La Borgogna da “A” a “B”, cioè da Aligoté a Bouzeron8 min read

I produttori di Bouzeron sono oggi ben più numerosi del piccolo gruppo che formalizzò la propria istanza di riconoscimento dell’AOC. Sul sito recentemente rinnovato dedicato a questo vino (http://www.bouzeron-vins.com), ne sono presenti già quasi una trentina.

Il più grande di essi (24 ettari solo a Bouzeron)  è il Domaine Chanzy, che può essere considerato un colosso, con i suoi 80 ettari di vigna, di  40  diverse appellations, distribuite tra la Côte de Nuits,  la Côte de Beaune e la Côte Chalonnaise , nella quale è oggi il maggior produttore.

Con  sede a Bouzeron, terroir al quale ha dedicato particolare impegno, firma due cuvée: la prima di esse proviene dalle uve del Clos de la Fortune, l’unico monopole della denominazione, 3.75 ettari ottimamente esposti  nell’omonimo climat situato nel settore nord dell’appellation, che guarda verso  Chagny, vinificata in acciaio e parzialmente affinata in  fusti di legno. La seconda, che ho avuto di assaggiare recentemente, è Les Trois, che deve il suo nome al fatto che è   un assemblage di tre diversi climat, Les Clous, La Tournelle, rispettivamente a sud e a est de La Fortune, e Les Cordères nella sezione meridionale dell’appellation, una buona sintesi dei differenti terroirs di Bouzeron.

Una buona impressione mi ha suscitato anche il Bouzeron 2017 de Les Champs de Thémis, una giovane cantina (con vigne anche a Mercurey ed altre località della Côte Chalonnaise) nata appena nel 2014  per iniziativa di un  magistrato, appassionato di grandi Borgogna, Xavier Moissenet: Thémis era di fatti  la dea greca della giustizia, figlia di Gaia e Urano. In conversione bio, propone anch’esso due cuvées di Bouzeron, provenienti da due diversi climats: Le Clous, dal suolo più calcareo e molto ciottoloso, e Les Corcelles, più ricco di marne. Ho avuto modo di assaggiare solo il primo di essi  (agrumi, fiori bianchi, acidità piacevole, chiusura salina).

Tra i Bouzeron assaggiati recentemente è anche quello di un piccolo Domaine familiare, il Domaine Bonnet: solo tre vini, un bianco e un rosso dell’appellation régionale, e il Bouzeron. Quest’ultimo, un Bouzeron con buoni caratteri di tipicità,  riporta in etichetta il nome della vigna di provenienza, Le Clos sous le Bois. Il climat Sous le Bois, all’incirca nella zona centrale della denominazione, sale verso la Montagne de l’Ermitage, tra Les Clous e La Digoine, sul lato ovest di Bouzeron, ancora  molto boscoso, essendo le sue parti più elevate ricoperte di conifere, querce ed altri alberi.

Assaggi più veloci sono stati quelli del Bouzeron del Domaine L’Ecette di Vincent Daux, un piccolo Domaine di Rully, con parcelle a Bouzeron nel climat Les Corcelles e del Domaine Michel Briday, anch’esso di Rully, nel quale  Stéphane e Sandrine Briday  producono un piacevole Bouzeron (fiori d’acacia,limone, pietra focaia nella loro cuvée Axelle) .

Non fa parte dei produttori presenti sul sito, ma ho ugualmente  avuto modo di apprezzare il Bouzeron di un altro affidabile Domaine della vicina  Rully, quello di Pierre e Marie Jacqueson, che, accanto ad un più semplice Bourgogne aligoté, produce un Bouzeron AOC nel climat Les Cordères, da una parcella acquistata nel 2002 ma già vitata, dal 1937, in una posizione tra le più favorevoli. Quello  del 2014 é un Bouzeron classico, piacevolmente speziato, molto gourmand.

E al di fuori  del terroir di Bouzeron esistono aligoté degni di essere presi in considerazione? Alice Feiring, una fan dell’aligoté (2012, https://www.alicefeiring.com/files/aligot%C3%A9s-return.pdf) afferma di aver assaggiato  una delle ultime bottiglie di aligoté prodotte con le uve raccolte nelle parcelle di Corton-Charlemagne di Jean-Charles le Bault de la Morinière, proprietario del famoso Domaine Bonneau de Martray, leader della denominazione, prima che vendesse a Stan Kroenke (Arsenal  e Screaming Eagle). La Feiring aveva già assaggiato  in precedenza dei vecchi  aligoté sorprendenti, come il 1985 del Domaine Rapet o il 2002 di Jean-Marc Roulot , ma mai così vecchi. Si trattava infatti di in vino del 1964. Dieci anni dopo, nel 1974, il Domaine avrebbe definitivamente sacrificato i ceppi residui di aligoté, per reimpiantarvi chardonnay.

Sì, perché un  tempo l’aligoté era presente anche nei migliori terroirs della Borgogna:  la metà dei ceppi di Corton Charlemagne e di Musigny, presente persino nella parte alta di Chambertin, come  aveva testimoniato Laurent Ponsot alla Feiring. Il vino, scrive Alice Feiring, “was as compelling and profound as an old Corton, because it was an old Corton”: un bell’aroma di menta e caramello, profondo, potente, ancora fresco, con una limpida mineralità e un tocco delicato di miele. Dopo quasi 50 anni.

