Naturale versus industriale: ora basta!4 min read

Ci sono alcuni termini che mi fanno incazzare di brutto, sono quelli che non si sa bene cosa vogliono dire (per  esempio tante parole inglesi usate per indicare cose altresì facilmente identificabili) e proprio per questo vengono usati in continuazione. Nella fattispecie mi riferisco alle parole “naturale” e “industriale” affiancate al vino: queste dovrebbero identificare precisamente due metodi di approccio alla produzione mentre creano soltanto confusione.

Negli ultimi giorni e non solo sono tornate di moda le prese di posizione sul vino “naturale”. La differenza rispetto al recente passato è che questa non ben definita categoria viene indicata come il futuro a cui tutti dovranno tendere. Ma tendere a cosa?? Cosa vuol dire “naturale”?

1.    Naturale vuol dire lasciare le uve allo stato di natura quindi attaccate alla pianta?
2.    Naturale vuol dire raccogliere le uve e vinificarle senza assolutamente nessun ausilio esterno e avere come  risultato spesso un ottimo aceto?
3.    Naturale vuol dire coltivare la vigna senza alcun ausilio esterno di natura chimica o semplicemente organica che possa in qualche maniera creare danni al terreno ? (In questo caso, per inciso,  i vini biologici non sono naturali)
4.    Naturale vuol dire quanto scritto sopra più seguire gli stessi precetti in cantina, quindi zero solforosa e zero compagnia cantante?
5.    Naturale è un vino che non fa male quando lo bevi, quindi che non ha sostanze tossiche al suo interno? Ma l’alcol non è una sostanza tossica?
6.    Naturale vuol dire cercare di produrre buone uve utilizzando il meno possibile gli ausili fisico-chimici permessi nella produzione delle uve e del vino?
7.    Naturale è un vino rispettoso del territorio?
8.    Naturale vuol dire che non è un vino industriale, ma allora che cos’è un vino industriale?

Vediamo quindi di definire il vino industriale

1.    Industriale è un vino prodotto da una cantina che non è un’azienda agricola?
2.    Industriale è un vino prodotto da chiunque (azienda agricola, società varie, coltivatore diretto etc) ma con l’ausilio dei prodotti ammessi dalla legge?
3.    Industriale è un vino da agricoltura biologica ma vinificato non rispettando la nuova normativa sui biologici?
4.    Industriale è un vino prodotto da una grossa ( o anche piccola) cantina con uve da agricoltura biologica e vinificato rispettando i parametri della nuova legge sul biologico che sono talmente ampi da permettere quasi tutto?
5.    Industriale è un vino che viaggia in cisterne (legalmente s’ intende) e quindi per evitare rischi deve essere almeno solfitato?
6.    Industriale è un vino prodotto in grandi quantitativi?

Potremmo continuare per ore ma credo che il concetto sia chiaro. In realtà L’unica cosa chiara è che non essendo davanti a concetti condivisi da tutti la cosa migliore sarebbe non usare questi due termini, soprattutto perché troppo spesso il primo assume connotazioni angeliche ed il secondo demoniache.

Sono stra-d’accordo che meno prodotti si utilizzano in vigna ed in cantina e meglio è per tutti noi, (parlo di tutti noi esseri umani, non solo bevitori) ma non mi sembra giusto demonizzare il 99% dei produttori mondiali di vino perché seguono semplicemente la legge (molto permissiva MA LEGGE!) Inoltre demonizzare l’universo mondo vuol dire semplicemente due cose per chi si riconosce nel “naturale”: da una parte autoghettizzarsi e dall’altra diventare moda fumosa, difficilmente definibile e quindi utilizzabile dai furbi sempre pronti a cavalcare le onde.

