Riccardo Ricci Curbastro, Presidente Federdoc:”Il 76% del totale delle denominazioni italiane ha solo il 15% del mercato”9 min read

Intervistiamo il Presidente di Federdoc su vari temi: Covid, Recovery Plan, numero eccesivo di DOC in Italia e naturalmente sulla sua Franciacorta.

“Sei Presidente di Federdoc dal 1998. Putin diventò Primo Ministro per la prima volta nel 1999, posso chiamarti lo zar di Federdoc?”

“(ride) Putin non mi sta particolarmente simpatico ma chiamami pure come vuoi, nel senso che questa di Federdoc è un’avventura che dura da tanto tempo, nella quale mi sono molto divertito e per fortuna continuo a divertirmi.”

“Cosa ha fatto in pratica Federdoc in quest’anno di pandemia per il mondo del vino italiano?”

“Purtroppo non ci siamo certo divertiti e personalmente sono molto colpito e impressionato dal fatto che oramai il bollettino giornaliero dei morti stia diventando solo un numero: questa è una cosa tremenda. Veniamo a noi: Federdoc ha cercato di aiutare ad inventare cose che non si conoscevano. Siamo di fronte allo “sconosciuto” e anche noi dobbiamo inventare soluzioni di risposta allo sconosciuto.  In pratica abbiamo curato la parte “ristori” con lo stoccaggio e la distillazione, con la riduzione delle rese in vigna che forse è arrivata tardi ed era un po’ complicata ma poteva essere interessante. Adesso ci stiamo occupando delle piccole aziende a filiera corta, quelle uva-vino-bottiglia in vendita diretta o uva-vino-damigiana, che si stanno trovando senza clienti a causa del crollo dell’enoturismo e che non hanno altre reti di vendita oltre appunto alla vendita diretta e ai canali HoReCa, che sono praticamente chiusi. Queste aziende sono in grande difficoltà. Su un altro piano il discorso “fiere si, fiere no” è stato un grosso impegno sia questa primavera che e la scorsa. Poi c’è stato l’impegno per inventare metodi di relazioni internazionali che fossero sostitutivi degli eventi in presenza anche perché non credo che passato il Covid torneremo a fare solo eventi in presenza. Inoltre abbiamo cercato di sbloccare alcune procedure europee per le vendite online, perché purtroppo una cantina non può vendere direttamente in Europa senza rischiare di incorrere in una sanzione doganale, perché le vendite online verso paesi esteri sono soggette a dogana.”

“Diversi presidenti di consorzio erano critici riguardo alla non elasticità delle istituzioni europee e poi nazionali in tempo di pandemia. In particolare sul discorso che i fondi OCM non sfruttabili per la promozioni non potessero essere utilizzati negli altri settori, tipo quello per i macchinari e le attrezzature. Tu cosa ne pensi?”

“Questo sport del dare addosso all’Europa non lo apprezzo molto. Nel senso che la risposta dell’Unione Europea è stata di massima flessibilità, sia sulle esenzioni, sia sugli spostamenti per i fondi. Che poi questo sia complicato a livello nazionale è un altro discorso. Va ricordato che i piani OCM  sono  “a cavallo” nel senso che per avere fondi nel 2020 dovevi impegnarti sin dal 2019 e poi magari hai avuto una proroga fino al 2021: quindi tornare indietro, anche se è stato fatto non è semplicissimo.”

“Mi stai dicendo che l’Europa è stata elastica ma la burocrazia italiana no?”

“No, sotto questi punti di vista grosse difficoltà non ci sono state. Non ci sono sanzioni per i soldi non utilizzati, ci saranno dei fondi non impegnati che ritornano e il loro riutilizzo richiederà uno studio. Purtroppo i bilanci pubblici non funzionano come il nostro portafoglio, dove puoi spostare i soldi da una parte all’altra con una mano, la cosa richiede una programmazione che non è tanto rapida, specie in un momento di difficoltà, ma c’è stata.”                        

