London Wine Fair: grandi cambiamenti rischiano di rompere il giocattolo3 min read

Maledetta Brexit!

È la prima cosa che ti viene in mente appena varcato l’ingresso di London Wine Fair, quella che viene considerata la più importante manifestazione del vino nel Regno Unito.

Chi ha negli occhi le passate edizioni pre-Covid (e pre-Brexit) non può non percepire la riduzione degli spazi: tutto il secondo piano dello stupendo padiglione Olympia ad esempio, è vuoto, A questo si aggiunge l’assenza di importanti marchi privati ed istituzionali che in passato caratterizzavano in senso qualitativo la manifestazione.

Tanto per citarne uno mancava lo stand di Chateau Musar, quello del Consorzio della Rioja, quello della Loira, assenze che senz’altro pesano.

Tutto negativo? non proprio. Partiamo dall’Italia che quest’anno invece che in ordine sparso come negli anni scorsi, si è presentata in modo organizzato con uno stand dove accanto a piccole aziende, provenienti da tutto lo stivale vi erano anche quelli del Consorzi dell’Oltrepò Pavese, del Vermentino di Gallura e dell’Asolo Prosecco.

Massiccia ed organizzata anche la presenza della Grecia, con tutti suoi territori in bella mostra. Tra le new entry quella significativa della Georgia e dell’Ucraina. Queste le novità più significative che si sono aggiunte a quelle tradizionalmente ospitate: Nuova Zelanda ed Australia in primis ma anche Sudafrica, Portogallo ed una qualificata rappresentanza della denominazione Rias Baixas, leggi Albarino. Per chi cerca di arricchire, il proprio bagaglio è un bel parco giochi.

Ho lasciato per ultima la parte più bella e unica di questa manifestazione: Esoterico. Una incredibile selezione dei migliori piccoli importatori del Regno Unito. Questa zona è tutta incentrata sulla continua scoperta, spesso, di vini molto interessanti non facilmente reperibili. L’ambiente è informale, con una serie di banchetti che si susseguono e su cui si possono trovare vini provenienti da ogni dove: una incredibile cavalcata attraverso territori di tutto il mondo. Unico neo, la mancanza di un catalogo che, contrariamente agli anni scorsi, ne ha limitato una fruibilità più razionale.  Diverse anche le Masterclass, disseminate un po’ ovunque nel padiglione, ma che quest’anno non hanno fatto la differenza.

Insomma Brexit o non Brexit è sicuramente un’edizione sotto tono e che il continuo martellamento mediatico della compagine organizzativa, non ha potuto completamente celare. Difficile dire quali siano le cause che hanno portato a questo ridimensionamento. Di certo c’è un cambio di strategia da parte degli organizzatori, non so quanto spontanea o dettata da contingenze economiche, ma la scelta di privilegiare in modo così evidente i buyers, rendendoli i veri protagonisti della manifestazione a scapito anche dei media (scomparsa anche la zona stampa) è un chiaro segno di cambio di rotta.

Non spetta a noi ovviamente sindacare sulle scelte strategiche degli organizzatori che sicuramente seguono ed interpretano il mercato in modo molto più preciso ed attento di noi. D’altronde questa tendenza, anzi prassi consolidata ormai, è facilmente riscontrabile in quasi tutte le altre manifestazioni a respiro internazionali, in Italia ed all’estero.

Ci auguriamo solo che accanto ad una scelta tutta marketing oriented, resti uno spazio per la comunicazione e la critica

Pasquale Porcelli

Non ho mai frequentato nessun corso che non fosse Corso Umberto all’ora del passeggio. Non me ne pento, la strada insegna tanto. Mia madre diceva che ero uno zingaro, sempre pronto a partire. Sono un girovago curioso a cui piace vivere con piacere, e tra i piaceri poteva mancare il vino? Degustatore seriale, come si dice adesso, ho prestato il mio palato a quasi tutte le guide in circolazione, per divertimento e per vanità. Come sono finito in Winesurf? Un errore, non mio ma di Macchi che mi ha voluto con sé dall’inizio di questa bellissima avventura che mi permette di partire ancora.


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