Già ci sono segnali inquietanti in questo senso: non ci scordiamo che con la nuova normativa europea rientrare nei parametri del biologico è la cosa più semplice del mondo, specie per cantine tecnicamente avanzate.  Potrebbe essere anche un bene per il settore l’ingresso di grossi nomi  ma sicuramente se questo accadrà tanti piccoli biologici inizieranno a dire che sono (magari giustamente) più biologici di altri e il rischio di creare ancora più confusione è dietro l’angolo. E questo con un termine come “biologico” a cui risponde una normativa precisa, figuriamoci usando termini

Insomma: il modo del vino ha adesso più che mai bisogno di chiarezza e usare ad ogni piè sospinto termini come naturale e  industriale (per non parlare di “vero”) portano soltanto maggiore confusione: evitiamoli.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



0 responses to “Naturale versus industriale: ora basta!4 min read

  1. Bene. E allora ? come se ne esce ? come segnalare la differenza ?

  2. Semplicemente non generalizzare. Uno fa il vino usando o non usando x o y. Stop.

  3. Ben detto!
    Naturale e industriale!! Chi non sa, sceglierà  sempre per sentito dire.
    E, se vogliamo proprio dirla tutta, l’utilizzo del rame in vigna fa molti più danni alla terra di quanti ne facciano altri prodotti.
    occorrerrebbe solo molta meno ignoranza.

  4. Io abolirei proprio il termine “industriale” associato a prodotti vinosi, anche quando si tratta di milioni di bottiglie.
    A parte ciò il tutte queste energie buttate nell’esecrazione di qualcosa che in realtà  non è definibile, ma rimane un concetto fumoso anche se attraente, mi sembrano in gran parte sprecate.
    Ma io lavoro per il mercato e quindi ho una visione biecamente materialista del tutto.
    Grazie Carlo, sei riuscito a rinvispire il mio interesse per un argomento che mi aveva annoiato da tempo.

  5. come sempre, si stava meglio quando si stava peggio.
    Mi sembra decisamente più semplice e corretto distinguere tra vino buono e vino cattivo, e classificare i produttori nelle care vecchie categorie: viticoltori, vinificatori, imbottigliatori, commercianti.
    Non c’erano aami dubbi, allora. Oggi in troppi hanno mescolato le carte per avvantaggiarsene, sempre a discapito della prima categoria: quelli che lavorano la vigna, raccolgono l’uva, la vinificano, imbottigliano etichettano e cercano di vendere quelle bottiglie.

  6. Il problema, come sempre, è nel significato che diamo ai termini, al di là  del vocabolario.
    Se per vino si intende il prodotto della fermentazione alcolica dell’uva(mosto) per tantissimi consumatori ha un significato più ampio di vita contadina, di salubrità , di vendemmie e di salsicce che rosolano.. Raramente nell’immaginario collettivo di un consumatore dentro al vino ci stanno colture intensive, trattori enormi trattori, tonnellate di agenti chimici riversati nei campi…
    Quello che indigna e ci fa dispiacere è che si consenta la propagazione di idee mendaci, illusioni.
    Ci sono molti modi di fare eccellente vino, compreso quello industriale, tuttavia è quello che si fa credere al consumatore che conta e che non va bene.
    E’ giusto e rispettoso del nostro prossimo pretendere che egli possa essere più correttamente informato e possa scegliere di conseguenza.
    Io sono anche fermamente convinto che esattamente come ci sono persone al mondo che non pongono attenzione a tante cose perché accettano di correrne i rischi a posteriori, esistono anche quelli che farebbero scelte migliori se fossero informati meglio e se non fossero disinformati da tutto quello che gira per buona pace dei furbetti.
    Certi vini si venderebbero comunque a certe persone anche se ci fosse scritto “provoca il cancro”.. quindi perché preoccuparsene? Senza contrapposizioni di sorta, limitiamoci a dare le informazioni corrette. (imho)

  7. Caro Carlo, parole diverse servono per indicare cose diverse.

    Se il mondo sente il bisogno di distinguere il vino in due categorie, quelle

    a) del vino che usa la minor quantità  possibile di sostanze di sintesi chimica, e che si basa su uno stretto rapporto con l’ambiente naturale a cui le qualità  del vino devono corrispondere

    b) del vino che usa ogni mezzo tecnico e chimico lecito per ottenere il profilo organolettico desiderato, perché esso sia funzionale ad un progetto imprenditoriale

    io penso che sia utile che il mondo abbia delle parole per indicare sinteticamente queste due diverse realtà .

    E’ bene che siano le parole giuste, che non generino equivoci e conflitti dolorosi, ma tenendo ben presente che una parola perfetta e al di sopra di qualsiasi ambiguità  non esiste, è sempre meglio una parola problematica, che nessuna parola.

