RAW!5 min read

Londra, 20 e 21 maggio.  Hanno sentito il bisogno di scriverlo anche sulla copertina del catalogo, direttamente dal dizionario di Oxford: “Raw, adj  in a natural state; not treated by manufacturing or other processes”.  Da scartare quindi la traduzione con “crudi”, mentre “grezzi” centra bene il concetto ma rischia di suonare leggermente negativo; alla fine “naturali” è l’aggettivo migliore.

Si tratta ovviamente di vini, proposti, assaggiati e in parte perfino venduti al dettaglio in una manifestazione di due giorni nel colorito quartiere del mercato di Spitalfields, dai profumi etnici anche troppo invadenti. L’ambientazione la dice lunga su gusti e mode: la Old Truman Brewery, dove è stata prodotta birra per più di tre secoli, ospita oggi una fiera di vini come questa, a conferma della tendenza indicata dalle statistiche sui diversi modi di assumere alcolici in Gran Bretagna.

Cambiano insomma anche qui consumi e atteggiamenti: è domenica, la fiera è aperta pure al pubblico, ma tra i visitatori la figura del briacone nordico sembra scomparsa: tutti sputano nei grandi contenitori piazzati (e puntualmente svuotati) nei corridoi tra le file dei produttori. Lo spazio non manca, cosi che non riesce a disturbare nemmeno il profumo dei formaggi (a latte crudo…) dal banco sul fondo.

L’organizzazione è informale ma efficiente: bicchieri a volontà, guardaroba spensieratamente incustodito, acqua e gallette sui banchi sempre disponibili, mentre una manciata di Masters of Wine e personaggi come Nicolas Joly e Claude Bourguignon tengono conferenze in una sala laterale giustamente battezzata speaker’s corner, che sembra un garage temporaneamente vuoto.

Volendo, al piano di sopra vengono intanto proiettati film documentari in tema, a getto continuo. La chicca è un dibattito fuori orario guidato da Jonathan Nossiter, il regista di Mondovino, su “Pier Paolo Pasolini e la tradizione radicale”, dal sottotitolo “Come i vignaioli naturali ne hanno raccolto il lascito”. Durante il dibattito si degusta la Malvasia frizzante di Pradarolo, che – viene sottolineato – ha passato sulle fecce più del doppio delle famose 120 giornate pasoliniane…

Gran  finale la seconda sera con la Supra, cena-festa georgiana dove immagino che si sia voluto tener fede alla fama caucasica di bevute grandiose tanto per ricordarsi che il vino si beve pure oltre ad assaggiarlo e discuterlo.

 

La dimensione internazionale che una manifestazione del genere prende inevitabilmente sul suolo  inglese, avaro di produzioni enologiche ma storicamente ricco di importatori attenti, rimane forse il lato più intrigante. Questi georgiani, per esempio, sono presenti con ben nove aziende e con i loro vini fermentati e conservati in “anfore” interrate. Fra essi l’azienda Lagvinari, che al momento produce 2000 bottiglie ma l’interessante è che è nata da poco con la fattiva collaborazione di Isabelle Legeron, la prima francese a qualificarsi Master of Wine, conduttrice di un interessante laboratorio all’ultimo Vinitaly e di fatto la vera anima di questa Raw.

Ma al loro fianco c’è (e posso subito fare un confronto)  un Pinot Gris alsaziano che ha adottato anche lui la terracotta Kvevri (che altri trascrivono  Qvevri) e che dichiara zero solfiti. Grossa in ogni caso è la presenza francese, in particolare dall’area mediterranea, di successo più recente.

Personalmente mi incuriosisco per i rappresentanti “naturali” di zone blasonate, come Borgogna o Champagne. Notevoli gli assaggi di versioni “grezze”, quindi dichiaratamente senza chaptalisasion,  di classici come i crus di Beaujolais quali Morgon o Fleurie, o di prestigiosi Pommard e Meursault lasciati alla mercé del clima dell’annata. Indimenticabile l’impatto con un sauvignon di Saint-Bris, piccola e fredda AOC che già di solito offre vini a dir poco spigolosi, figuratevi poi se il produttore raw, Chateau de Beru, non aggiunge zuccheri né deacidifica!

Fra gli oltre duecento produttori presenti riesco ad assaggiare altre rarità come la savoiarda Mondeuse del Domaine Prieuré Saint Christophe in mini-verticale o un paio di svizzeri vallesi (di cui uno “anforato”).
E una delle sequenze più interessanti  segue le declinazioni della Ribolla lungo la costa orientale dell’ Adriatico, mentre  certo meritano di esser tenuti d’occhio, per quanto assaggio qua, i Vinho verde. Tutti prodotti difficili da rintracciare da noi, a cui una conduzione “grezza” ha dato personalità decisa.

Folta è naturalmente la presenza italiana , che trascuro solo per l’opportunità di contattare tanti esteri. Anzi, Angiolino Maule e quelli di Vinnatur sono fra i promotori di Raw insieme ai francesi della Renaissance des Appellations e dell’ Association des Vins Naturels.

E last but not least, come dicono da queste parti, vi segnalo i criteri a cui viene richiesto di aderire agli artigani, come vengono chiamati questi produttori, per partecipare alla manifestazione, che intanto dà l’idea di voler diventare anche una rete. Non è stata richiesta l’adesione a un protocollo religioso, tutto si basa su una sorta di autocertificazione così che ci sono diversi biologici e biodinamici senza documentazione. I requisiti sono comunque, oltre alla conduzione agricola naturale di tutta l’azienda, la raccolta manuale delle uve, l’uso dei soli lieviti autoctoni e la rinuncia a tecniche forzose come osmosi inversa, concentrazione o dealcolizzazione.

Particolare spazio viene dedicato ai solfiti, vera nuova frontiera di attenzione. Ogni singolo vino riporta sul catalogo i solfiti totali (mediamente, a colpo d’occhio, ben al di sotto dei 50 mg/lt all’atto delle analisi) con molte etichette “a zero solfiti aggiunti”. Figurano anche altre specificazioni, come “filtrato” o “non adatto a vegetariani/vegani”, e “chiarificato con bentonite” o “con proteine di piselli/ /caseina/chiare d’uovo delle nostre galline ruspanti” che oltre a essere informazioni precise, perfino divertenti e comunque non retoriche, la dicono lunga su certi trend in atto.

A proposito, a RAW si assaggiano anche del the e un paio di tisane, e si fa notare persino un banco di Sakè – artigianali, va da se-. Vini difettati in senso classico? Ne ho trovato uno (ridotto) su una settantina di assaggi.

 

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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