, aveva esordito con “Mister Rousseau, precisamente quando ha conosciuto Mister Kurniawan?”.

In realtà gli agenti del FBI erano due ed erano venuti appositamente dagli Stati Uniti per interrogare (anche) Eric Rousseau, carismatico vigneron di Gevrey-Chambertin. A raccontare l’episodio è stato lui stesso in una interessantissima intervista al direttore della Revue du Vin de France.

Eric Rousseau

Rousseau non era l’unico produttore di prestigio della Borgogna ad essere direttamente contattato dall’FBI, per una truffa da 550 milioni di dollari che Rudy Kurniawan aveva realizzato in un tempo relativamente breve a danno di ricchi collezionisti di vino di tutto il mondo.

Oltre a Aubert De Villaine, patron del Domaine de la Romanée-Conti ( il grande truffatore non era forse stato soprannominato “Mr. Conti” per la sua conoscenza straordinaria dei vini di quel Domaine?), anche Georges Roumier  e naturalmente Laurent Ponsot, colui che con il suo Clos Saint Denis fantasma, era stato tra i primi ad incastrare Kurniawan.

Laurent Ponsot

Con i due agenti dell’FBI americana erano venuti anche un agente dell’agenzia FBI di Parigi con il compito di fare da traduttore, e vari altri personaggi : due avvocati newyorkesi, il direttore della Polizia giudiziaria di Digione e un segretario. Avevano mostrato allo stupefatto Rousseau due casse piene di false etichette sequestrate nella villa del truffatore indonesiano: difficile distinguerle dagli originali persino per il proprietario.

Erano infatti praticamente identiche, nella grafica, nella qualità e nell’età della carta. Un solo dettaglio le rendeva differenti ad un occhio molto attento: la polvere d’oro che colorava la lettera iniziale del nome era stata sostituita da una semplice doratura di tipografia. Seguì un vero e proprio interrogatorio, molto circostanziato : incontri, visite, telefonate, persino una mail scritta quattro anni prima dalla sorella di Rousseau in risposta ad una richiesta di Kurniawan.

Un simile apparato investigativo non appaia sproporzionato. Kurniawan era davvero un genio della contraffazione, non uno dei tanti cavistes, négociants, intermediari che di tanto in tanto mettevano a punto delle truffe mirate , ma di portata limitata. Come quel , titolare di un modesto bar à vin in Lorena, che  vendeva  Petrus su eBay: lo confezionava, peraltro, mescolando due Bordeaux di tutto rispetto, Fombrauge e Talbot.

La reputazione di Kurniawan , nel mondo dorato dei grandi collezionisti di fine wine,era solidissima, così come straordinaria era la sua conoscenza dei grandi vini di Borgogna. Lo stesso Rousseau la definisce impressionante: “Aveva assaggiato praticamente tutti gli Chambertin dalle sue origini ai giorni nostri… Parlava con grande naturalezza dei vini del 1933, 1934, 1935 “.

Degustatore esperto, Rudy Kurniawan (il suo vero nome era Zhen Wang Huang) era cinese di origine, ma nato a Giacarta, in Indonesia. Arrivato in America con un visto per studenti, era poi  incorso nell’attenzione dell’Ufficio Immigrazione americano nel 2003, per immigrazione clandestina. Rimasto in America come straniero residente illegalmente, cominciò ad acquistare vini rari giungendo a spendere fino a un milione di dollari al mese nel 2006. La sua ascesa fu vertiginosa, la sua cantina presto accreditata come la più grande e importante al mondo. Il giro di affari realizzato da Kurniawan era davvero da  capogiro.

Finché un ostinato produttore borgognone, Laurent Ponsot, non si imbatté nell’annuncio della vendita di diversi lotti del suo Saint-Denis Grand Cru  di anni dal 1945 al 1971, e volle andare fini in fondo, perché lui non aveva prodotto quel vino prima del 1982.

Kurniawan era un truffatore o lui stesso un truffato, al quale avevano venduto dei vini contraffatti? Il dubbio non durò a lungo, perché il miliardario Bill Koch, grande collezionista, non nuovo a vicende giudiziarie legate al vino (tre anni prima fu tra gli accusatori di un altro grande truffatore, Hardy Rodenstock), contestò un lotto acquistato dall’affarista indonesiano, e  l’FBI cominciò a indagare. L’8 marzo 2012 l’FBI procedette così all’arresto di Kurniawan, dopo  che nell’ispezione della sua cantina, insieme con centinaia di bottiglie  di vini californiani a basso prezzo, spacciati per grandi Bordeaux di vecchi millesimi, erano stati trovati tappi, etichette, capsule  contraffatte.

Il film-documentario “Sour Grapes” (2016) , di Jerry Rothwell e Reuben Atlas racconta in dettaglio  la storia di Kurniawan, sicuramente il più grande  frodatore di vini pregiati insieme con Hardy Rodenstock .

Rodenstock (il suo vero nome era Meinhard Görke) era un editore di musica pop e folk, ma anche grande conoscitore e collezionista di vini eccezionali. La degustazione da lui organizzata nel 1998 all’Hotel Königshof di Monaco, di ben 125 diverse annate di Château d’Yquem , tra le quali un vino del 1784, è rimasta nella leggenda: tra i partecipanti c’erano anche grossi nomi del mondo della degustazione internazionale, come Robert Parker e Jancis Robinson, oltre allo stesso proprietario (di allora) di Yquem, Alexandre de Lur-Saluces.

Hardy Rodenstock

Ma la fama di Rodenstock è soprattutto legata alle famose bottiglie della presunta cantina del Presidente americano Thomas Jefferson , che egli dichiarò di  aver acquisito e poi posto in vendita, tra cui un Lafitte del 1787 che spuntò il prezzo più alto mai raggiunto fino ad allora  da un vino ad un’Asta, 105.000 sterline.

Fu ancora il milionario Bill Koch, che aveva acquistato da Rodenstock per 500.000 dollari quattro bottiglie della collezione Jefferson, a dare nuova linfa alle accuse avanzate nei confronti di Rodenstock  una decina di anni prima da David Peppercorn e Serena Sutcliffe, che avevano contestato l’autenticità di alcune bottiglie imperiali di Petrus del 1921 ed altri millesimi tra il ’24 e il ‘34.

Serena Sutcliffe

Koch si rivolse così ad un agente in pensione dell’FBI per formare un gruppo incaricato di indagare sulle bottiglie vendute da Rodenstock. Non mi dilungherò sulla vicenda e i suoi strascichi giudiziari, anche perché sono stati ampiamente raccontati nel libro di Benjamin Wallace, “ The Billionaire’s Vinegar (2008).

Due storie certo affascinanti, quelle di Kurniawan e Rodenstock, ma sarebbe errato considerarle come  eccezionali. La realtà della contraffazione dei vini pregiati è al contrario davvero agghiacciante. Fonti autorevoli stimano nella misura del 20% la quota di vini falsificati  che circolano nel mondo, per la maggior parte in Asia  e  Xinshi Li, Presidente dell’ Accademia cinese di ispezione e quarantena, precisa che almeno la metà delle bottiglie di Château Lafite vendute in Cina sono contraffatte.

Ma quella dei vini falsi non è solo una vicenda anglo-americana o cinese, e l’Italia non è certo immune, come potrete scoprire nel prossimo articolo.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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