Quando andavo al Vinitaly perché mi divertivo5 min read

Era ancora il tempo che andavo al Vinitaly perché mi divertivo. Anche allora (ma oggi è assai peggio) odiavo bere il vino in piedi. E poi fermarsi in uno stand che mi attraeva e sentirmi come uno che chiede l’elemosina di un bicchiere da scroccare non mi riempiva il cuore di orgoglio né di felicità. Il lato positivo c’era, e cioè mi limitavo automaticamente nel numero degli assaggi, con evidenti risvolti benefici sul tasso alcolico a fine giornata.

Io a sciacquettare e poi risputare il vino non sono mai stato un asso. O poco o tanto un pochino bisogna che lo butti giù perchè non ho la capacità del grande assaggiatore che capisce tutto, anzi di più, solo facendo quella curiosa pratica. Roteare il vino nel bicchiere, quello si, ho imparato presto, mi è piaciuto, forse anche esagerando: una volta mi sorpresi a roteare un bicchiere con l’acqua minerale.

Allora non è che avessi una grande preparazione o conoscenza di vini – ne ho poca anche ora – e sceglievo gli assaggi da fare in base a parametri assolutamente casuali e istintivi. Poteva essere un nome evocativo, poteva essere uno stand particolarmente attraente, o magari uno di quelli che (allora) ti invitavano ad assaggiare solo che tu avessi accennato a fermarti anche solo un attimo davanti allo stand.

Di conseguenza mi accorsi presto che questo sistema assolutamente disordinato portava a delle spiacevoli conseguenze. La più evidente quella di ritrovarsi a bere dei vini potenti alle 10 di mattina poi assaggiare magari due ore dopo vini esili e delicati che non riuscivi nemmeno a sentire.

Seguendo questi improbabili sistemi un giorno – un bellissimo giorno – mi fermai davanti ad uno stand dove si reclamizzava un vino dal nome curioso e mai sentito prima: il Durello. Entrai e senza difficoltà mi vennero offerte spiegazioni in un dialetto veneto appena italianizzat, con degustazioni dell’intera gamma. Prima il vino fermo e poi un millesimato di bollicine. Furono queste che mi fecero stolsare (al secolo, per i non maremmani, sobbalzare. n.d.r.). Un profumo pronunciato di limone e piccoli fiori bianchi con sentori di pane tostato facevano strada ad un sonoro e secco schiaffo in bocca. Una nota tanto acida quanto piacevole. Non avevo mai sentito niente di simile. Me ne innamorai subito, forse perché mi pareva una mia piccola scoperta da raccontare agli amici.

L’annata era il 1982 e il metodo lo Champenoise. Allora si poteva dire così. Credo che quella sia stata l’ultima annata fatta con uva Durella al 100%, dopo arriveranno un po’ di Chardonnay e un po’ di Pinot Nero che da quelle parti funziona mica male.
Trovai il sistema di farmi mandare un poco di queste bottiglie assieme ad altre versioni del Durello, e cioè in versione ferma, ma anche un piacevolissimo passito. Non era possibile trovare in Toscana i vini di quel produttore perché lui li vendeva solo a quelli che “li aveva visti prima in faccia………….”.

Con Lino Marcato dovevamo poi divenire amici. Per me era una fonte di notizie non solo sul suo Durello e sugli altri vini prodotti, ma anche nel mondo produttivo e commerciale del vino. Suo babbo e poi loro tre fratelli hanno una bella azienda sui Monti Lessini e fanno vino da una vita.

Allora costruivo ancora macchine agricole e per i casi della vita iniziai la collaborazione con una ditta veneta, la CABE, il cui titolare – tale Cestaro – non solo conosceva il Durello ma ne era appassionato estimatore.

Ovviamente alla prima occasione il nostro trovò giusto condurre me ed il mio amico Carlo – non il Macchi – in luogo particolarmente vocato alla nostra bisogna. Il locale in Mezzane di Sotto si chiamava Al Bacco d’Oro, che non ha bisogno di commenti.