Ma, avendolo appena citato,  dobbiamo a questo punto parlare di una notevole eccezione, di uno straordinario aligoté, proprio del Domaine Ponsot, proveniente da vigne che non sono state espiantate, ma addirittura reimpiantate al posto di sua maestà chardonnay: un esempio, al momento unico,  di aligoté premier cru! E’ a Morey-Saint-Denis , dove il Domaine Ponsot produce un raro Morey-Saint-Denis blanc premier cru esclusivamente con uve aligoté . Un vino bianco sarebbe di per sé già un’autentica  rarità in quella zona, perché , nella Côte de Nuits, i bianchi non abbondano certo, anche se a Nuits-Saint-Georges, Vougeot, Marsannay e Fixin, oltre che naturalmente a Morey-Saint-Denis, se ne produce qualche migliaio di bottiglie nel mare di vini rossi.

Ma questo è un  vero unicum, in quanto  in nessun altro luogo della Borgogna, oltre a Bouzeron,   si produce un aligoté all’interno di una appellation communale, mentre in questo caso si tratta addirittura di un  premier cru, provenendo da un ettaro di una vigna di 2.5 ettari (il resto è a pinot noir), il Clos des Monts Luisants, nell’omonimo climat, la cui parte mediana è appunto  premier cru (e non si dimentichi che   una  porzione dei Monts Luisants  è  addirittura incorporata  nel Grand Cru Clos de la Roche) .

Che sia buono non ci sono dubbi. Allen Meadows, riconosciuto grande specialista dei vini della Borgogna, riferisce dell’assaggio (avvenuto nel  luglio 2014) di una bottiglia di questo vino, addirittura del ’61, da lui valutata 92/100. L’ aroma era quello di un  vino molto evoluto, ma senza alcuna traccia di ossidazione, ricco e complesso, ancora vibrante, con un naso sottilmente speziato, e una deliziosa chiusura salina.

Vale perciò  la pena di soffermarsi qualche istante sulla storia di questo vino eccezionale. Quando la fillossera distrusse il vigneto dell’intera Borgogna, i vignerons preferirono affidarsi al più ricercato e meno rischioso chardonnay,  sostituendo i ceppi di aligoté con  la varietà a bacca bianca destinata a diventare dominante. Tuttavia alcuni di essi decisero di conservare la tradizione, e fra questi, fu William Ponsot, il quale decise di ricostituire il Clos des Monts Luisants, monopole di quel Domaine, destinato alla produzione di un raro Morey-Saint-Denis bianco, ripiantandovi aligoté.

Questo avveniva nel 1911. Più avanti Hyppolite Ponsot  tentò di introdurre nel Clos, sotto i ceppi di aligoté,  una varietà molto particolare, che venne chiamata pinot Gouges, perché fu scoperta  in una vigna del Domaine  Henri Gouges, a Nuits-St.Georges: un pinot noir che, negli anni ’30, aveva subito una sorprendente mutazione, cominciando a produrre uve bianche al posto di quelle rosse. Gouges gliene aveva donato qualche pianta, riprodotta per greffage, e Ponsot,  le introdusse al posto di una vigna di pinot noir,  per circa il 15% della produzione.

L’esperimento durò fino al 1992, quando i ceppi furono sostituiti dal pinot nero (il Domaine vi produce oggi la sua Cuvée des Alouettes). Il figlio di Hyppolite, Jean-Marie Ponsot , negli anni ’50, aggiunse all’aligoté un 20% di chardonnay, ma quello che poteva sembrare il preludio di uno smantellamento della vecchia vigna di aligoté ebbe un esito del tutto inatteso: nel 2004, infatti, fu lo chardonnay ad essere definitivamente espiantato , perché il proprietario si convinse  che la varietà che esprimeva con maggior trasparenza il terroir di provenienza, fosse proprio il bistrattato aligoté.

Così oggi il bianco del Domaine è prodotto solo con l’aligoté piantato nel 1911.  Essendo stato questa vigna piantata prima del 1935, anno nel quale le fu attribuita la classificazione come premier cru dell’AOC, l’INAO ha dovuto mantenere tale riconoscimento .

Può apparire sorprendente  la motivazione in base alla quale Ponsot decise di sostituire lo chardonnay con l’aligoté: la sua maggiore sensibilità nell’esprimere il terroir, un argomento decisivo per un vigneron borgognone.

Assolutamente convinto di questo è anche Sylvain Pataille, il quale   produce, proprio per questo motivo, diverse cuvée di aligoté separatamente per lieu-dit. Pataille , grande interprete dei vini di Marsannay, è un autentico partigiano  dell’aligoté e un  esponente di punta  degli Aligoteurs, l’associazione costituita  lo scorso anno per riunire i produttori di aligoté di alta qualità, di cui sono membri già 50 Domaines dell’intera Borgogna.

Sylvain produce Bourgogne Aligoté dal 2002, da  un ettaro e mezzo circa di vigne tra i 50 e gli 80 anni di età: dapprima una sola cuvée di assemblage, poi, colpito dalla  singolarità dei loro vini, ha cominciato a imbottigliarli separatamente. La parcella più grande , di 0.8 ha., é nel lieu-dit Auvonne du Pépé, una vigna di 55 anni, con un suolo molto argilloso con alcune parti calcaree (goloso, con una mineralità cesellata). Poi tre altre parcelle, più piccole:  Champ Forey (0.3 ha., 55 anni), su un suolo calcareo,  ciottoloso (più affilato, note marine, di ostrica), La Charme aux Prêtres (0.3 ha., 65 anni), suolo prevalentemente calcareo con parti marnose, eccezionale per l’aligoté (agrumi, note d’erba, pietra bagnata), e infine il Clos du Roy  (0.2 ha., 80 anni), suoli rossicci per  la ricchezza di ferro,con uno strato inferiore di calcare gessoso,  molto ben drenati (notevole spinta acida, mineralità molto decisa).

Vi sono però ottimi Bourgogne Aligoté praticamente in  tutta la Borgogna, dalla Yonne al Mâconnais.  Ne parleremo  (senza pretesa di esaustività) nel prossimo articolo.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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