Lettera aperta a Gianni Zonin6 min read

Egregio dottor Gianni Zonin, incuriosito da una sua frase che rimbalzava sul web, da lei inserita nella  Lectio Magistralis  e letta durante la cerimonia in cui ha ricevuto la Laurea ad Honorem dell’Università di Palermo, mi sono letto tutto il suo intervento. L’ho fatto soprattutto perché odio giudicare da una sola frase un discorso molto lungo e articolato.

Ho così rivissuto “accanto a lei” se mi è permesso dirlo,  tutti i passaggi che dal 1821 hanno portato  la sua famiglia ad essere un vero e proprio marchio di riferimento per il vino italiano in Italia e nel mondo,  e solo verso la fine mi sono trovato di fronte alla frase incriminata, che vorrei riportare assieme a quelle immediatamente precedenti e successive.

 

“Il settore del vino in Italia conta 400.000 viticoltori. Però le aziende della dimensione della nostra Casa Vinicola si contano sulle dita di una mano. Il “piccolo” (che era bello negli anni Sessanta, in tutti i settori dell’economia italiana) oggi è diventato un handicap che impedisce al nostro Paese di crescere e competere. Pensate che in Australia le prime tre aziende vitivinicole controllano l’80 per cento della produzione e del commercio di vini di quell’intero Paese e negli Stati Uniti una winery californiana controlla da sola quasi un quarto del mercato americano. Per continuare a competere in questo scenario, i produttori italiani non potranno che attenersi a tre regole:

–  produrre vini di ottima qualità (e abbiamo storia, terroir e tradizione e tecnici per farlo in modo eccellente)

–  dotarsi di un’ottima organizzazione di marketing e di vendita (e qui forse abbiamo ancora qualcosa da imparare, ma non ci manca né inventiva né fantasia per farlo al meglio)

– disporre di una dimensione aziendale, in grado di ottimizzare gli sforzi, e coniugare ottima qualità ed ottimo prezzo (ed è ciò su cui dobbiamo concentrare tutti i nostri sforzi e le nostre attenzioni).

Solo così il vino italiano potrà affrontare con successo la sfida della globalizzazione”

 

Al termine della lettura lo sa a chi ho pensato? Al nonno del suo bisnonno che quasi 200 anni fa era, come lei orgogliosamente ricorda, un piccolo produttore (si guarda bene dal chiamarlo contadino…) di uve a Gambellara. Quell’avo  era proprio ciò su cui lei ha puntato il dito, il “piccolo e bello” che però dal piccolo è arrivato, generazione dopo generazione al “grosso” di cui lei è il capo.

 

Capisco, i tempi sono completamente cambiati e quel suo antenato magari non sapeva nemmeno che in  America, Australia e Cina si bevesse il vino, però lei stesso dice che ci vuole del buon marketing per andare avanti e non credo che pestare i piedi non tanto agli avi quanto alla stragrande maggioranza dei produttori italiani possa essere definito tale.

 

Ma in realtà, sotto sotto,  io sono d’accordo con lei, specie quando devo chiedere i campioni alle aziende per gli assaggi. Telefonate su telefonate perché o il figlio è sempre nel campo o la mamma è a fare la spesa, o la mail non l’hanno letta oppure non sanno quando imbottiglieranno….bello e semplice invece mandare una mail ad una giovane PR e dopo sette giorni vedersi arrivare i vini a casa. Tutte le volte che riattacco il telefono arrabbiato con un produttore per questi motivi mi viene da dire “Ma dove vogliamo andare con gente come questa?”, quindi La capisco (in parte) quando dice certe cose.

 

Però, mi permetta, se il vino italiano di qualità, verso la fine degli anni settanta- inizi anni ottanta, è stato conosciuto nel mondo lo si deve a piccole aziende, a piccoli produttori che hanno preso la loro valigia e sono andati a far assaggiare i loro vini a New York più che a Parigi o a Tokio. Il mondo non è rimasto affascinato dal vino italiano che finisce in “ello” ma da quello che finisce in “aia” e se oggi le grandi ( e le piccole) aziende vinicole italiane hanno ottenuto quote di mercato importanti nel mondo dovrebbero come minimo essere grati a quei piccoli-grandi produttori che, senza badare molto al “coniugare ottima qualità con ottimo prezzo” hanno fatto capire cosa può essere un grande vino italiano. Dietro a questo sono andate per il mondo milioni e milioni  di bottiglie di vini più o meno buoni ma tutti figli del brand (vede, sono marketing oriented pure io)” Italia, grande terra dove nascono grandi vini”.

