La mia Africa, ovvero il mio Sudafrica5 min read

In tutta la mia vita ho sognato l’Africa tre volte, due immaginando di andarci e l’altra desiderando di fuggirne via.

 

Avrò avuto all’incirca 6 anni quando posai i miei occhi sognanti di bambino sull’atlante illustrato La Vita Meravigliosa,  chi di voi se lo ricorda?

 

Per la prima volta potei vedere animali nemmeno immaginati, e stelle e pianeti e ogni meraviglia sino ad allora conosciuta della scienza e della tecnica, magnificamente illustrati. Quella fu la prima volta che desiderai vedere l’Africa in generale, la seconda fu nel 1994, quando aspiravo di poter vedere di persona il momento culminante della fine di un odiosa epoca di segregazione razziale. Le immagini dal Sud Africa giunte a noi dai media mi avevano commosso e desideravo toccare da vicino quel senso di libertà solo immaginato.

 

La terza invece fu, banalmente, per fuggire dagli assillanti venditori di parei e collanine della spiaggia di Malindi, dove capitai per un avverso scherzo del destino.

 

Quartum Datur! Evidentemente i sogni non hanno età, e forse non c’è età più eccitante e propizia al sogno di quella di un adulto, specie se ha tempo e mezzi per dargli forma e sostanza. Eccomi quindi in Africa, o meglio in Sud Africa, una sorta di Svizzera nel continente nero, ma anche una specie di Disneyland per un amante del vino. Un parco giochi pieno di attrazioni, dove chi entra si diverte in maniera spensierata e gioiosa.

 

Ma come in ogni parco giochi c’è chi si diverte e chi lavora; il bianco si diverte con il vino, assaggia, beve e chiacchera mentre il nero lavora anche se oggi, vivaddio, non sta sempre e solo dietro le quinte.

 

Per il mio Sud Africa wine tasting and exploration debbo ringraziare il Team di Enartis: Enrico Castellari, le sue colleghe Barbara Scotti ed Antoinette Greef che si occupano del Sud Africa e la Manager Lida Malandra, il cui nome mi ha aperto ogni porta possibile e immaginabile. Al contempo non posso certo biasimare il WOSA, Wine of South Africa, che alla richiesta di assistenza in loco si è defilato, in virtù del fatto che mancano risorse per la stampa italiana.

E’ chiaro e comprensibile che investire in comunicazione verso un paese che consuma dalle 13 alle 14 bottiglie di vino sudafricano all’anno non risulta profittevole.

 

Poco importa; girare per le cantine sudafricane è estremamente agevole e basta un’auto a noleggio, una carta stradale dettagliata e le idee chiare su dove andare. Per visualizzare l’area viticola più importante del Sud Africa, immaginate di avere sotto gli occhi la mappa del paese e di focalizzare la vostra attenzione sulla parte sud e sud-occidentale.

Partite dall’area chiamata Olifants River, sulla costa occidentale proprio di fronte alla St Helena Bay e tirate una diagonale verso sud-est in direzione Moosel Bay, in questo modo avrete circoscritto un’area al cui centro vi saranno le aree viticole del Capo; Paarl, Stellenbosch e Franschhoek.

 

E’ da qui che è partita, nella seconda metà del 1600, l’avventura vitivinicola del Sud Africa. Se da un lato furono gli olandesi della VOC, (Vereenigde Geoctroyeerde Oostindische) Compagnia Olandese delle Indie Orientali ad avere l’idea di coltivare viti e fare vino per smerciarlo agli equipaggi delle navi in rotta verso oriente e che si fermavano per riposare e rifornirsi, dall’altro spetta solo agli Ugonotti francesi il merito di aver portato le conoscenze viticole ed enologiche necessarie al loro sviluppo e consolidamento.

 

Oggi l’epicentro della tradizione ugonotta va collocato nella graziosa cittadina di Franschhoek, una cinquantina di chilometri da Stellenbosch, che è l’autentico cuore pulsante e storico del comparto enologico sudafricano. Una deliziosa cittadina universitaria, ideale non solo come campo base per le varie visite in cantina, ma perfetta per aggiungere alla parte eno-gastronomica anche un assaggio della ben conservata architettura coloniale olandese. Caso mai vi venisse voglia di fare un viaggetto colà, vi consiglio di cercare un alloggio presso una famiglia utilizzando, come abbiamo fatto noi, Airbnb. A fine giornata avrete l’opportunità di scambiare le vostre impressioni con il padrone di casa e carpirgli quelle informazioni, a volte anche gustosi pettegolezzi, che difficilmente troverete in un Hotel.

 

Dal punto di vista produttivo il Sud Africa, con i suoi 11 e passa milioni di Hl di vino prodotto, si gioca il quinto posto ogni anno con Australia, Cile e Argentina e con la Cina che tallona tutti da vicino, da molto vicino.

Dal 1994, anno di fine apartheid, e periodo utilizzato per ogni raffronto produttivo, le cose sono cambiate, almeno stante a quanto mi racconta Giorgio Dalla Cia, con cui ho avuto il piacere di pranzare e di parlare a lungo.

Nel 94 oltre l’80% del vino prodotto era bianco, nel 2012 la quota era scesa al 55% e, mentre il consumo interno è rimasto sostanzialmente stabile, la quota di export è aumentata di 10 volte. Segno evidente che la viticoltura sudafricana è quanto mai viva e dinamica e che l’immagine di paese principalmente produttore di vini imbottigliati di scarsa qualità è oramai un ricordo.

 

Tuttavia, la produzione di bulk wines (vini sfusi) riveste ancora un ruolo importante. A tal proposito vi segnalo, per chi fosse interessato, la più importante fiera del settore che si tiene ad Amsterdam il 20 e 21 Novembre prossimi con l’invitante head line “Genuine Wines, Global Business”.

Ma, viene spontaneo domandarsi, dove vanno a finire questi milioni di litri di vino? Tolta la consistente quota che i bianchi sudafricani medesimi si bevono, accidenti quanto bevono, circa il 50% finisce in UK, Germania e Russia e solo meno del 5% viene esportato nel resto dell’Africa, isole paradisiache incluse.

 

Per adesso basta. Armatevi  di un po’ di pazienza e aspettate il prossimo articolo per saperne di più su clima, vitigni, aziende e vini. Stay Tuned (state tonnati)

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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