Montecucco: e se la vera Maremma non fosse in Maremma?4 min read

Tutte le volte che mi imbatto nella DOC Montecucco mi stupisco di quanto sia grande questo territorio: si parte dal fiume Orcia nel versante ovest di Montalcino e si spazia dal  Monte Amiata fino alle colline da cui si domina Grosseto e la Maremma. Una terra, tanto per dare un’idea, grande 4 volte il Brunello, più grande del Morellino e -anche se di poco- del Chianti Classico, nonchè 7-8 volte più estesa della zona di Montepulciano. In questo enorme susseguirsi di brusche colline mozzafiato (non solo per la bellezza: provate a farle in bici e mi saprete dire) troviamo poco più di 40 produttori di vino con nemmeno 500 ettati di vigneto. Fa un certo effetto se si pensa che a Montalcino (quattro volte più piccola), si arriva a quasi 200 produttori-imbottigliatori.

Ma questa era (ed è) terra dura, difficile da lavorare, regno della mezzadria fino alla fine degli anni Sessanta e poi spesso abbandonata per scappare a lavorare in fabbrica. Chi è rimasto a coltivarla ha mantenuto la multicultura: quindi cereali, vigna e magari un piccolo gregge di pecore. Contadini di quelli DOC, il cui vino non veniva mai imbottigliato ma attraversava spesso l’Orcia per dare man forte ai cugini famosi del Brunello. Ed il vino era ovviamente Sangiovese. Oggi quegli stessi produttori di micro-appezzamenti imbottigliano, affiancati da nuovi e blasonati arrivi che hanno acquistato e restaurato vecchi castelli, piantando vigneti in una delle poche zone forse veramente vergini della Toscana. In queste poche parole provo a riassumere un territorio e la sua storia recente, che ha dato vita ad una giovane DOC in provincia di Grosseto. Il ruolo di ultima nata le ha sempre conferito una certa sudditanza psicologica rispetto a quelle affacciate al mare, Morellino in primis.  Ma, dice un vecchio adagio, “Le cose cambiano” e soprattutto sembra stia cambiando il clima. La Maremma diventa sempre più calda (o forse è troppo calda per i vitigni che ci sono stati piantati…….) e quindi ben vengano le zone a buone altezze e con notevoli escursioni termiche, appoggiate alla montagna e che il mare lo vedono solo in cartolina. In altre parole tutto sta congiurando per portare il Montecucco ai vertici dell’enologia toscana. Il nostro assaggio , nella nuova e bellissima sede del Consorzio, da una parte ci fa pendere verso questa soluzione, ma dall’altra ci pone alcuni dilemmini (non la mettiamo giù troppo grossa..) che sarebbe bene i produttori prendessero in considerazione. Prima le buone novelle: solo 5 anni fa sarebbe stato impensabile trovare quasi la totalità dei vini della DOC senza difetti. Questo vuol dire che la pulizia (per non dire l’enologia) ha preso, quasi dappertutto,  il posto della  gnucca improvvisazione. Nonostante questo i  “veri” Sangiovese locali hanno sempre quella giusta ruvidità che ben si affianca a potenze ben foderate di grassezza. Ma andiamo avanti: in una zona così grande è difficile aspettarsi un’ omogeneità stilistica ma in alcuni casi ci sembra che i produttori ne abusino. Questo passi per il Montecucco Rosso, vino dove il 40% di altre uve può trasformare il più arcigno dei sangiovesi in una docile pecorella ma quando si parla, in etichetta, di Montecucco Sangiovese si dovrebbe stare più attenti. É difficile pensare che vini morbidi e piacioni, con profumi lamponati, siano frutto di solo Sangiovese. Questi trucchetti  potevano andare bene fino ad ieri ma se la denominazione vuole puntare in alto deve darsi una regolata, altrimenti i vantaggi dati dall’immedesimarsi con questo vitigno vanno a farsi benedire. In alcuni casi sono più Sangiovese vini che dichiarano 15% di merlot che alcuni “campioni” con  professione di fede sangiovesista al 100%. Ancora: le vertigini da visibilità sono un male di gioventù di qualsiasi zona. Per questo fuori dalla bella sede del Consorzio dovrebbe essere affisso un “memento mori” del genere. “Ricordatevi tutti che non abbiamo ancora fatto nulla”. Infatti sia alcuni prezzi veramente alti che, all’opposto, il fatto che molte cantine non ci abbiano dichiarato il prezzo di vendita del vino -tenendo nascosto il classico segreto di Pulcinella- dimostra che si deve ancora crescere. Nonostante questi peccati (mortali o veniali vedete voi) i Montecucco Sangiovese 2004 hanno superato bene la prova dell’assaggio, mentre i Rossi 2005, forse a causa di un’annata inferiore, non hanno spiccato il volo. In definitiva, pur con alcune revisioni doverose, vediamo un bel futuro per questa DOC che ha la fortuna di essere “in Maremma” senza esserci veramente.

Partecipanti all’assaggio: Giampaolo Giacomelli, Carlo Macchi, Pierlorenzo Tasselli e Kyle Philips.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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