Pelaverga di Verduno: più che di nicchia “Vino di scrigno”3 min read

Tutto è nato da un incontrovertibile dato di fatto: non sono Uno e Trino. Solo per questo risibile motivo, avendo già preso altri impegni in precedenza, non potei partecipare a settembre alla Festa del Pelaverga. Mi dispiacque però non potermi fare un’idea precisa di questo vino veramente di nicchia, prodotto da una decina di produttori in meno di 20 ettari di terra, in una zona dove il vino più famoso ha l’ingombrante nome di (scusate se è poco..) Barolo.

Per questo chiesi a Vittore Alessandria, in rappresentanza dei produttori di Pelaverga, di raggruppare tutti i vini e farmeli avere. Vittore (che ringrazio moltissimo) ci riuscì e quindi non molto tempo fa ci siamo riuniti per assaggiare “ben” 11 Pelaverga di Verduno.

Prima di parlare degli assaggi  cominciamo con i distinguo: Il Pelaverga di Verduno non deve essere confuso con altri cugini sparsi per il Piemonte, come quello  di origine saluzzese (o Pelaverga di Pagno), o con il Peilavert del canavese. Il Pelaverga di Verduno  nasce soprattutto nel comune di Verduno ed in parte a Roddi d’Alba ed a La Morra.
Come vedete siamo in terra di Barolo e così lancio la provocazione: le sue caratteristiche ne fanno “l’Antibarolo” perfetto. Infatti tanto il Barolo si esprime in potenza anche tannica, tanto il Pelaverga da il meglio di se in eleganza e finezza. Tanto i profumi del Barolo hanno bisogno di tempo per esprimersi, tanto il Pelaverga ti avvolge sin da subito con note di frutta rossa, di rosa, di anice. Tanto il Barolo è un vino da invecchiamento, tanto il Pelaverga è da godersi nell’annata (massimo nei due anni). Insomma: tra tanti vini di Langa muscolari ed importanti il Pelaverga ( negando nei fatti un’interpretazione “hard” del suo nome…) mostra un carattere più femminile, aggraziato, elegante.

Per chi come noi ha sempre amato i vini che si basano sull’immediatezza e la piacevolezza, degustare Pelaverga è stata una bella esperienza. Il ristretto, (giocoforza) numero di campioni non ci ha permesso  di effettuare il solito tipo di degustazione, pubblicata in maniera grafica. Abbiamo preferito parlarne in maniera più discorsiva, privilegiando le sensazioni ai numeri. I vini erano dell’annata 2008.

Tutti i Pelaverga hanno mostrato il classico color  rubino abbastanza scarico (ricorda il Grignolino o il Santa Maddalena, tanto per capirsi) ed un naso dove ciliegia,  rosa, anice, mandorla  e qualche volta pepe si rincorrono. In bocca hanno freschezza e sapidità, anche se qualcuno tende a chiudere leggermente asciutto .
Tra quelli che ci sono piaciuti di più mettiamo quello di Terre del Barolo, dei fratelli Alessandria, del Comm. Burlotto, di Corona Teresina e del Castello di Verduno. Un gradino sotto gli altri: Poderi Roset, Bel Colle, Cadia, Andrea Burlotto, Brero e San Biagio.

Non ci vergogniamo di ammettere che l’assaggio è continuato a pranzo, dove i Pelaverga hanno accompagnato alla perfezione una bella ribollita toscana e soprattutto una nutrita serie di salumi. L’apoteosi c’è stata quando i redattori di Winesurf si sono defilati quasi di soppiatto per  “assicurarsi” la  seconda bottiglia dei Pelaverga preferiti, dimostrando così di aver molto gradito l’assaggio. Questo mi ha fatto pensare che più di “vino di nicchia”, al Pelaverga di Verduno si attaglierebbe il nome di “vino di scrigno”, alla pari di tanti rossi assolutamente non muscolari ma profumati, sapidi  ed eleganti che costellano la nostra penisola.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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