L’Encomio del vino: ovvero da Noè ai giorni nostri in quaranta grammi4 min read

Capita che il lockdown mi rimetta fre le mani quest’opuscolo scritto un migliaio di anni fa, un convinto elogio del vino di cui i navigatori Winesurf non hanno certamente bisogno e che tuttavia riserva qualche interessante riga di lettura.

L’autore è Michele Psello, che visse a Bisanzio e dintorni guadagnandosi la fama di “erudito” coprendo vari ruoli: filosofo, docente universitario, giudice, funzionario politico, monaco. Fu soprattutto uno scrittore molto prolifico, e tra le altre cose ci è rimasto questo breve “Encomio del vino”. La parola “encomio” sembra perfetta per l’argomento, perchè l’etimologia greca la lega a “kòmos” (festa, celebrazione anche dionisiaca…).

Così in poche pagine trovo diversi spunti interessanti, come riferimenti enologici agli eroi della guerra di Troia, a Platone o a Noè. Riguardo a quest’ultimo, Psello sottolinea che il vino fu il primo regalo di Dio agli uomini dopo il diluvio, e contrappone la pianta di Adamo (il melo “rovinoso e mortifero” a quella di Noè (la vite “utile e generatrice di vita”).

Il nostro autore scrisse anche di medicina, ed eccolo vantare le virtù allo stesso tempo rilassanti e fortificanti del vino. Scrive argutamente sul suo abuso: “Non per l’ubriachezza il vino è da ritenere indegno. Infatti lo sarebbe anche il fuoco dal momento che, pur essendo il più perfetto degli elementi, brucia chi gli si avvicina troppo.” Da notare comunque che viveva in un’epoca più semplice della nostra, senza veicoli a motore come d’altra parte senza superalcolici. Leggiamo addirittura una definizione spietata dell’astemio, “idropico e demente”.

Ma le parole di Psello danno anche da riflettere a chi come me si occupa di degustazione. Cerca di sminuire l’importanza della vista nella soddisfazione gustativa: “È possibile vivere senza la vista, invece il venir meno di gusto e olfatto produce malattia e morte”. Nella seconda parte del testo, dove il tono è quello del racconto epistolare, veniamo coinvolti in una conversazione fra amici, attraverso le parole di un un personaggio autoinvitatosi a pranzo. Quasi quasi, sostiene quest’ultimo, potremmo far a meno anche dei denti perchè questo aumenterebbe la fluidità del vino al passaggio in bocca. Mancanza di riguardo, direi, dal momento che il vino che stavano bevendo era stato regalato da un’altra persona a cui Psello aveva curato un  dente. E poi su questo punto da assaggiatore di extravergine abituato allo “strippaggio” dell’olio non sono proprio d’accordo!

Qua e là affiorano le ambiguità di certi termini descrittivi, ancora oggi frequenti nel linguaggio. Il termine “dolce” per esempio: “Alcuni vini sono aromatici, altri invece sono dolci…(il tuo) vince i dolci con l’aroma e gli aromatici con la dolcezza”, come se fossero caratterisitche in antitesi (probabilmente non aveva mai assaggiato un Moscato di Samos).

Anche quella che, molto attuale, mi sembra la perla del libretto, riguarda la comunicazione. Ecco qua, dalle prime righe: “È giusto che mi rivolga a quanti trovano piacere non solo nelle bevande ma anche nelle parole affinchè si nutrano tanto del gusto del vino quanto anche dell’ascolto delle parole riguardo ad esso”. Sembra quasi di vedere il nostro Psello incollato allo schermo per un webinar condotto dal produttore di tendenza o dall’enologo di grido. Anticipò di mille anni quello che oggi appare normale, lo storytelling come abbinamento obbligatorio – e non solo al vino.

E a proposito di abbinamenti: “Ciò che è il sale per i cibi il vino lo è per gli altri alimenti”, diversi secoli prima del glutammato monosodico “esaltatore di sapidità”.

Il curatore e traduttore dal greco del testo, Lucio Coco, scrive un’introduzione sul personaggio, le fonti e l’epoca tutta. Tra l’altro ci dice che l’operetta di Psello appartiene a un genere “minore” ma piuttosto di moda in certe epoche passate, quello appunto degli encomi, di cui fornisce svariati esempi da parte di altri autori: tra quelli più sfiziosi gli encomi della pulce, del pappagallo, del rafano, del cavolo, delle cipolle, del cane, dell’ortica e della calvizie (quest’ultimo  particolarmente apprezzato dal sottoscritto). Ma veniamo a sapere che c’è pure chi scrisse gli encomi – ben più discutibili – della menzogna, della povertà e della morte.

Abbinamento consigliato per la lettura, quindi “da meditazione”: Commandaria di Cipro, leggenda enologica dall’isola che era tornata in mani bizantine (così come Creta, altro serbatoio di vino) poco tempo prima della nascita di Psello. Chissà che l’entusiasmo del nostro per il vino non abbia qualcosa a che fare con questi fatti storici e con le loro ricadute commerciali.

 

Michele Psello, Encomio del vino – Introduzione, traduzione e note a cura di Lucio Coco

Edizioni Leo Olschki 2018.

Costa solo 5 euro e pesa solo 40 grammi

 

 

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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