Sannio 2018. Falanghina e Coda di Volpe: annata non facile, ma aspettiamo qualche mese3 min read

E’ sempre un grande piacere ritornare nel Sannio e non solo per la qualità dei vini che lentamente ma progressivamente continua a migliorare, ma anche perché qui si respira, più che in altri luoghi, un’aria autenticamente contadina, nell’accezione più nobile di questa parola. Sono rimasti pochi territori in cui il contadino è rimasto tale, non che questo non presenti aspetti negativi, ma l’autenticità come si esprime qui è difficile trovarla altrove.

Il produttore di vini nel Sannio è innanzitutto vignaiolo e poi vinificatore e infine anche commerciante. Naturalmente ci sono personaggi che riassumono in se tutte queste caratteristiche, ma per la maggior parte non c’è una linea univoca e riconoscibile.

Non c’è da meravigliarsi perché questo territorio,  che comprende tutta la provincia di Benevento, è stato sempre il più grande serbatoio produttivo della regione, in particolare della Falanghina, ma in passato anche di tante altre varietà.

Un territorio da cui acquistare le uve per vinificarle poi altrove e questo spiega tante cose,  prima di tutto la “vocazione” viticola degli agricoltori. Tutto quello che oggi si vede è storia recente, degli ultimi decenni e forse anche meno.

Un bel salto quindi, ancora in itinere, un affrancamento che ha trovato riscontro nella nascita di alcune grandi cooperative che hanno dato impulso alla fioritura in seguito di tante piccole aziende che oggi sono sul mercato.

E’ veniamo alle nostre degustazioni. Si viene in Sannio, ringraziando  il Consorzio di Tutela per l’organizzazione e la grande ospitalità, per degustare in primis i bianchi e poi vini da aglianico, in particolare del Taburno. Recentemente si è aggiunta al panorama dei rossi anche l’interessante Barbera del Sannio o Camaiola come la si vorrebbe rinominare. Per adesso pubblicheremo solo i risultati dei due vitigni bianchi più “Sanniti” cioè  falanghina, e coda di volpe. Gli altri bianchi, fiano e greco, avranno il loro spazio assieme ai cugini irpini, mentre i rossi verranno pubblicati a partire da settembre.

Falanghina e non solo

L’annata 2018 non sarà certo ricordata tra quelle migliori, prima la grandine e poi la peronospora e l’andamento fortemente siccitoso ne hanno  compromesso in parte la qualità. Nel complesso,  come è  emerso dalle degustazioni,  i vini avevano nella maggior parte dei casi una espressività olfattiva adesso modesta: vini  chiusi, con una impronta di profumi fermentativi che forse scompariranno con il tempo, ma che al momento li caratterizza in buona parte.

A questo proposito aggiungerei che il fatto (ormai dato per scontato)  che questi vini migliorino nell’anno seguente, scontato non lo è affatto e soprattutto non può essere un alibi. Non sono mancate le eccezioni,  ovviamente, ma o si producono bianchi da bere giovani o si punta chiaramente verso prodotti da vendere dopo un anno: la via di mezzo è sempre un difficile compromesso.

L’annata 2018 segna inevitabilmente anche la Coda di Volpe. Troppe le note olfattive derivanti direttamente da fermentazione e questo avvalora ancora una volta il fatto che assaggiare questi vini in questa fase è penalizzante, anche  perché più di altri la Coda di Volpe ha bisogno di bottiglia. La fretta al  consumo la fa apparire con vesti che non sono le sue e qualche mese in bottiglia lo dimostrerà. Giudizio interlocutorio quindi per questo vino/vitigno, che storicamente è stato usato in uvaggio con altre celebri uve e che solo dagli inizi degli anni novanta trova interpretazioni che lo rendono protagonista.

Pasquale Porcelli

Non ho mai frequentato nessun corso che non fosse Corso Umberto all’ora del passeggio. Non me ne pento, la strada insegna tanto. Mia madre diceva che ero uno zingaro, sempre pronto a partire. Sono un girovago curioso a cui piace vivere con piacere, e tra i piaceri poteva mancare il vino? Degustatore seriale, come si dice adesso, ho prestato il mio palato a quasi tutte le guide in circolazione, per divertimento e per vanità. Come sono finito in Winesurf? Un errore, non mio ma di Macchi che mi ha voluto con sé dall’inizio di questa bellissima avventura che mi permette di partire ancora.


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