La Cantina dei Vajra “It’s a family affair”8 min read

E’ il 1971 quando una funk&soul band californiana, gli Sly And The Family Stone, pubblica il singolo It’s a family affair.

Mentre sono in treno tornando a casa l’intro “It’s a family affair…It’s a family affair” mi riporta a 48 ore prima, al mio incontro con Francesca – seconda generazione Vajra – che mi accoglie con un sorriso cordiale e una pacatezza nei toni che scoprirò essere il marchio di famiglia.

Parliamo di vino e non solo, dei temi “tecnici” che avrò modo di approfondire con i fratelli Giuseppe e Isidoro e di famiglia, dove i protagonisti sono Milena e Aldo, ovvero la prima generazione di questa azienda.

Già perché la Cantina Vajra, che si trova poco fuori il paese di Barolo nei pressi del Castello della Volta e dell’incrocio per La Morra, non ha una storia super blasonata con almeno 6 o 7 generazioni alle spalle, come accade spesso nelle Langhe e nei luoghi simbolo della viticoltura mondiale del Vecchio Mondo.

A dirla tutta se non fosse stato per la testardaggine di Aldo nel mantenere la scelta di fare il viticoltore contro il volere dei genitori e l’amore di Milena per questa terra (e per Aldo), oggi Francesca sarebbe la figlia di un veterinario di Torino.

Una data simbolo è il 29 maggio 1986, quando una catastrofica grandinata devasta completamente i vigneti di proprietà. E’ il momento di fare una scelta: abbandonare tutto o ricominciare da zero.

Aldo e Milena decidono di resistere e contrattaccare. Iniziano a riscattare vigneti dislocati nelle Langhe, non solo per seguire lo stile storico di produzione del vino Barolo – frutto di tanti assemblaggi con uve da vigneti diversi – ma anche per limitare i danni delle annate avverse.

Giuseppe, primogenito, mi racconta delle origini della cantina, le intuizioni paterne – le selezioni a picciolo rosso sul Dolcetto  del 1979, la riscoperta del Freisa fermo nel 1980, il primo vigneto di Riesling Renano nella zona di Barolo realizzato nel 1985 – e la scelta consapevole di proseguire l’opera di papà Aldo, ovvero “il più moderno dei tradizionalisti”.

L’azienda, infatti, ha vissuto lo scontro enologico-generazionale tra i modernisti – i Barolo Boys che negli anni ’80 e ‘90 rivoluzionarono in buona parte  il modo di fare vino nelle Langhe, abbracciando nuove tecniche, come l’uso di barrique nuove, rese minori in vigna, valorizzazione del singolo vigneto – e i tradizionalisti, ferventi “no cru” per vini fatti da assemblaggi dei diversi vigneti e un uso storicizzato del legno grande.

Arriviamo ad un oggi, dove si lavora con un approccio che definirei “tradizionalismo attualizzato”, ovvero una modalità più consapevole e moderna di fare vino, dove imbottigliare con la luna calante si sposa con la svinatura fatta per gravità e un affinamento in botti da 50hl.

Efficace la metafora utilizzata da Giuseppe: “Quello fu a mio avviso un momento di frattura necessario per un’enologia locale che oggi dimostra di avere tutte le energie tipiche della giovinezza e la maturità di chi ha già vissuto la fase della ribellione adolescienziale”.

Giuseppe Vajra

Lo stile G.D. Vajra

Biologici dal 1971 – proprio l’anno di uscita di  It’s a family affair – ma in più Aldo introduce la pratica dell’inerbimento nelle vigne di papà Giuseppe Domenico (le cui iniziali sono nel nome dell’azienda) per preservare il suolo dall’erosione e rigenerarlo.

Negli anni successivi Aldo compie un percorso di studio, ricerca e sperimentazione che lo porterà a realizzare la sua idea per dei vini che fossero eleganti, raffinati e di notevole complessità.

Sui terreni di proprietà si lavora alla vigna con pochi ma inderogabili princìpi – selezioni massali, cura manuale e meticolosa dei vigneti, cernita maniacale delle uve raccolte – ed al recupero della biodiversità come lo studio sulla presenza delle farfalle impollinatrici e la realizzazione di boschi e stagni.

In cantina stesso approccio: niente timer o pompe enologiche automatiche, l’esame delle vasche in fase di vinificazione è fatto a vista senza l’uso di sensori.

Per i rossi si utilizzano vasche troncoconiche, disegnate in casa, a doppia parete per evitare lo schock termico da fermentazione e con un’apertura molto larga (come nei vecchi tini piemontesi) per favorire la manualità delle operazioni.

Il loro affinamento, in botte grande per la quasi totalità, viene svolto in un piano interrato per limitare gli sbalzi termici, la svinatura avviene per gravità evitando di “stressare” il vino e favorendo la conservazione della complessità aromatica delle uve.

I vini di G.D. Vajra

I vigneti principali si trovano nella zona “nevralgica” della denominazione, partendo da Bricco delle Viole, Fossati, Coste di Vergne e La Volta (tutti nel comune di Barolo), Ravera (a Novello) per finire con Bricco Bertone che invece è fuori DOCG nel comune di Sinio.

Vitigni a prevalenza autoctona, ovviamente, come Nebbiolo, Dolcetto, Barbera e Moscato con un paio di interessanti presenze internazionali come Riesling (vinificato in purezza) e Pinot Nero, quest’ultimo spumantizzato con il Nebbiolo in un rosé intrigante prodotto da uve del vigneto Nostra Signora della Neve a Roddino in Alta Langa.