 

E magari tanti enotecari e ristoranti nel mondo preferiscono il vino del piccolo produttore  non solo semplicemente perché  è più buono (anche se costa un euro in più) di quello del grande produttore, ma perché è più rispondente all’idea che loro hanno dell’Italia, di una terra dove dei contadini (ops, volevo dire produttori di vino) fanno dei vini buoni e spesso ottimi.

 

Lei a questo punto potrebbe dirmi che ci sono altrettanti ristoranti e enoteche, per non dire responsabili di grandi catene di distribuzione, che guardano al prezzo come prima cosa e anche questo è verissimo.

Vede? Senza volerlo siamo arrivati a definire in maniera molto generica i vari mercati per il vino italiano, quello più di nicchia e quello più portato verso i numeri e il prezzo. Entrambi sono importanti e complementari e spero  lei non voglia immaginare un futuro dove qualche “Grande Fratello del vino” gestisca in ogni fascia questo mercato.

 

Inoltre i piccoli, come lei sa bene, magari non si ricordano di mandare i campioni al sottoscritto, ma sono dotati di inventiva, brio, voglia di crescere e inoltre spesso si raggruppano in consorzi che riescono almeno in parte a sopperire a quelle “dimensioni aziendali” di cui lei parlava.

 

Ma non voglio dilungarmi più e per concludere confermo il fatto che sotto sotto, la capisco. Dopo una galoppata trionfale come quella che lei ha delineato nella sua Lectio Magistralis non si poteva che arrivare a vedere il mondo ed il futuro dal punto di vista del vincitore, di colui che traccia il solco dall’alto di una grande azienda e quindi si immagina, per crescere, aziende sempre più grandi. Forse è una visione un po’ miope e vagamente pretenziosa, ma pazienza.

 

Cordiali saluti

Carlo Macchi

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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  1. Dai dati pubblicati più volte su “I numeri del vino”, nel 1982 c’erano 1.6 milioni di viticoltori, ma nel 2010 sono scesi a 383mila, cioè circa un quarto. Nel frattempo, la superficie vitata italiana si è praticamente dimezzata, generando quindi il raddoppio della superficie media da 0.7 a 1.6 ettari per azienda. E’ raddoppiata la superficie media dei cosiddetti piccoli, segno che la scrematura, la decimazione, ha avuto dunque i suoi effetti in qualità  e prezzo, perché hanno riscosso successo fra il pubblico. Penso che il fenomeno di scrematura continuerà : oggi a fare un vino vendibile non possono essere dei dilettanti allo sbaraglio, anche se hanno ereditato delle vigne. Una precisazione: nel 1980 è stata una banda di 10 aziende a girare per il mondo a propagandare il vino italiano. A New York davanti a 600 giornalisti americani c’erano aziende grosse e medie, non piccole, che hanno girato per anni per tutto il mondo, contribuendo molto all’affermazione del made in Italy.

  2. Certo un Mario Rossi, produttore ,che so’, di Vernaccia di Serrapetrona o un Giuseppe Verdi produttore di Ruché raramente saranno chiamati a tenere Lectio Magistralis e quindi i fatti, la vita, i conti danno ragione a Zonin. Punto e basta ? No, perché dal basso del mio punto di vista debbo rilevare e – absit iniuria – che se, perlomeno da queste parti ,se chiedete non solo a normali consumatori, ma anche a tutti i cognoscenti del vino italiano, gli appassonati, gli italianofili sfegatati. nessuno vi tirerà¡ fuori il nome di un vino di Zonin. Ne’ come prima scelta, né come esempio di rossi tra i top venti. Quanto poi a chi del vino italiano non si interessa, meno che meno. Me lo sono chiesto anche io, il perché: conoscendo la potenza produttiva e la capacità¡ tecnologica della Casa. La risposta va forse cercata nella storia della stessa, ma andremmo fuori seminato e poi credo che anche se i riconoscimenti fanno piacere a tutti, il riconoscimento migliore per Zonin é, sarà¡ e deve essere sempre “laughing all the way to the bank”.