    La parola problematica impone la discussione, e con essa la vita progredisce, trovando pian piano le parole giuste, o meglio attribuendo alle parole usate il giusto significato. Mettendosi d’accordo sul significato, cioè , al di là  di questioni prettamente formali, che pure sono importanti ma non possono mai diventare l’impedimento per l’uso concreto a cui le parole sono chiamate.

    La natura del linguaggio è la convenzione, è convenire su un significato appropriatamente definito. E’ questo, più degli altri, il lavoro di chi scrive.

  8. “Vini di volume” e “vini artigianali” sono le definizioni che abbiamo scelto di usare nel nostro Manuale di conversazione per Enoturisti. L’importante è non appiccicare etichette che suggeriscano (in maniera implicita, esplicita o subliminale che dir si voglia) anche dei giudizi di valore. Perchè attualmente, dici “vino naturale” e istintivamente associ idee positive (“buono, sano, tradizionale, sostenibile…”) mentre il vino “industriale” è sinonimo di supermercato, massificazione, vini anonimi ecc. ecc…
    Detto questo, come diciamo nel nostro libro, non è detto che tutti i vini artigianali siano sempre dei capolavori, o i vini di volume delle schifezze… E’ un po’ come nella moda: ci sono sarti-stilisti e sarti mediocri, e griffe seriali assolutamente dignitose con un buon rapporto q/p.

  9. Tettu ciai proprio ragione! Tra l’altro “naturale” e “industriale” non sono affatto antitetici. Il contrario di naturale mi risulta essere “artificiale”. Chi ha una definizione di vino artificiale? Sarebbe un prodotto legale?
    Mentre il contrario di industriale cosa sarebbe, “artigianale”? Potrebbe anche starmi bene.
    In sostanza il primo termine si riferisce al prodotto, il secondo al produttore. Non sono confrontabili. Queste due definizioni sono un equivoco bellebuono! Cui prodest?

  10. A proposito, ieri sera su Rai Radio 2 Attilio Scienza è stato intervistato dai conduttori di Decanter sul tema della composizione del vino.

    Attilio Scienza ha dichiarato con perentorietà  che nel vino non vengono aggiunte sostanze chimiche, che si usano solo sostanze che alla fine della lavorazione non rimangono nel vino, come quelle usate per le chiarifiche.

    Sono rimasto basito.

    Qualcun altro ha sentito la trasmissione?

  11. perchè incaponirsi su un termine e non accetarlo per definire una cosa chiara e semplice? ovvio che nessun termine può inquadrare perfettamente l’argomento, ma allora lo yogurt naturale è naturale (e che vuol dire? che esce dalla tetta della vacca esce cosà¬?!?) o serve semplicemente per distinguerlo da quello ai frutti?!? per me un yogurt naturale è quello che mi faccio in casa con latte almeno bio e con i miei fermenti che mi coltivo di giorno in giorno… per l’industria è semplicemente quello bianco. fai argomentazioni retrò direi. nel mondo natural wines è comunemente accettato e i più capiscono di cosa si parla. se poi lo sia veramente, quello è un altro discorso! ma basta fare demagogia, su!

  12. Carlo Macchi,il punto 4 mi pare molto equivoco nella parte finale.Maurizio Fava, pratico nella sua chiarezza. La maggior parte dei commenti sono dettati da interessi piu’ o meno palesi quindi variabili dipendenti.

  13. Su questo argomento è uscito un articolo su Terres et vins… firmato da Bettane & Desseauve… qualcuno ha risposto all’articolo, che versava su questo tema, anche se differentemente… comunque io sono d’accordo, c’è una normativa e va rispettata! http://goo.gl/71w1j

  14. Caro Rossano,
    anche tu, rispetto alle varie “soluzioni” proposte, dai valori e valenze diverse ai due termini. Come vedi il rischio di non intendersi è forte e concreto. Possiamo arrivare a capirci magari io e te ma resta il fatto che contrapponendo questi due termini non si va avanti e non si fa soprattuto conoscere a non addetti ai lavori bene come viene/vengono fatto/i il vino/i.

