Piwi: chi ha paura del futuro?8 min read


Negli ultimi anni si è diffuso tra i produttori un sempre maggiore interesse verso i vitigni resistenti, coltivazioni partite in sordina per cercare di risolvere alcune sfide della viticoltura moderna. Negli ultimi tempi vi è stata una vera esplosione in questo settore ed è bene sottolineare che non sono OGM, bensì incroci ottenuti per impollinazione, selezione dei semi e delle piante tra varietà di vite europee e varietà di vite americane o asiatiche. 

Souvignier-Gris

Nella necessità di fronteggiare malattie fungine (oidio, peronospora e black rot), fillossera e problemi dati da cambiamenti climatici, ambientali e culturali, sono stati investiti notevoli sforzi economici per sperimentare il vitigno “PIWI” (PilzWiderstandsfàhig che significa viti resistenti/tolleranti ai funghi), anche grazie alla crescente sensibilità ambientale. Questi incroci creano piante capaci di opporsi in maniera spontanea a tali attacchi, permettendo una coltivazione che riduca i passaggi di macchinari pesanti in vigna e l’utilizzo di agrofarmaci. Quantitativamente si stima che per queste coltivazioni venga utilizzato solo il 30% dei trattamenti solitamente utilizzati per le coltivazioni convenzionali, rendendoli per questo motivo più compatibili alla coltivazione, specie se biologica. Purtroppo non si è ancora riusciti a contrastare la flavescenza dorata, il mal dell’esca e la xylella, tra i più comuni problemi degli ultimi anni.
Originariamente frutto di incroci di vitigni internazionali, negli ultimi tempi sono state valorizzate anche le varietà autoctone, grazie ad incroci tra vitigni italiani. A marzo 2021 il Registro Nazionale delle Varietà di Vino comprende 36 varianti di PIWI da incrocio interspecifico (18 bianche, 18 rosse) e la superficie vitata è di poco inferiore al migliaio di ettari.

Sauvignon-Krethos.

Grandi sviluppi di questa coltivazione si prospettano nell’immediato futuro: il 6 dicembre 2021 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale che l’Europa  ha dato il via all’utilizzo dei Piwi nella Denominazione d’Origine (purché inseriti nel Registro Nazionale delle varietà di vitis vinifera).  Al momento in Italia  è stata approvata, da alcuni disciplinari di produzione, la possibilità di inserire tali uve nei vini da tavola e nelle Igt (ad esempio Mittelberg, Vigneti delle Dolomiti, Veneto, Colli Trevigiani, Alpi Retiche, Sebino, Venezia Giulia, Tre Venezie) attendendo un’apertura sul suo inserimento anche nella Doc.
Sta di fatto che l’Europa è già molto avanti in questo progetto, basti pensare che in Francia è già stato autorizzato l’utilizzo di 4 varietà “PIWI” per produrre vini a denominazione Bordeaux e Champagne (Artaban N, Vidoc N, Floreeal B, e Voltis B catalogati come “vitis vinifera”). In Germania sono stati anche inseriti nella elaborazione dei sempre meno prodotti Icewine , che nell’annata del 2022 ha visto l’utilizzo cospicuo di souvignier gris, cabernet blanc e, per la prima volta, johanniter.
In Italia le cose si stanno muovendo lentamente. Sono poche le regioni che stanno sperimentando questo nuovo possibile sviluppo vitivinicolo: Veneto, Trentino,  Alto Adige, Friuli, Lombardia, un paio di aziende in Piemonte, Emilia Romagna, nonché Abruzzo e Marche, attuano una piccola produzione di PIWI, ma già ben introdotta nel mercato, tanto che i prodotti di questi vitigni si possono facilmente reperire anche nella grande distribuzione.


Per attestarne la qualità nel 2021 si è svolta la prima Rassegna Nazionale organizzata dalla Fondazione E. Mach per decretare il “miglior vino da vitigni resistenti italiano”, durante la quale sono presentate varie declinazioni: metodo Martinotti, metodo classico, frizzanti, orange, bianchi e rossi. Il vincitore assoluto è stata l’azienda altoatesina Plonerhof con il suo Solaris 2020. Nel 2022, nella seconda Rassegna, il vincitore assoluto è stata l’azienda friulana Terre di Ger con il suo Feltro Bianco 2021 da blend di Bronner e Solaris.
Tanti sforzi necessitano l’esigenza di far cambiare l’opinione pubblica rispetto a tali opportunità, date dalle innovazioni genetiche, che trova ancora molte resistenze e perplessità.  Nel nostro Paese abbiamo alle spalle ancora troppe poche vendemmie rispetto a paesi europei come Germania, Austria, Svizzera e Francia, che hanno un vantaggio notevole in termini di esperienza. Questa inesperienza non permette di analizzare con certezza il livello qualitativo del prodotto finito rispetto a quelli ottenuti da vitigni tradizionali, autoctoni e internazionali.
Obiettivo primario sarebbe quello di investire risorse ed energie al fine di ottenere vini di qualità elevata, che possano diventare sul lungo termine un’espressione chiara e definita dei territori di provenienza. Infatti la maggiore resistenza di chi si oppone a tale progetto, è data dalla paura dello stravolgimento del valore aggiunto, dato nelle denominazioni della territorialità dei vitigni storici. Inoltre crea refrattarietà l’ennesima frammentazione dell’offerta enologica data dai nuovi varietali (magari di medio valore qualitativo), con il rischio di creare ulteriori confusioni nella conoscenza dell’offerta del prodotto “vino” a livello internazionale, ma anche interno.
In enologia si stanno ancora facendo grandi sforzi per far valorizzare e non disperdere le tipicità italiane legate a decine o centinaia d’anni di adattamento dei vitigni autoctoni al loro territorio. Purtroppo l’introduzione di queste innumerevoli nuove varietà in modo così massiccio potrebbe far snaturare realtà identitarie, che forse non meritano un simile attacco.