    Rimane il fatto che la forza sta nei numeri.Ma la cosa va intesa nei due versi. Da noi, in Italia, storia ed orografia, sono i tanti piccoli ruscelli fanno un grosso fiume. E c’é posto e bisogno per tutti. .Staremmo ancora al palo di partenza senza i piccoli, piccolissimi, individualisti, creativi, attivissimi che girano per il mondo e continuano con le loro venti, trenta, centomila bottiglie. Piccolo non solo é ancora bello, oggi é anche necessario. Proprio come alternativa di scelta e di proposta alle Yellow Tail, ai Gallo e presto anche ai megacinesi. Pari pari di come sono necessarii i Zonin. Piccoli e grandi si rivolgono a due mercati, sono due volti della nostra Italia vinicola e produttiva. C’é posto per tutti .

  3. ho fatto un sogno…..una bella cantina unica che produce 2 vini: si chiamano Italia Bianco e Italia Rosso docg-doc-vdp-igt-gpg-ccp….ma mi sa che forse era un incubo……
    e comunque Signor Zonin….se lei può permettersi certi inviti e certe affermazioni è semplicemente perché il vino di qualità  italiano nel mondo nasce in tante piccole cantine….dunque…non crede che un bel “GRAZIE” grosso come una casa se lo meriterebbero?

  4. la vita è bella poiché è varia, quindi viva la differenza, che non è contrapposizione, bensଠcomplementarietà , estensione, opportunità , in tutti i settori.
    Dopo 25 anni di attività  nel mondo del vino, da 15 mi occupo di turismo incoming enogastronomico in tutta Italia, integrando nei percorsi di conoscenza territoriali i grandi produttori/ristoratori (sia come immagine che come quantità ) ai piccoli (con immagine e piccoli numeri) agli esordienti (da scoprire).
    in questo modo l’ospite/turista/appassionato ha una visione completa, variegata, stimolante, molto molto apprezzata e appagante.
    Ognuno occupa uno spazio e lo presidia, come ritiene più opportuno e logico, nel rispetto dell’altrui medesima opzione, interpretata/vissuta diversamente.
    L’Italia è divenuta grande, resiste ed ha un futuro grazie a questa propria eccletticità  autoctona ed operativa. prosit

  5. e cosa dire allora di noi che ci sentiamo sereni anche se piccoli ?! e contenti che i nostri vini siano semplicemente l’autentica espressione delle nostre capacità 

  6. Gianni Zonin ha detto una cosa vera, che è la foto di un importante segmento di mercato. Per competere con i grandi produttori mondiali occorrono grandi produttori italiani. Esattissimo. Ma il mondo si globalizza sempre di più, e se da un lato la globalizzazione vuol dire Yellow Tail (che va contrastato con analoghi italiani) dall’altro nascono in centinaia di Paesi decine, migliaia o milioni di clienti che chiedono quello, ma anche altro. E la straordinaria ricchezza sta proprio nell’essere in grado di fornire la grande nicchia a disposizione di Zonin, ma anche tante, tantissime altre nicchie più piccole ma numerosissime che Zonin non potrà  mai soddisfare; non perché non ne è capace, ma solo perché non ha senso che lo faccia. E grazie alla sua straordinaria “biodiversità ” nell’offerta l’Italia è diventata leader del mercato vinicolo mondiale. Tutto questo ha limiti e difetti, ma è una realtà  plastica che si adatta ai mercati mutevoli molto più velocemente di tutti i nostri competitori mondiali. E’ verissimo che l’Australia ha tre produttori che valgono l’80% del mercato, ma è anche vero che da anni vive una crisi nera perché si è troppo specializzata, per cui non può essere velocemente reattiva. Ma il mondo cambia velocemente. Per cui credo che il discorso di Zonin meriti rispetto e interesse, ma debba essere preso per ciò che è ; una ottima analisi di una parte del mercato. Grande, ma solo una parte.

