Più Valentini o più Trebbiano?5 min read

Il Trebbiano d’Abruzzo non gode – giustamente, aggiungiamo noi –  della fama di altri bianchi doc italiani quali l’Alto Adige o il Collio, e si propone normalmente in una semplice fisionomia fresca e floreale. L’interpretazione offerta da Valentini, azienda culto di Loreto Aprutino, si discosta tuttavia notevolmente da questa descrizione, proponendo un vino di struttura, longevità e soprattutto carattere con pochi paragoni in tutta la Penisola. Le ragioni di cotanta particolarità, stando almeno ai dati forniti dall’Azienda, risiedono innanzitutto in una differente base ampelografica, che nel Trebbiano di Valentini è costituita dal vitigno Trebbiano d’Abruzzo (ovvero il  Bombino Bianco), vitigno quest’ultimo che nulla ha a che vedere col Trebbiano normalmente piantato in Abruzzo, che è il Trebbiano Toscano.
Particolarità che continua nella densità di allevamento delle viti, che oscilla attorno ai 1600 ceppi per ettaro (e dunque una densità bassissima, in palese controtendenza rispetto ai dettami della viticoltura di qualità), e nella forma di allevamento della viti, la pergola abruzzese, che, a differenza dalla pergola pugliese, è una forma di allevamento a corto raggio. “L’uva matura per illuminazione riflessa, e non per illuminazione diretta, che cuoce i grappoli, e la pergola abruzzese è una delle forme di allevamento più adatte in climi caldi come quello dell’Italia Centrale per questo scopo” ha spiegato Francesco Paolo Valentini, figlio del mitico Edoardo. Nessuna indicazione aziendale sulle pratiche enologiche, tranne l’invecchiamento in botti di grandi dimensioni.
Ma arriviamo al vino che, pur nella diversità delle annate, propone una fisionomia ben precisa, fatta di un colore tra il paglierino ed il verdolino deciso e profondo (tipo Chablis, per intenderci), che non perde vivacità nemmeno dopo un decennio di invecchiamento, ed uno spettro aromatico che se certamente non può essere definito fragrante né perfettamente focalizzato (almeno nei primi minuti dopo la stappatura), si discosta tuttavia – ed in positivo – da tipologie di vini “filosoficamente” vicini come i “biologici” (che sono molto più indefiniti), e biodinamici (quasi sempre molto più sulfurei – anche nelle interpretazioni più convincenti). Chi cerca la precisione, la chiarezza di frutto, la fragranza, se ne resti magari in Alto Adige, ma chi vuole un bianco di struttura e carattere classici troverà nel bianco dei Valentini uno degli apici di tutta Italia. E i Savennier di Nicolas Joly, che ci sono venuti in mente assaggiando il bianco abruzzese, non sono poi tanto lontani (quanto meno nei risultati, visto che a livello di immagine non c’è paragone).

Unico dubbio che resta in noi fondato è quello della reale capacità di questo grande vino di rappresentare la denominazione di appartenenza, all’interno della quale ci sembra chiramente si muove – almeno per il momento – come una eccezione.  

Ecco comunque i risultati della piccola verticale tenuta il 7 aprile 2006 presso il padiglione abruzzese del Vinitaly, commentata da Francesco Paolo Valentini e Daniele Cernilli, condirettore della guida Vini d’Italia di Gambero Rosso e Slow Food.
2001: giallo paglierino verdognolo deciso ma non molto profondo, molto bello. Una punta di riduzione, ma molto misurata per questo vino in età giovanile, che non impedisce ai profumi di distendersi chiaramente, con nocciole, fieno e spezie. Forse non pienissimo al naso. Bocca ricca e molto bella, di nocciole e fieno, in totale corrispondenza, molto ben articolata, si sviluppa molto bene fino al finale, profondo e equilibrato, leggermente sulfureo. Le capacità di invecchiamento sembrano eccellenti (parliamo di più di 15 anni).
1998: colore praticamente identico al precedente, forse appena più vivo. Naso invece subito meno complesso del precedente, fiori secchi e un tocco di spezie. Bocca anche meno ricca, vibrante, un tantino troppo lineare, finisce su una piacevole tonalità di fiori secchi.
1995: davvero bello il colore, un ricco paglierino verdognolo, di eccellente vitalità per un bianco di 11 anni. Appena indefinito ai profumi inizialmente, il naso si apre poi a note molto affascinanti di crosta di pane, lievito di birra, non molto profonde. In bocca entra di gran volume, ma tende ad asciugarsi nella progressione gustativa. In complesso un vino di grande finezza e di tutto rispetto, ma che a nostro avviso non giustifica la fama e la considerazione di cui gode anche tra degustatori del calibro di Daniele Cernilli.
1992: una annata eccellente a Loreto Aprutino (il Montepulciano è straordinario), che per quanto ci riguarda ha mantenuto le promesse. Giallo verdognolo pieno e “realizzato”. Naso splendido, con foglie secche, lieviti, biscotto al malto, spezie, su un fondo di fiori gialli pieno e fresco. Bocca addirittura eccellente, entra forse (ma ripetiamo forse) appena dimessa, per poi esplodere in un allungo da vero campione, senza mai perdere potenza (davvero da vendere). Finale da rombo di tuono. Un vino all’apice.
1987: appena versato la notevole presenza di carbonica – che non manca mai nei bianchi di Valentini – dimostra tutta la vitalità di questo vino di quasi 20 anni (come anche il colore mostra). Naso “rustico elegante”, con tonalità floreali e animali sottili che non infastidiscono affatto. Molto bella la bocca, meno potente del 1992, ma di parì profondità. Lascia in bocca una evidente e piacevole nota di freschezza! Il decadimento sembra lontano. 
Consigli di consumo: il vino va servito in bicchieri di grandi dimensioni, col bordo chiuso, a circa 14° di temperatura. Gli appassionati che non tollerano sbavature olfattive farebbero meglio a decantarlo con lieve anticipo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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