La grandezza “semplificata” del Pinot Nero di Central Otago6 min read

Nuova Zelanda, sud estremo della nazione. Stessa latitudine della Patagonia.
Il luogo più fresco, per la varietà rossa più fresca e difficile.
Ma che risultati, stando agli assaggi da noi effettuati lunedi 17 settembre in quel di Londra.
E che peccato che questi vini non siano praticamente importati in Italia (almeno per quanto ci risulta – e ci piacerebbe molto essere smentiti).

Ma procediamo con ordine.
Negli anni 60 dell’Ottocento minatori provenienti da tutto il mondo arrivano nella regione, tra loro Jean Desire Feraud e Bladier, che piantano uva da vino e ottengono in breve tempo riconoscimenti per i vini che riescono ad produrre.
In definitiva però il loro lavoro purtroppo non riscuote proseliti, e così occorre aspettare altri 100 anni per assistere all’esplosione del Pinot Nero di Central Otago.

Regione fresca dicevamo, ma con estati calde e dalle forti escursioni anche nel periodo del solleone, ed autunni molto lunghi e soprattutto molto asciutti (vigne sane dunque).
Terreni poveri, ricchi di minerali ed estremamente drenanti. Ed un inquinamento atmosferico minimo, che i produttori neozelandesi sono convinti essere caratteristica fondamentale per la produzione di grandi vini.
Alla fine della degustazione eravamo allegri, di ottimo umore, eppure vi garantisco che abbiamo sputato tutto… Non lo abbiamo capito immediatamente, ma credo ci abbia sollevato di molto il morale la dimostrazione del fatto che il Pinot Nero, uva notoriamente “difficile”, possa davvero venire non dico degnamente, ma più che bene, anche in una regione che la Borgogna non la ricorda nemmeno lontanamente.

Come sono questi vini?

L’aspetto che maggiormente ci ha colpito è sicuramente la fragranza fruttata. Semplicemente favolosa.
Siete ancora convinti che i rossi del Nuovo Mondo siano ingabbiati sotto strati di vaniglia e cioccolato? Scordatevelo! L’apporto del legno qui è di una discrezione che si trova raramente anche in Borgogna.

L’altro aspetto  impressionante è la dolcezza e la setosità dei tannini, cosa davvero stupefacente se si pensa che la maggior parte di questi vini è ottenuta da piante giovani.
Evidente anche il filo conduttore che unisce tutte le bottiglie, di impostazione stilistica analoga, e buona anche la capacità di tenuta (i vini del 2003 assaggiati avevano mantenuto quasi intatta la fragranza olfattiva – incredibile!).

Molti dubbi invece sulla reale capacità di evolvere e migliorare nel medio e lungo termine: l’impressione è cioè che non ci sia bisogno di attenderli molto, allo stato attuale delle cose. Un grandezza “semplificata”, dunque. Detto questo, c’è anche da dare credito alle parole dei relatori che, in un “seminario” tenutosi durante la giornata di degustazione, si sono espressi con un’onestà e una franchezza che spereremmo di sentire anche da più produttori di casa nostra. Il discorso in breve è stato “Siamo giovani come zona vitivinicola e pienamente coscienti che c’è ancora molto lavoro da fare. Come noi, anche le nostre vigne devono ancora lavorare: la più vecchia in zona ha forse 18 anni. Il nostro discorso oggi qui è semplice, vi vogliamo dire: vi piacciono (adesso) i nostri vini? Beh, aspettate ancora qualche anno e vedrete cosa tireremo fuori”. Abbiamo assaggiato. Ci sono piaciuti. Gli crediamo.

Da ultimo, bisogna sottolineare che tutti i campioni assaggiati hanno mostrato una esecuzione tecnica impeccabile – e fin qui niente di nuovo quando si parla di Nuovo Mondo – ma anche una purezza sorprendente.
Niente marmellate, confetture, fruttati “medicinali” o simili. Di certo non possiamo escludere che esistano produttori che ricorrono a “scorciatoie enologiche”, ma l’impressione è che si tratti di un costume, se non inesistente, quantomeno secondario.

Gli assaggi più convincenti

Di seguito trovate i nostri migliori assaggi, ripartiti secondo una scala di merito molto “neozelandese”.

• Al limite andrei ad attaccar briga con un Maori pur di assaggiarne un bicchiere:

1. Central Otago Pinot Noir 2005 – Amisfield. Frutto “chiaroscurato” di eccellente definizione al naso, in bocca il lampone letteralmente esplode. Tannini di continuità e setosità magistrali.

2. Central Otago Pinot Noir 2005 – Mount Difficulty. Spaventoso l’ingresso olfattivo: il frutto selvatico del Pinot è ad un livello di chiarezza stellare. Naso fuori concorso. Il tannino è solo inizialmente asciutto, poi però allunga il vino per bene. Una sorta di Nuits St. George con la fragranza di un rosso della Loira.

 

• Al limite farei a braccio di ferro con un Maori pur di assaggiarne un bicchiere:

1. Central Otago Pinot Noir 2005 – Rippon. Frutta rossa e tè verde/felce al naso, tocco di funghi con ossigenazione. La lieve leggerezza strutturale è compensata da una notevole profondità gustativa.

2. Central Otago Pinot Noir 2005 – Wild Earth. Un vino molto compiuto e decisamente fine, cui manca solo qualche “cambio di ritmo” al palato.

3. Central Otago Pinot Noir 2005 – Nevis Bluff. Il tono cipriato dei profumi fa molto “Vecchio Mondo”, in bocca invece la buona freschezza lo fa vibrare il giusto. Finale profondo.

4. Central Otago Pinot Noir Estate Reserve 2005 – Kawarau. Soffice senza essere grasso né pesante, ha toni floreali molto belli al naso. Anche qui un tocco di complessità in più non guastava.

Due parole sulle altre varietà…

Che occupano un posto secondario nella viticoltura regionale (15% del totale).

• Il Sauvignon. Parlare di Nuova Zelanda senza parlare di Sauvignon è impossibile. Grandi intensità olfattive (non è una novità da queste parti), ma spesso i profumi del naso (frutta tropicale e pesche bianche a go go) in bocca non si ritrovano, lasciando spazio a toni erbacei molto più “freddi”. Che sia solo una caratteristica di terroir?

• Il Riesling. Il varietale di cedro, spezie e minerali è chiarissimo al naso, il gusto non è sempre secco, la piacevolezza è sempre garantita. Ma la mancanza della “frustata sapida” di fine bocca lascia ipotizzare che si tratti di bottiglie col fiato corto.

• Il Pinot Grigio. E’ interpretato – non abbiamo capito francamente se per scelta produttiva o per impossibilità di scelta – in maniera molto lineare. Scordatevi l’Alsazia. Il varietale di pera è affiancato spesso da toni erbacei, le note biscottate lasciano intendere lo sforzo di dare complessità tramite affinamenti sui lieviti. Ottima comunque la lunghezza. Giudizio spaccato in questo caso: lo stile “anoressico” è piaciuto ad Andrea, meno a Francesco.

• Il Gewurztraminer. Stesso identico discorso del Pinot Grigio, ma stavolta l’impressione è che si tratti di maturazione insufficiente. A Colmar e Termeno possono dormire sonni tranquilli…Ma a Beaune un po’ meno, dateci retta.

Per saperne di più:
www.centralotagopinot.co.nz
www.cowa.org.nz
www.centralotagowinemap.com

Francesco Annibali e Andrea Sturniolo

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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