  7. Come ho già  accennato altrove, sul mercato 400.000 punti di vista rispetto a 80 punti di vista è una forza incredibile da esserne orgogliosi. Tra l’altro nei sistemi complessi (400.000) in caso di un qualsiasi stress lo si supera facilmente, mentre nei sistemi semplificati (80) gli eventuali stress si superano con gravissimi sacrifici di tantissimi.
    La mentalità  che Zonin ostenta nasce da un mondo accademico vicino a certi modelli finanziari che certo sono autoreferenziali e incravattati e migliorativi solo per pochi.

  8. Come ho già  accennato altrove, sul mercato 400.000 punti di vista rispetto a 80 punti di vista è una forza incredibile da esserne orgogliosi. Tra l’altro nei sistemi complessi (400.000) in caso di un qualsiasi stress lo si supera facilmente, mentre nei sistemi semplificati (80) gli eventuali stress si superano con gravissimi sacrifici di tantissimi.
    La mentalità  che Zonin ostenta nasce da un mondo accademico vicino a certi modelli finanziari che certo sono autoreferenziali e incravattati e migliorativi solo per pochi.

  9. Mi sembra uno di quei classici casi in cui uno dice una cosa riferita al suo campo (macroeconomia, grandi mercati, ecc.) che però risulta assolutamente offensiva vista da tutt’altra prospettiva. Anche se non credo che fosse l’intenzione denigratoria quella di Zonin nei confronti dei piccoli (sembra più una leggerezza di comunicazione, scritta per altro perché pare che i testi che girano siano quelli della lectio magistralis ma che il discorso orale sia stato differente) quanto quella della fotografia di una frantumazione realmente esistente. Che poi questa frantumazione sia cosa buona e giusta credo sia altro tema, condivisibile o meno, lଠmi pare però si parlasse di massimi sistemi o pressapoco.

    In ogni caso, a #vuu quest’anno parleremo di grandi aziende, per la precisione dell’esistenza (o meno) di un pregiudizio nei confronti delle grandi aziende quasi ogni sforzo che queste possano mettere in campo per migliorare non solo la percezione di sé ma concretamente anche il proprio operato possano in effetti agli occhi di molti risultare vani. E’ un altro tema ma molto affine e a mio avviso collegato, se il 21 giugno non avete grandissimi impegni forse può valere la pena partecipare, non ci sarà  soltanto Zonin:
    https://www.vinix.com/myDocDetail.php?ID=7900&lang=ita

    Un caro saluto, Filippo Ronco

  10. Queste frasi o pensieri mi lasciano sempre « esterrefatto » , e anche se mi do la zappa sui piedi
    non posso non reagire. Ovviamente anche se ne uso il nome non è un commento sulla persona che non consoco ma sul pensiero espresso in quella frase.
    Quando parlo di qualità  qui non intendo quella del vino, non mi sembra il problema, e lascio la scelta della qualità  organolettica al consumatore.

    Ma la differenza della visione della qualità  che hanno i matti che dicono piccolo è bello, dei rapporti umani, dei sforzi di protezione ambientale, e di bellezza ambientale e la visione che scaturisce dalla logica che ha il Sig. Zonin espressa in questa frase è abbissale

    X00.000 « piccoli produttori » contro 4 grandi aziende”¦.
    Intanto il piccolo produttore non lavora sui conti di scala perchè il risparmio o il costo è molto relativo, se perde mezza giornata a ripulire un fosso o a curare una siepe, se deve girare faccendo manovre incredibili per coltivare quell’angolino li”¦. nel suo reditto non cambia niente, per il sig Zonin cambia eccome, conviene avere grandi superfici, con meno siepi possibili, meno giri di trattore in fondo alle vigne, l’economia di scala in questo caso c’entra tutta, non gli conviene nemmeno tenere tanta gente al lavoro, meno manodopera c’è e più guadagna, sui miei 7 ha di vigna li basterebbe una persona fissa per coltivarla eppure siamo in 3 famiglie con bambini e nipoti a viverci.