“Tu sei sicuramente più dentro di me e della stragrande maggioranza degli italiani sulla distribuzione e sull’utilizzo dei soldi del Recovery Plan in agricoltura e in particolare in viticoltura. Ci sai dire, più  meno dove andranno i soldi destinati?”

“Il Recovery Plan ha delle linee guida. Ci sono 7 miliardi di euro per l’agricoltura sostenibile, sappiamo che si parla di transizione e rivoluzione verde, ecologica, di creazione di occupazione. Per la rivoluzione verde noi del settore viticolo siamo da tempo impegnati. Federdoc, insieme ad altri partner come il Gambero Rosso e gli enti di certificazione, ha creato uno standard di sostenibilità, “Equalitas”, che sta ottenendo vari riconoscimenti anche a livello internazionale. Inoltre, dato che si basa su tre pilastri: ambientale, sociale ed economico, risponde anche all’equità sociale, ai problemi della salute e   così via. Crediamo che  Equalitas sia stata la spinta per arrivare al decreto sullo standard nazionale di sostenibilità, che sarebbe il primo non solo a livello nazionale, ma europeo e mondiale.

“Nel sistema di sostenibilità Equalitas si parla del peso delle bottiglie?”

“Si parla di carbon footprint e nel calcolo del carbon footprint è compreso anche il trasporto e il peso della bottiglia.”

“Sempre a proposito di certificazione, potresti essere d’accordo sul fatto che le associazioni che certificano la conduzione biologica dovrebbero tenere in considerazione anche il peso delle bottiglie?”

“Non sono d’accordo perché la certificazione ecologica risponde a delle regole nate dalla legge sul biologico, che prescrive determinate cose e su quelle gli enti terzi valutano. Nella legge sul biologico non si parla del peso della bottiglia, anche perché si  ferma alla campagna e non entra nel merito del prodotto imbottigliato. Mentre la sostenibilità implica che tu vada a valutare alcuni aspetti, come potrebbe essere quello del peso del vetro o molte altre cose come il consumo del trattore o la possibilità di produrre energia elettrica all’interno dell’azienda. La sostenibilità è un concetto molto più a 360°”

“Quante sono le Doc e le Docg in Italia?”

“527, comprese le IGT.”

“Quante sono quelle che vengono rivendicate?”

Allora, circa 120 denominazioni rappresentano quasi l’85% del mercato. Le altre 400 sono solo il 15%. Questo significa che abbiamo tante piccole denominazioni che non sono necessariamente non rivendicate, ma sono troppo piccole per essere visibili sul mercato. Abbiamo una grande biodiversità in Italia, nonché tanti campanili e questo è scontato, ma ha portato da una parte a non avere grandi masse di prodotti uguali e dall’altra ad averne tanti e buoni. A parte le 527 denominazioni abbiamo più di 200 varietà di cicerchia, più di 400 di fagioli nelle collezioni delle nostre università e mi fermo qui. Dal punto di vista marketing non è così male essere così “biodiversi”, ma è difficile trovare spazio. Il problema delle denominazioni più piccole si potrebbe risolvere trasformando alcune denominazioni attuali in sottozone di una denominazione più importante e conosciuta, così da dargli visibilità anche commerciale.”

“Nel caso in cui una denominazione non venga rivendicata non sarebbe il caso di farla “scadere”? Cioè se nessuno la vuole viene tolta e amen?”

“Questo è previsto dalla legge, ma attualmente sono pochissime le Doc non rivendicate: Dalle 527 ne toglieresti 6 o 7, non di più. Il problema è che queste 527 né io Presidente d Federdoc né tu giornalista specializzato siamo in grado di citarle tutte, perché sono troppe e qualcuna non sappiamo nemmeno che esista. C’ è da dire che le 120 che sono sul mercato hanno tutte un consorzio mentre le altre no. Non lo dico perché sono di parte ma perché credo che il consorzio sia il luogo dove attuare le politiche per far crescere una denominazione.”

“Un vecchio detto inglese recita che una Doc garantisce tutto fuori che la qualità di un vino: pensi che sia sempre attuale?”

