L’essere vecchio ha i suoi vantaggi, tra cui poter correggere i giovani quando, magari senza saperlo, scrivono delle cose inesatte dal punto di vista (purtroppo per me) storico.
Mi riferisco ad Alessandro Morichetti che nelle righe introduttive all’intervista ad uno studente (vedi) per il titolo di Master of Wine, presenta lui ed altri due baldi giovani come i” tre candidati italiani in corsa per il prestigioso titolo di Master of Wine”.
In realtà i candidati italiani a questo titolo sono, a quanto mi risulta almeno altri quattro: il sottoscritto, Ernesto Gentili, Paolo Valdastri, Giampaolo Giacomelli e sicuramente mi scordo o mi perdo qualcuno.
Inoltre per quanto riguarda il sottoscritto, Ernesto Gentili e Paolo Valdastri, siamo in corsa ( e lo rimarremo perché non credo andremo avanti) da circa 15 anni.
La soddisfazione di fare le pulci al Morichetti è però solo la scusa per poter, dopo aver letto sia l’intervista sia i commenti, dire la mia su questo importantissimo titolo che ancora non è mai stato conferito ad un italiano.
Prima facciamo un po’ di storia: correva l’anno 1995 e nella bellissima Villa di Capezzana venne organizzato il primo pre-corso per master of Wine in Italia. Erano tempi in cui l’istituzione londinese si sforzava di allargarsi all’estero, creando anche appositi corsi fuori dall’Inghilterra per i non di madre lingua inglese. Il pre-corso di Capezzana, durato tre giorni e voluto fortemente dal mio amico MW Nicolas Belfrage, vide presenti e paganti una ventina di persone. L’esame finale per poter accedere al corso venne superato da pochissimi.
Il giovane Roberto Anesi è fortunato perché il costo per iscriversi al Corso è stato reso più abbordabile dall’euro. Infatti mi ricordo che per il primo anno pagai la bellezza di (stiamo parlando di lire e del 1997) 2650 strerline che, rispetto alle 3000 di cui lui parla, erano sicuramente molte ma molte di più.
Come detto il corso si teneva per i non lingua madre (ma rigorosamente in inglese) ad Aigues Mortes, nel bellissimo Sud della Francia. Ho ricordi meravigliosi di quella settimana in cui incontrai tantissimi personaggi del mondo del vino internazionale e mi resi conto che esisteva un grande mondo che poteva (e magari doveva) essere conosciuto e approfondito.
Seguirono poi altri incontri a Londra, visite organizzate dai MW (me ne ricordo una a Bordeaux dove dormivo nella foresteria di Chateau Margaux) e poi….accadde l’irreparabile. Mi resi conto che, se volevo diventare Master of Wine avrei dovuto sacrificare almeno 5-6 anni della mia esistenza e molti ma molti soldi per provare a raggiungere il titolo. Devo dire che il mio tutor di allora, un giovane neozelandese, mi spronava moltissimo a continuare, ma il primo figlio mi fece mettere “temporaneamente” nel cassetto quel sogno.
Ho usato la parola sogno non ha caso. Tutte le volte che andavo in giro per i Master of Wine mi sembrava di vivere in un sogno, perché conoscevi quelle realtà enoiche, quei territori, che avevi sempre sognato di visitare. In più li conoscevi in maniera curata ed approfondita. Tutte le persone che incontravi erano assolutamente competenti ed al top del settore. Il metodo di degustazione seguito dai MW era ed è molto valido e ti permette di capire (ovviamente se il tuo naso ed il tuo palato ti seguono) perfettamente le caratteristiche di un vino.
Insomma, come “allievo dormiente” se potessi rincomincerei domani a frequentare il secondo anno e poter preparare così la “dissertation” e poi presentarmi all’esame anche se……..
Anche se, vivendo in Italia, oltre alla pura (ed enorme) soddisfazione personale, il titolo di Master of Wine mi aprirebbe ben poche porte. E’ infatti un titolo che funziona alla grande ma nel mondo anglosassone ed in particolare nel settore commerciale. Per diventare MW devi girare il mondo come una trottola, conoscere centinaia di persone “giuste” ed assaggiare di tutto: facendo questo accresci la tua esperienza e le tue conoscenze. Le grandi aziende di vino estere lo sanno e credono giustamente che prendere tra le loro file un MW non possa che giovare agli affari.
Inoltre come entri nel mondo dei MW ti accorgi che tutti, dagli studenti ai responsabili sono estremamente professionali e motivati. Questo ti spinge a dare il meglio di te, anche in situazioni in cui un italiano “salterebbe il giro”.
Vi faccio un esempio: siamo in Borgogna per tre giorni di visite: dopo aver girato per cantine tutto il santo giorno arriviamo a cena in un ristorante che doveva chiamarsi la casa dell’aglio, perché l’odore arrivava fino al marciapiede. Dentro era anche peggio e ovviamente due dei tre piatti (il terzo era un dessert..) aveva forti marche d’aglio. In tavola trovammo una serie di vini già aperti e tutti iniziarono subito ad assaggiare stilando lunghissimi resoconti anche e soprattutto sulle caratteristiche olfattive (la giornata era dedicata a questo). Io li guardavo esterrefatto: eravamo immersi in effluvi di aglio che ti facevano rincretinire e loro, come se fossimo in un’asettica stanza di degustazione, buttavano giù impressioni a raffica.
Questa è forse una lezione che ho imparato dai MW: tutti i vini che assaggi devono essere degustati con lo stesso impegno ed attenzione. Non importa se non sono di grande livello, devi rispettarli e trattarli tutti come un grande vino. In effetti questo insegnamento serve molto perché la stragrande maggioranza dei vini che assaggi nei loro corsi non sono certo i top del mondo, ma vini che rappresentano, tanto per usare un termine a loro caro “l’average” del vino, la media e per media si intende quella che di una zona si trova in commercio all’estero a prezzi interessanti.
Altro esempio: degustazione bendata a tempo di alcuni vini rossi di varie zone del mondo. Capito seduto accanto ad un sudafricano e guarda caso due degli otto rossi erano un Chianti Classico ed un Pinotage.
Io azzecco il pinotage, lui il Chianti classico ma nessuno dei due indovina il vino di casa sua. Perché? perché per entrambi, conoscitori e regolari bevitori di ottimi Chianti Classico e Pinotage, quelli nel bicchiere niente avevano da spartire con il livello qualitativo e le caratteristiche che noi eravamo abituati a trovare nei nostri vini. Ma quelli erano vini “average” e quindi lui riconobbe il non certo esaltante chianti classico esportato in Sudafrica ed io l’altrettanto non spettacoloso Pinotage che ogni tanto bevevo in Italia.
Come vedete tanti ricordi, tanti momenti bellissimi che invidio ai tre ragazzi che stanno iniziando il loro percorso.
Chiudo commentando l’incriminata frase di un MW riportata da Anesi “gli italiani non hanno senso critico e non affrontano l’argomento direttamente ma ci girano attorno.” La commento utilizzando un’altra frase, quella che mi disse un MW per spiegarmi come fare a riconoscere in una degustazione bendata un vino rosso Italiano “E’ italiano se i tannini del legno sono scissi da quelli del vino e l’alcolicità è marcata”. Come dire… “se è una schifezza è italiano”. In effetti il vero limite dei MW è il dover per forza generalizzare e dovranno farlo sempre più mano a mano che il mondo del vino si allarga.
Comunque consiglio vivamente ai tre giovani di andare avanti: magari non diventeranno MW ma conosceranno tanto del bellissimo mondo del vino. Auguri!