    Mi si dirà  che devo tornare nella realtà  che io non conto, è vero nella visione dell’economia attuale, ma può esistere (esiste) un altra visione, e guarda caso, malgrado i Signori « Zonin » non so quale è la percentuale della popolazione mondiale che vive e mangia grazie alle piccole attività  ed il microcredito, certo I Signori « Zonin » viagiano dapertutto ma in una specie di bolla che non li fa incontrare il 99 % della popolazione mondiale.

    La loro visione è estremamente provinciale, di una provincia particolare, potente, diffusa ma esclusiva e con una poplazione limtata.

    Per cui la lotta per aiutare a far vivere i piccoli che si danno da fare da soli, ma che hanno bisogno di tutti è una lotta per il proprio benessere di tutti, un benessere qualitativo che non ha prezzo, sia per la cura dell’ambiente sia per il numero di persone che riescono ad avere una vita dignitosa, e questo non solo nell’agricoltura ovviamente. Piccolo è difficile nella logica di oggi, ma rimane piccolo è bello, e piccolo è possibile, e se si ha un minimo di coscienza mondiale rimane anche piccolo è la maggioranza”¦.

    Ma certo I dieci, venti”¦ 300 manager mondiali hanno una logica dove quello che conta è il prodotto, nel nostro caso il vino, ma non è tanto il vino che conta è la differenza tra costi di produzione e prezzo di vendita del vino che conta, per vendere di più devo abbassare il prezzo, per abbassare il prezzo devo diminuire I costi, per diminuire I costi devono essere in pochi a lavorare e devo risparmiare quanto più possibile sui costi ambientali.
    Allora dopo fatto tutto questo parlo di qualità Â !

    Non so voi, ma io qualche spazio per i matti fuori della realtà  come noi, continuo a vederlo possibile

  11. Ovviamente né il signor Luginbà¼hl né Gianni Zonin sono matti fuori dalla realtà , rappresentano solo due modi diversi di fare lo stesso mestiere. Che è quello di produrre vino e di venderlo. Due modi non incompatibili, perché insistono su mercati e tipologie di clienti diversi; questa è la ricchezza dell’Italia, che grazie a loro e a tanti altri tutti diversi tra di loro genera un’offerta incredibilmente diversificata e può saturare ogni nicchia di mercato esistente. Non credo abbia senso portare il discorso sulla morale, sul microcredito o sulla tutela delle balze, il nostro è un sistema complesso dove è proprio l’esistenza di chi è diverso da noi che permette a noi di esistere e prosperare.

  12. Se il mondo intero apprezza la qualità  dei nostri vini, si deve in primo luogo proprio ai piccoli produttori che si dannano l’anima proprio per raggiungere la qualità , l’unica cosa che possa differenziarli dall’industria del vino (che produce vini più o meno standard dal Piemonte alla Sicilia con l’unico obiettivo di contenere i costi ed essere quindi il più possibile competitive). Sono un broker di vini da oltre 25 anni…in giro per il mondo spesso mi chiedono vini di piccoli (e medi) produttori specifici interessati dalla loro qualità ….nessuno, invece, mi ha chiesto vini di Zonin…però mi chiedono vini di basso prezzo….e quando lo fanno a nessuno di loro interessa il marchio. Quindi lasciamo lavorare i piccoli produttori che con tanti sacrifici (vendono a prezzi più alti con profitti molto più bassi) portano il marchio Italia sempre più in alto a livello qualitativo e lasciamo l’industria del vino a ricoprire l’80% del segmento vino sfruttando l’immagine di qualità  che il piccolo produttore ha saputo creare..

  13. pienamente d’accordo con Carlo Macchi senza se e senza ma. Anzi sono proprio le piccole aziende vinicole che rendono il mondo enologico italiano molto interessante ed ancora umano, altro che produzione a livello industriale o controllato da pochi oligarchi, con tutto rispetto parlando …

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