  15. Ciao Rossano,
    Parole più che condivisibili le tue, infatti credo che dalla confusione dei termini se ne avvantaggino proprio quelli con i profili qualitativi più bassi.
    E’ la stessa cosa per le denominazioni o altre forme di riconoscimento convenzionale.
    Personalmente, ed è solo un mio pensiero che vale quello vale, io non ripongo molta fiducia nell’approccio industriale alla produzione di alimenti e vini.
    Per sua natura l’industria persegue il profitto come prima cosa, poi cerca di farlo nella legalità , tutto bene, se non fosse che parliamo di risultati di un processo di massimizzazione del profitto che per sua natura tende ad essere borderline rispetto alle normative.

    Rossano, dichiarare che le sostanze chimiche aggiunte al vino non rimangono nel vino è inesatto, dipende da cosa.

    Secondo il mio modesto e personale modo di vedere, l’industria alimentare, proprio per i volumi che gestisce ed i rischi che corre è più portata ad essere interventista a prevenzione.. l’additivo ce lo mette per sicurezza anche se non serve, per mettersi al riparo, mentre l’artigiano è disposto ad assumersi il rischio perché esercita il suo controllo diretto su volumi che può gestire con maggiore cura ed attenzione, fin dalle uve.

  16. Visto che si invoca – ed a ragione – la LEGGE – non credo se ne esca fino a quando non sarà¡ obbligatoria in (retro)etichetta la lista degli ingredienti, additivi e le loro quantità¡ etc che la data bottiglia di vino contiene. Già¡ é legge
    europea l’indicazione degli allergeni (di origine animale, vegetale og minerale) obbligatoria quella su i solfiti: a quando l’obbligatorietà¡ di indicazione di acido ascorbico, gomma arabica, tannini liquidi e tutto quanto altro la LEGGE permette al vinificatore, man non lo obbliga a comunicare al consumatore ?

    Oppure finisce che mettiamo chi produce vini “naturali” (mi si passi il termine)
    nelle condizioni di dover dichiarare in retroetichetta tutto quello che il vino NON contiene ?

    Indipendentemente dalla soluzione, dalla scelta del termine-ombrello piຠadatto, rimane oramai l’esigenza da una parte sempre crescente dei consumatori
    ad avere un prodotto-vino che non solo sia sano e gustoso, ma che anche non abbia problemi a dichiarare i propri “segreti di cucina”.

    Per il momento ed in attesa di meglio (= LEGGE), mi sembra che il termine “naturale” con tutte le sue contraddizioni logiche e le sue aperture a sfruttamento commercialfurbesco, sembra essere quello che piຠrisponde a questa esigenza di “pulizia”.

  17. L’unica divisione possibile è vino e vino biologico, perché è l’unica ammessa per legge. Se si parla di vino biologico, deve essere certificato da un ente riconosciuto dal ministero. Tutto il resto sono solo chiacchiere. Se un vino non è naturale è sofisticato e la sofisticazione è un reato. Per quel che riguarda i coadiuvanti, se usati correttamente non lasciano residui nel vino (a parte la solforosa), se lasciano residui nel vino questo (generalmente) non può essere commercializzato. Io sono al 100% d’accordo che il consumatore deve essere correttamente informato e sarei al 100% d’accordo ad indicare gli ingredienti in etichetta (ma per esteso non E220), il che sarebbe più utile rispetto all’attuale norma sugli allergeni! Ma poi sarebbero tutti cosଠonesti da indicare i coadiuvanti utilizzati?

  18. Bravo Carlo, osservazioni intelligenti e molto pratiche, come sempre.

  19. E io che pensavo che il peggio del peggio fosse Gambero Rosso e Intravino. Parole un pò strane da parte di un curatore di una guida che si chiama (non lo sei più lo so) Vini Veri. Dopo un pò che si lavora nel vino non si ha più niente da dire, meglio tacere no? Naturale significa che posso decidere io cosa e come bere. Industriale significa che è il mercato a decidere per me. Tristezza infinita.

  20. Forse Ivosalvini si sbaglia con qualche altro e soprattutto si inventa una nuova guida. Personalmente mai avuto il piacere di curare e tantomeno di leggere una guida che si chiama Vini Veri. Forse Ivosalvini stava riferendosi a Vini Buoni d’Italia ma lଠsi parlava di vini autoctoni., nessun accenno a naturali o industriali.

