Quattro libri per capire quanto è successo, nell’enogastronomia, in meno di 50 anni3 min read

A Oxford sarebbe stata definita “una botta di culo” mentre a Poggibonsi, cittadina certo molto meno sanguigna e con vena poetica che permea le nostre antiche mura, potremmo sentenziare “Un chiaro segnale che il fato ti è amico”.

Aldilà delle definizioni trovare in un negozio di robivecchi i quattro volumi, perfettamente conservati, della Cucina Rustica Regionale di Luigi Carnacina e Luigi Veronelli, ed. Rizzoli  (1978)  è stato un modo fortuito ma meraviglioso per accedere a un mondo che pare lontano secoli ma da cui ci separano poche decine d’anni.

Ma in questi anni è cambiato tutto! Lo capisci leggendo le “giunoniche” ricette che ho provato con gioia a ripetere, ma soprattutto scorrendo le pagine dedicate al vino ti accorgi che questa rivoluzione silenziosa ha distrutto un mondo, che poteva anche non essere perfetto (ma parliamone!) ma di cui non è rimasta praticamente traccia.

Con un linguaggio gentilmente lineare ma preciso e chiaro, senza usare mai toni apologetici o denigratori,  Luigi Veronelli ci parla di vini di cui non solo io non ho mai sentito parlare, ma credo si siano persi anche i più lontani ricordi.

Sono nomi meravigliosi, evocativi, qualcuno surreale e non si riferiscono a vini nati da qualche mese, ma certificano qualcosa che allora era ben presente, radicato, tradizionale, ma che in poco più di quarant’anni è scomparso nel nulla.

Consultare i quattro volumi dell’ opera è come entrare in una macchina del tempo e così ho deciso di far fare anche a voi un breve viaggio, prendendo a prestito, per esempio, la parte finale dello spazio dedicato ai vini liguri.

Dopo ave tracciato il profilo di vini “più conosciuti” come il Barbarossa del Savonese, il Bianco Cinquetererre, il Pigato di Albenga, il Polcevera, il Portofino, il Rossese di Dolceacqua e di Campochiesa, il Vermentino di Imperia e del Savonese (e già questo sarebbe abbastanza), Luigi Veronelli scrive: ( la punteggiatura è veronelliana . n.d.r.)

“Contro una radicata e del tutto incomprensibile convinzione, la Liguria ha una gran quantità di eletti vini. Oltre ai già citati (tra cui, non abbiamo inserito prima il Coronata, il Vérice, il Limassina del Savonese, la Granaccia di Quiliano, il Marinasco e il Moscatello di Taggia, n.d.r.) ricordo: 

L’Acquasanta bianco, leggero e fresco di straordinaria simpatia, prodotto nel comune di Mele; l’Altare bianco e rosso, leggeri e sani nel comune di Uscio, L’Albarola di Beverino, bianco ruvido secco e capace; il Bianco di Bolano, lieve e passante, il Bianco di Sesta Godano, delicato al naso e sicuro in bocca; i Bruzzolara bianco e rosso, lievi e passanti in comune di Borzonasca; il Buzzetto bianco gradevolmente asprigno, di Quiliano: i Linero bianco e rosso, equilibrati e eleganti, di Castelnuovo Magra; il Missanto, vino bianco di colore paglierino, delicato profumo e sapore secco appena interrotto da piacevolissima vena abboccata, di Castiglione Chiavarese: i Poggialino rosso, rosato e bianco, di Santo Stefano Magra; il Rollo di Pecorile, bianco color oro, sapido e vinoso, in comune di Celle Ligure; il Torsero di Peagna, vino rosato, secco e fragrante, in comune di Ceriale.”

Lo scritto continua citando vini da uve conosciute, coltivate però solo in alcuni comuni ma credo che il concetto sia chiaro.

Che fine hanno fatto tutti questi vini? Nemmeno uno tsunami enologico li avrebbe potuti cancellare in pochi anni. Ma soprattutto che fine ha fatto una maniera di parlare di vino così piana ma efficace?

Come sempre cercare di imparare dal passato, da chi era già allora più avanti di noi, sarebbe cosa buona e giusta.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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