Montecucco; che dire…4 min read

Un giro in auto (meglio in moto) nel territorio del Montecucco può richiedere più di una giornata. Infatti questa DOC, di cui si era iniziato a parlare  a cavallo del cambio di millennio (nientepopòdimenoche…), è estremamente vasta.  La nostra auto (meglio la nostra moto) può iniziare a rombare oltre sant’Angelo Scalo al limite del territorio del Brunello, per salire poi le pendici del monte Amiata oppure puntare verso Grosseto, toccando piccoli borghi come Cinigiano e Civitella Paganico. Alla fine il periplo vi farà  attraversare 7 comuni  e sommare almeno duecento chilometri di strade con panorami dal bello al meraviglioso.

Limitandoci ad arrivare da Poggibonsi sino a Poggi del Sasso, microscopico paese sede del  Consorzio di Tutela,  il viaggio è sicuramente meno impegnativo, ma ridendo e scherzando erano passati quasi due anni dall’ultimo assaggio di Montecucco  e in due anni possono succedere tante cose: la prima che abbiamo constatato è l’aumento delle aziende, tanto che il nostro database ha dovuto essere aggiornato ed integrato ben oltre il 50%. Oggi sono circa 70 le cantine che imbottigliano Montecucco, di cui 52 associate al Consorzio di Tutela.

Ma cerchiamo di fare un quadro della denominazione. La vigna occupa uno spazio minimale in questo mare di terra coperta spesso da boschi, arrivando attorno ai mille ettari. Siamo di fronte ad una DOC con grandi diversità, dove altitudini e  composizione dei terreni  contribuiscono a creare un quadro difficilmente riconducibile a parametri similari. La DOC ha anche una componente in bianco (soprattutto vermentino) ma la parte del leone la svolgono le uve rosse, raccolte sotto i due cappelli del Montecucco Rosso e Montecucco Sangiovese. Il primo può avere al suo interno al minimo 60% di sangiovese, il  secondo  85% .
Abbiamo insistito molto sull’ampiezza della DOC perché fin dall’inizio questa caratteristica  è stata presentata dai produttori come un grande vantaggio. Territori incontaminati, possibilità di scelta per piantare nelle migliori esposizioni etc. Questo è sicuramente vero ma oggi queste grandi estensioni e distanze rischiano di diventare un boomerang per quei piccoli produttori (e sono diversi) che per crescere avrebbero bisogno di avere quasi a “portata di voce”  stimoli e confronti tecnici, punti di riferimento,  possibilità di discutere e scambiare opinioni. Questo perché ci è sembrato di trovare una certa staticità nei vini, specie quando le prospettive di partenza, agli albori del 2000,  erano ben altre. Sicuramente ci sono aziende che lavorano benissimo ( e purtroppo diverse mancavano nel nostro assaggio) ma guarda caso non fanno quasi mai parte del gruppone di piccole o piccolissime cantine che caratterizzano la denominazione; quelle che da uno o due ettari di famiglia al tempo della mezzadria, si sono convertite alla viticoltura di qualità. E’ proprio tra queste che notiamo quella staticità accennata sopra.
 il vino più importante della denominazione, quello su cui (almeno a parole) si punta per emergere,  è il Montecucco Sangiovese.  Nei nostri assaggi non è andato molto meglio (anzi…) del Montecucco Rosso. Questo, oltre che dal motivo suddetto, può dipendere da impianti abbastanza recenti per riuscire a dare il meglio di sé. Infatti è abbastanza facile produrre un buon vino base con vigne piuttosto giovani e almeno il 40% di uve internazionali o comunque diverse dal sangiovese, molto più difficile è creare un sangiovese, in purezza o quasi, complesso elegante e armonico. Occorrono tanta conoscenza, competenza tecnica e soprattutto vigneti adatti e dell’età giusta.
Ma  andiamo a guardare in generale i punteggi : troviamo una media di 2.24 che non è proprio bassa e questo gioca a favore della denominazione. Quello che gioca meno a favore è che è stato molto difficile trovare un vino senza piccole “zoppie” o dal punto di vista aromatico, o di presenza e potenza in bocca o addirittura ( in pochissimi casi per fortuna)  nella rispondenza al Sangiovese dichiarato in etichetta.
In definitiva: non possiamo certo essere del tutto soddisfatti di quest’assaggio e quindi, rimasti un po’ (come si dice dalle nostre parti) “con il boccone di traverso”, vi garantiamo che  non lasceremo passare due anni per tornare a tastare il polso di questa denominazione da cui ci aspettiamo molto di più.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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