 Si parte con un assaggio di Riesling Pètracine da uve provenenti da Fossati e Bricco Bertone, impiantate nel 1985 e vinificate dal 1991 come “Riesling delle Langhe” e successivamente, fino al 2011, “Langhe Bianco”. Oggi è Langhe Riesling “Pétracine”, per una produzione di circa 5.000 bottiglie.

Il nome deriverebbe da un antico sinonimo del vitigno che significa “radici nella pietra”, per sottolineare la capacità di queste viti di svilupparsi anche in terreni difficili come quelli rocciosi.

Due gli assaggi, il primo è un 2021 ancora giovanissimo, grasso e con preavalenza di aromi floreali e fruttati.

Il secondo è un 2015 davvero interessante, dove il processo di terziarizzazione inizia a rilasciare al naso la caratteristica nota di idrocarburo, seguita da sentori di agrumi e zenzero canditi per un sorso sapido, sorretto da una freschezza di grande impatto gustativo ed un finale pulito.

Barolo Bricco delle Viole 2018

Realizzato con le uve di uno dei vigneti più alti della zona di Barolo (497 mt.) è, a tutti gli effetti, il gonfalone della filosofia dei Vajra. L’esempio più nitido della elaborata e costante ricerca iniziata da Aldo 50 anni or sono e proseguita oggi dalla seconda generazione.

Il suolo è prettamente formato da Marne di Sant’Agata fossile, grigio-bluastre, ricche di carbonati di magnesio e manganese, miste a sabbia finissime, impregnate di una forte componente calcarea.

Ne scaturisce un vino elegante e di grande profondità. I suoi profumi sono ancora involuti, riservati ma dei quali è facile intuire la notevole progressione evolutiva.

La potenza del tannino è garbata, la forza dell’acidità è decisa ma non invadente per un gusto piacevole e perfettamente equilibrato.

Tipica lavorazione del Barolo con cappello sommerso e lunghe macerazioni. Un elegante e taciturno signore di campagna seduto sul Belvedere in attesa di godersi il tramonto.

Barolo Coste di Rose 2018

Qui i suoli cambiano e a tenere le fila sono le arenarie di Diano, sabbia così compatta da diventare roccia. Il vigneto è su una giacitura scoscesa che dal Bosco della Fava scende ripido verso il confine con Monforte.

Un naso dai grandi e intensi profumi di violetta e rosa canina, un sorso elegante, raffinato, leggermente più esile in bocca per via di un’annata fresca e piovosa che qui ha concesso una maturazione più lenta delle uve e un po’ meno struttura rispetto al Bricco delle Viole con il quale condivide la tecnica di vinificazione.

Vi è poi una coppia di vini che a mio avviso si inserisce nel quadro particolare che i Vajra hanno voluto realizzare, ovvero Dolcetto e Freisa.

Se nei primi vini assaggiati sono evidenti e marcate le eleganti e raffinate nuance pennellate da uomo e territorio qui invece prevale l’uomo e la sua volontà di preservare gelosamente un’identità e una tradizione.

Dolcetto Coste&Fossati® 2020

il Dolcetto è il vino del cuore degli anziani del posto, ovvero gli adolescenti del secondo dopoguerra.

Al tempo la Langa non dava ricchezze economiche, la meccanizzazione era un lusso e il Dolcetto poteva essere piantato e lavorato sui terreni migliori, le cime delle colline.

Grazie ad una selezione massale fatta nei primi anni ’80, Aldo recupera questo patrimonio viticolo e su due MGA di Barolo, Coste di Verna e Fossati, realizza il suo Dolcetto.

Vinificato come fosse un Barolo (cappello sommerso e lunga macerazione) ma senza uso del legno. Un tripudio di piccoli frutti rossi croccanti, sentori di sottobosco e una delicata nota selvatica per un profilo gustativo semplice ma scorrevole senza aderenze o inciampi e con il tipico finale ammandorlato.

Freisa Kyé® 2018

Quando negli anni recenti Anna Schneider e Vincenzo Gerbi hanno scoperto che la Freisa è probabilmente figlio del Nebbiolo (con il quale condivide il 58% del genoma) era ormai tardi per recuperare il tempo e lo spazio per quello che è stato il terzo vitigno più piantato in Piemonte ancora fino alla fine dell’800.

Vitigno difficile, scorbutico, dal profilo tannico spigoloso ma di grande personalità per vini forse di un’altra epoca.

Naso dal bel profilo selvatico e fruttato – fragola e lampone su tutti – con intense venature speziate.

Più difficile il sorso, sebbene si lavori in assenza di raspo e una malolattica completa, il profilo risulta ancora debordante nelle sue durezze.

Infine…

Scendendo dal treno di ritorno, mentre raggiungo l’uscita della stazione di Roma,  mi rendo conto che hanno ragione i Vajra quando per raccontare in poche parole il proprio lavoro utilizzano una celebre frase di Gustav Mahler:”La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”.
Poi aveva ragione Aldo quando decise di scartare la strada che lo avrebbe portato a realizzare vini muscolari e di grande impatto per perseguire quella meno altisonante (all’epoca) della eleganza, della finezza e complessità gusto-olfattiva.

E per ultimo, ma non meno importante, ha ragione anche Milena quando afferma che lavorare in famiglia “E’ il miglior gioco di squadra possibile purché si rispettino le doverose “distanze””.

Del resto qui dai Vajra il vino… It’s a familiy affair!

Andrea Donà
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