Di quella sera ricordo che si mangiò bene, ma non ricordo cosa, si bevve meglio e mi ricordo tutto. Il Durello in tutte le versioni possibili, dallo sfuso in belle caraffe cilindriche alte e bellissime che dovevano essere spesso riempite, alla disamina delle bottiglie di diversi produttori. Per finire con le bollicine. A dire la verità la vera finale  la facemmo nella meravigliosa cantina di degustazione che il locale possiede al piano sottoterra: un vero e proprio covo di adepti alla bevanda di Bacco. Fummo presentati alla numerosa e qualificata assise,  li convenuta con l’unico scopo di bere e di parlare,come amanti del Durello. E giù applausi e naturalmente un bel brindisi finale di tutti. A base di Durello ovviamente. Non prima che un anziano ci raccontasse che fino agli anni 50 il Durello veniva fatto come vino bianco ad alta acidità, e che questa caratteristica lo faceva diventare il vino da mettere nelle fiasche foderate di vimini da portate dietro nella mietitura per avere il ristoro di una boccata fresca e dissetante ogni tanto.

Durante il pranzo Cestaro ebbe modo di raccontarci che i gioventù era stato un sassofonista di una certa fama, avendo suonato con Mario Pezzotta, il virtuoso del trombone, ma anche con Gorni Kramer e molti altri. Ci raccontò dei primi passi di una determinatissima e tostissima Raffaella Carrà. Insomma trovammo un altro terreno di interesse comune.

Al momento di salutarci volle portarci a casa sua per una breve visita nella sua cantina! Non bevemmo Durello ma assaggiammo un vino rosso molto forte, molto saporito, leggermente abboccato, ma di una prorompente potenza e piacevolezza. Fu così che assaggiai per la prima volta un Amarone “fatto in casa”. Ma non da lui.

Partimmo da lui in piena notte per Peschiera del Garda che era distante un bel po’. Viaggiamo a finestrini completamente abbassati perché ancora non c’era l’aria condizionata. Per fortuna non c’era ancora nemmeno l’alcol test.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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0 responses to “Quando andavo al Vinitaly perché mi divertivo5 min read

  1. caro Roberto anche con questo articolo, prendi per mano il lettore e piano con delicatezza lo porti a percorrere uno dei sentieri della tua memoria facendo gustare sapori e odori a chi, come me, conosce poco del prodotto di cui parli, ( e ha dire la verità  mi hai fatto venire…la vinacquolina in bocca. Grazie per la passeggiata

  2. Bello l’ inizio: “E poi fermarsi in uno stand che mi attraeva e sentirmi come uno che chiede l’elemosina di un bicchiere da scroccare non mi riempiva il cuore di orgoglio né di felicità .” come al solito riesci a ricostruire nella mente di chi ti legge un quadretto di vita reale a portata di mano …

  3. sono nuovamente io, stamattina ho detto che del vino non so nulla ed è vero. So solo che vuol dire che è Buono quando non mi da acidità  di stomaco e non mi impedisce di continuare a parlare con le altre persone a tavola. Però ho dei ricordi del vino:quando a Montepescali nevicava, i grandi ci mettevano la neve nel bicchiere con un po’ di zucchero e un po’ di vino:madonnina com’era bono!!! e poi un’altra cosa, il bane inzuppato nel vino. Quel pane nostro che non nasconde i sapori del companatico, ma al contrario li esalta, cosଠcome esalta il gusto del vino buono. Ancora oggi se ho del buon vino non posso fare a meno di bagnarci un po’ di pane e succhio e mangio con vero gusto

  4. Anche questo argomento è molto interessante. Sono d’accordo con te sul fatto che, il vino si degusta meglio a tavola, seduti comodamente e magari accompagnato ad un piatto adeguato. Per quanto riquarda il Vinitaly, ho dei ricordi gradevoli dei primi anni in cui partecipavo come addetto ai lavori, quando a fine giornata accompagnavamo alcuni clienti nei migliori ristoranti e dentro dei bellissimi Casali a fare le degustazioni di vini in abbinamento ai piatti della
    zona, ospiti delle aziende da me rappresentate.
    Con il tempo anche io cominciavo a perdere l’entusiasmo, accorgendomi che molti visitatori assaggiando il centesimo bicchiere non riuscivano a sentire più la diversità  da un grande vino ad un vino altrettanto importante magari uno scalino sotto, e quando sentivi i loro giudizi sulla graduatoria per non sbagliarsi si affidavano ai vini delle aziende di grande Immagine e notorietà , giustamente. Ed ecco invece, la differenza e la soddisfazione di soffermarsi in uno stand un pò in disparte,e di scoprire un vino ed in particolare uno spumante che non è molto conosciuto ma da “stolzare” ,come dici tu. La riprova l’abbiamo avuta nelle nostre degustazioni anonime tra amici.

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