  21. Conversazione interessante,aggiungerei solo un punto; quando si definisce un vino “naturale”, automaticamente si classificano tutti gli altri come “non naturali”, e questo è inaccettabile.

  22. Carlo, l’argomento e’ sempre piu’ attuale. Invito te e tutti i commentatori a seguire anche questo altro dibattito sul tema: http://www.internetgourmet.it/2013/02/vini-naturali-fate-un-passo-avanti.html?showComment=1359895160869
    e a considerare che il titolo e la foto di questo tuo post rendono effettivamente molto bene l’idea: com’erano assurdi quei duelli dietro il convento delle carmelitane scalze, cosଠe’ su questo tema. Tutto il vino che va in direzione di un maggior rispetto dell’ambiente in vigna e in cantina, della salute del consumatore, quindi anche tutti gli sforzi tendenti a ridurre al minimo possibile e in tutte le annate l’uso di altre sostanze, vanno premiati. L’Universita’ e’ il luogo adatto per questo tipo di ricerche, non l’improvvisazione e nemmeno l’ideologia. Mi risulta che da Alberto d’Attimis Maniago siano in corso ricerche universitarie appunto per vedere cosa e’ meglio fare e cosa e’ meglio non fare in vigna e in cantina per andare in una direzione migliorativa. Ma non bastano i mesi, ci vuole pazienza, smettendo di litigare perche’ non siamo ad un derby.

  23. Si, quella evidenziata da Stefano Cinelli Colombini é proprio
    una delle “contraddizioni logiche” che indicavo come insite nell’uso del termine “naturale”.

    Cià³ nonostante le parole hanno una loro vita ed una loro forza ed i piຠ(anche all’estero) recepiscono “naturale” come vino “non trattato” , non oberato da additivi chimici,
    non sottoposto a processi fisici (osmosi etc.).

    Il fatto che il termine non sia logicamente corretto non ne
    impedisce la diffusione né ne diminuisce la forza comunicativa. Per il momento “naturale” vince su “vero”
    “artigianale” “non interventionist” e tutte le altre definizioni che cercano di rendere quello che in realtà¡ non é riassumibile in una sola parola. Anzi “naturale” ha – ancora – una valenza positiva anche se non é …obbligatorio che un vino naturale sia anche buono.

    Come se ne esce ? per me, rendendo obbligatorio, per legge cioé, la dichiarazione degli “ingredienti” come per tutti gli altri alimentari.Tutto il resto rischia, come si vede anche da questo dibattito, di aumentare la confusione.

  24. Merolli, come per tutti gli altri alimentari significa anche per la birra, la coca-cola, il latte, tutte le bibite e i succhi di frutta, vero? Cioe’ tutte, non solo acqua, olio e vino. Seconda cosa. A me una controetichetta tipo certificato d’analisi chimico-fisica presso l’universita’ pinco pallino non darebbe informazioni sufficienti, non tutti siamo periti chimici. Preferirei qualcosa di piu’ abbordabile e chiaro per i consumatori, come questa:
    SAUTERNES 2001 CRàˆME DE TàŠTE
    Terreni di sabbia, ciottoli e marne argillose azzurre. Composizione classica da uve Sémillon 80%, Sauvignon 15%, Muscadelle 5% provenienti da viti di cinquant’anni che non subiscono nessun trattamento chimico e prosperano su terreni non diserbati chimicamente, ma solo con tisane e oli essenziali, zappatura tre volte l’anno. Vendemmia manuale, la più tardiva possibile anche in diversi passaggi per ottenere il meglio dalla muffa nobile. Vinificazione senza l’aggiunta di lieviti, enzimi, colle e altri prodotti enologici. Maturato per due anni in botti di quercia e altri quattro in botti di acacia, in gran parte molto vecchie, alcune con più di cent’anni. Questo vino non è filtrato.

  25. Caro Mario, ma credi davvero che chi compra una bottiglia di vino abbia voglia di leggersi un romanzo? Se voglio Guerra e Pace vado in libreria, non in enoteca. E poi avete pensato ad un’altra follia di questa pretesa contrapposizione tra vino “naturale” e “industriale”? C’é qualche legge che proibisce ad un industriale di fare un vino, anche su grande scala, senza usare prodotti chimici, osmosi, raffreddamento delle vasche e simili?