Da una parte la facile adattabilità dei vitigni a terreni non vocati data dalla maggiore resistenza potrebbe permettere la loro coltivazione in siti urbanizzati sensibili, che prevederebbero una proficua convivenza data dal minor utilizzo di trattamenti. Dall’altra potrebbe permettere di espandere i confini delle denominazioni di maggior prestigio, saturando un mercato che in alcuni casi ha già dei fragili equilibri da mantenere.
In tutti i casi bisogna mettere in conto che gli incroci potrebbero perdere nel tempo la loro resistenza o non reagire prontamente agli attacchi fungini, infatti si è potuto constatare su coltivazioni di lunga data, che la coltivazione intensiva, monovarietale e l’inadeguata difesa fitosanitaria preventiva, hanno fatto sì che in una cinquantina d’anni si siano sviluppati ceppi di peronospora resistenti. Inoltre la variabile climatica ha portato ad una maggior presenza di problematiche come il black rot, che prima venivano tenute a bada dai trattamenti che venivano effettuati contro peronospora e oidio, e  quindi ad quadro in continua evoluzione che non garantisce con certezza che perduri nel tempo l’attuale resistenza in campo. C’è da capire anche il reale adattamento in climi caldi e su questo si innesta l’innalzamento delle temperature che potrebbe creare ulteriori problemi.
Per contro il mondo del vino è in continua evoluzione e l’aiuto genetico incombe e per questo motivo è indispensabile una corretta comunicazione per meglio valorizzare tali vitigni, che hanno caratteristiche sensoriali diverse rispetto a quelli da cui sono stati ricavati gli incroci. Per fare questo sarebbe auspicabile creare un’associazione e un marchio nazionale per permettere una rete di esperienze e favorirne la zonazione, per identificare gli areali di produzione per la loro migliore espressione.
Dopo aver partecipato a una degustazione che prevedeva praticamente tutte le variabili di vinificazione di vini provenienti da varie regioni italiane posso affermare che in molti vini le note alcoliche spesso rimangono in netta evidenza. Le migliori espressioni provengono da vinificazioni macerate e bianche, dove prevalgono le note floreali e fruttate e che spesso nella persistenza (quasi sempre media) si accompagnano ad un finale agrumato, quasi sempre con note amaricanti . Grande differenza in termini di qualità si notano in base agli anni di esperienza del produttore nella vinificazione di tali uve, sintomo che il cammino è appena iniziato e che non può che essere in crescendo. Le spumantizzazioni spesso presentano ancora elevate spigolosità in termini di acidità, mentre nell’unico vino rosso che ho potuto degustare ho trovato una piacevolezza croccante ed immediata di frutta rossa, ma difficile poterne stabilire la possibilità di evoluzione nel tempo.
Eccovi quelli che sono stati per me I migliori assaggi nella Rassegna della Fondazione Edmund Mach 2021-2022.
Mitterberg IGT Goldraut 2021, Zollweghof. Da Souvignier Gris.
Un vino bianco maturato in anfore e in legno d’acacia. Vendemmia tardiva. Sapori molto fini di frutta matura, mineralità interessante, un vino molto complesso e armonico. Colore paglierino di buona intensità. Al naso toni di frutta gialla con note agrumate, lime, leggermente floreale e erbaceo, lieve mineralità di pietra focaia e note tostate, delicatamente vanigliate. Al palato ha corpo e potenza e una evidente presenza alcolica accompagnata da una sensazione di pseudo dolcezza, ben bilanciata dall’acidità e dalla sapidità. La beva è molto piacevole.

Feltro Bianco 2021 Terre Di Ger.  Blend di Bronner e Solaris.
Si presenta di colore giallo paglierino. Al naso precisi ed intensi profumi fruttati di mela, pera e ananas  si combinano a piacevoli fiori bianchi e note speziate. In bocca fresco, ben teso, di media struttura con spiccata sapidità Nel retrogusto piacevoli lievi note di idrocarburo e vegetali di fieno permangono in piacevole persistenza.

 

 

Letizia Simeoni

Beata la consapevole ignoranza enologica. Finchè c’è ti dà la possibilità di approcciarsi alla conoscenza! Prosit.


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