Domenica scorsa, dopo aver trascorso due giorni emotivamente impegnativi e mentre fuori il cielo era grigio come tutto il resto, decido di cucinare salsicce e rapini, che mi sanno di casa e mi ricordano mia nonna: insomma è uno dei piatti “comfort food” come si dice oggi. Al momento di stappare un vino, sperando anche in un buon abbinamento, sono andata in crisi. Non che sia fondamentale la perfezione e non sono integralista ma mi diverte sperimentare e di solito, quando posso, medio tra i miei gusti personali, la mia esperienza di degustatrice e di sommelier, e le nozioni e le regole apprese sui libri e ai corsi.
Ripasso mentalmente il tutto e penso alle varie possibilità, tra le quali un primitivo del Salento che mi sembrava di avere. Mentre guardo nel mio armadio, ormai diventato leggenda perché certe volte sembra come i pantaloncini di Eta Beta da cui uscivano sempre cose sorprendenti, trovo un vino salentino si, ma Negroamaro e del 2013… biologico: “Mannaggia”, penso, “ormai se ne sarà andato!”

Lo stappo con poca convinzione. Tappo perfetto. Ne verso un po’ nel calice. Rosso granato, al naso frutti rossi molto maturi, marmellata di more, prugne secche, cioccolato. Ritrovo tutto in bocca insieme ad un tannino morbido e vellutato. Piacevolissimo. Abbinamento indovinato.
Ne ho messo un calice anche nel ragù di carne che stavo cucinando per la cena e, lasciata la bottiglia aperta, la sera ne ho bevuto un calice accompagnando la pasta col ragù appena fatto, e l’abbinamento è risultato altrettanto azzeccato.