  26. Stefano, di quello che interessa agli altri consumatori a me non frega un accidente. Io preferisco avere informazioni veritiere ed abbastanza esaustive da una retroetichetta fatta bene, se non conosco gia’ quel vino o quel produttore, specialmente quando devo sborsare cifre consistenti. Non obbligherei nessun produttore alla retroetichetta, tanto meno per legge, pero’ non comprerei vini sconosciuti senza avere prima informazioni e questo, secondo me, penalizza prima il produttore del consumatore, visto che alcuni una retroetichetta come quella la stanno mettendo (e compro i loro vini).
    Per quanto riguarda la legge, l’unica cosa che dovrebbe richiedere ad un produttore di vino e’ l’igiene e la salubrita’. Che sia un piccolo produttore biodinamico o un grande vinificatore da 20 milioni di bottiglie (e ce ne sono anche in Italia) devono fare prodotti igienicamente sicuri e salubri e questa e’ l’unica cosa che la legge dovrebbe imporre e far rispettare. Il resto appartiene alle vaklutazioni ed ai gusti dei clienti. Tra l’altro, lo dico per inciso, piu’ i produttori sono piccoli e piu’ ci possono essere problemi con l’igiene e la salubrita’ (vai a leggere su Vinnatur delle analisi che hanno trovato 7 pesticidi in un vino “bio” campano!). Ognuno si sceglie, infatti, il vino che preferisce e questa liberta’ non va mai tolta, senno’ succede come nell’URSS con i vini Ungheresi, Moldavi, Georgiani, Rumeni, Bulgari, che vennero azzoppati proprio nella qualita’. Se ai controlli risultano effrazioni all’igiene ed alla salubrita’, multe da capogiro e confisca dei vini, anche la galera se occorre. Io al metanolo sono scampato, ma qualche mio amico no. Non basta battersi soltanto con i furbetti che mettevano merlot nel sangiovese e lo chiamavano brunello, senza fare male a nessuno ma soltanto falsando le carte. Bisogna tagliare le mani a chi avvelena o minaccia la salute e continua a nasconderlo, anzi si definisce “bio”, ma io lo chiamerei bio-criminale.

  27. Scusate ma né un romanzo, né il silenzio totale. Basterebbero poche linee, come peraltro già¡ fatto in molta GDO all’estero che in retroetichetta riporta già¡ contenuti di
    SO2 in mg/lt, di allergeni usati e di evt. additivi (acido ascorbico) ed in esteso (non con numeri E). Se ci pensate bene é un’informazione in piຠal consumatore, una cosa che fa vendere. A meno che uno ( a torto o a ragione) non si vergogni di dire come trasforma l’uva in vino.
    La cosa metterebbe inoltre fine a tutte le divisioni naturale/industriale perché il giorno che il “peggiore” degli industriali volesse produrre un vino naturale, questo si desumerebbe dall’etichetta e non da altre fonti.

    Probabilmente manca la volontà¡ politica ed allora per dirla in latino bisognerebbe andare a vedere cui prodest il fatto che il vino sia l’alimentare meno “dichiarato” al mondo.

  28. Il giochetto sembrerebbe facile..Per uno come meno che produce solo 1500 bottiglie di Rosso dell’Etna, la definizione parrebbe quella di “vino naturale”, Definizione tanto immediata quanto semplice nella sua formulazione.
    Ma in definitiva sarebbe cosଠanche se usassi ogni tipo di prodotto di sintesi consentito, sia in vigna che in cantina.

  29. A mio avviso, se un vino non è naturale, è artefatto, Il problema per i produttori che convenzionalmente utilizzano acido ascorbico, tannini liquidi, gomma arabica, deacidificanti e via cantando, è che se ci fossero scritti quei componenti rischierebbero di perdere qualche cliente. Cosà¬, invece di tentare di fare un vino meno disegnato a tavolino, meno chimico, vorrebbero impedire una distinzione con chi invece questi composti non li usa. E non parliamo della legislazione del biologico, una cosa veramente orrenda per quanti e quali componenti sono ammessi. Vorrei che anche il consumatore meno informato sappia cosa sta bevendo, e che dentro al vino non c’è solo uva, ma anche un sacco di altra roba proveniente sia dalla vigna che dalla cantina.

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