“Una doc con l’attuale sistema di controlli in realtà è garantita circa l’origine, le quantità prodotte e nelle altre regole del disciplinare. Poi la forbice qualitativa che si crea è abbastanza normale, perché c’è sempre l’interpretazione del produttore. Comunque se scrivi delle regole serie oggi è difficile fare vino cattivo.”

“Se avessi la bacchetta magica e potessi riformare il mondo delle DOCG, DOC e IGT italiane, cosa faresti?”

“Premesso che sono molto orgoglioso di questo sistema, guardando al sistema italiano l’unico sogno che ho  è vedere i produttori di qualche denominazione più piccola avere un consorzio e così poter discutere di qualche soluzione che li porti all’interno di un gruppo più grande. Un po’ quello che dicevo prima: in altre parole cercare di sfoltire un po’ questo numero di 527 che è eccessivo. Anche dal punto di vista della sostenibilità potremmo fare molto per i nostri territori.”

“Problema dazi: secondo te i dazi nascono perché le aziende sono succubi della politica o perché la politica è succube delle aziende?”

“Sono il frutto delle grandi tensioni a livello mondiale, dei grandi scontri economici a livello planetario. Spesso si trova il modo di appianarli ma chi ci va di mezzo di solito è il prodotto di lusso, quello che fa notizia come il vino e non, per esempio il  bullone, anche se questo serve a tante aziende. Così si tassa il vino, il pomodoro, la pasta italiana etc.

“Franciacorta: Qual è stata la più grande idea della franciacorta e qual è stato l’errore più grande.”

“La più grande idea della Franciacorta è stata quella di aver, a livello di consorzio, pensato che la continua modifica del disciplinare dal 1967 a oggi fosse lo strumento per affinare la propria qualità e la propria immagine nel mondo. Anche il fatto di avere tra i produttori persone che provengono da settori diversi ci ha aiutato ad allargare le nostre vedute e la nostra mentalità.”

“E l’errore?”

“Non saprei, ad oggi errori clamorosi non ne vedo. Sicuramente ne abbiamo fatti, come quando a cavallo degli anni duemila non abbiamo bloccato gli impianti e poi ci siamo trovati con una crisi di sovrapproduzione da risolvere. Ma non vedo tante denominazioni che prima o poi non hanno fatto quest’errore e non ne hanno sofferto, anche perché la gestione degli impianti è una cosa complicatissima.”

“Tra i Franciacorta DOCG quale pensi sia la tipologia con maggior futuro e quella che ha un po’ fatto il suo tempo?”

“Non credo ci sia una tipologia che stia emergendo ma in generale i consumatori oggi stanno andando verso vini più secchi, che sia la Coca Cola Zero o il Franciacorta Extra Brut o Dosaggio zero. In generale il Franciacorta Brut è sempre stato un po’ meno dosato rispetto ai colleghi francesi, ma oggi c’ è questa tendenza alla riduzione dello zucchero in generale. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda credo tu voglia arrivare a parlare dei Saten e resto convinto sia una tipologia di Franciacorta con grandissime prospettive, a condizione che tutti assieme si decida che debba essere molto diverso dal Brut, nel senso che deve essere riconoscibile per la sua struttura, per la sua rotondità.”

“Possiamo dire che nella tua famiglia i conti li sapete fare: Gregorio Ricci Curbastro, grande matematico, con i suoi calcoli dette un contributo fondamentale agli studi di Einstein sulla teoria della relatività . A cosa pensi di aver dato un fondamentale contributo?”

“E’ difficile, queste valutazioni le fanno i posteri e visto che ho intenzione di vivere ancora molto spero ne riparlerete tra molto tempo. Ho una vecchia fissazione, quella dei talenti. Ognuno di noi, si dice nel Vangelo, è stato dotato di una serie di talenti: mi piacerebbe si dicesse che i miei li ho usati bene. Nella mia vita non ho solo fatto l’agricoltore, facendo crescere quest’azienda, e  credo di aver utilizzato la mia predisposizione al dialogo e all’ ascolto, la capacità di mettere assieme la gente e quindi tutto il lavoro che ho fatto nei consorzi, in Agriturist e soprattutto in Federdoc.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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