La bellussera: una “cattedrale” per il Raboso5 min read

Una “cattedrale di vite”, dove i tralci maritati alle piante di gelso si arrampicano, creando un particolare quanto suggestivo sistema di allevamento a raggiera: la bellussera.

Siamo alla fine del ‘700 quando i fratelli Bellussi di Tezze di Piave creano questa forma di allevamento per le viti dell’epoca, per rispondere alle esigenze della vigna in pianura e che ha contraddistinto per lungo tempo la campagna trevigiana.

L’esemplare che abbiamo ammirato a Tezze di Piave, accompagnati da Antonio Bonotto, è centenario, appartiene alla famiglia Roveda ed è legato alla produzione del  Raboso. Un tempo questo particolare vino era chiamato anche “rabioso”, cioè rabbioso, probabilmente, ma è solo un’ipotesi, per denotare il carattere deciso e spigoloso del vino.  

Bellussera

Inizia così il viaggio organizzato dal Consorzio Vini Venezia che, nato nel 2011, promuove e tutela cinque denominazioni: Doc Venezia, Doc Lison-Pramaggiore, Doc Piave e le Docg Lison e Malanotte del Piave.

Ad accoglierci è il direttore Stefano Quaggio, il presidente attualmente in carica è Giorgio Piazza, che ci illustra i progetti e gli studi sulle diverse varietà che hanno permesso al Consorzio di contare oltre 2.700 produttori, tra soci diretti e indiretti, per un’area che si estende dalla Pedemontana veneta alle isole della laguna veneziana, coprendo una superficie di circa 5.000 Km² e sviluppandosi quindi sulle due province di Treviso e Venezia.

Tra le varietà utilizzate, la Glera, il Tocai Friulano (ora Lison), il Refosco, il Manzoni Bianco, il Verduzzo, e lo storico Raboso del Piave. Quest’ultimo è stato protagonista di una degustazione organizzata nel borgo Malanotte, un piccolissimo borgo medievale a Tezze di Piave, il cui nome si lega indissolubilmente ad una delle Docg del Veneto: la Docg Malanotte del Piave.

Dunque non solo Pinot Grigio che è la varietà di punta del nord-est – costituendo in quest’area l’85% della produzione nazionale –  mentre tra gli internazionali sono maggiormente presenti Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e  Chardonnay. 

In questo percorso però mi sono concentrata sul Raboso del Piave, nella Docg Malanotte, vino “strong”, caratterizzato da un elevato livello di acidità e tannini. L’uva viene raccolta a novembre con un lento processo di disidratazione naturale in pianta, nonostante le nebbie e le basse temperature. Il vino ha ottenuto il riconoscimento ufficiale a Docg nel 2010.

Il Malanotte del Piave invecchia in cantina almeno tre anni (di cui dodici mesi in botte e quattro mesi in bottiglia) per giungere al caratteristico colore rosso granato con riflessi violacei, con un intenso e avvolgente profumo di ciliegia marasca matura, frutti rossi e note di tabacco, cacao, vaniglia e spezie.

La prima annata in commercio è stata la 2008 e i 25 produttori associati al consorzio non producono più di 60.000 bottiglie l’anno.

Andiamo alla degustazione:  sei vini di Malanotte Piave Docg a base di Raboso del Piave 100% e con il magico gioco del parziale appassimento delle uve.  La zona di produzione ricade sul territorio di media-bassa pianura lungo il corso del Piave, ed è caratterizzata da un clima tipicamente temperato, con estati calde e inverni mai troppo freddi.

Il vino si presenta dal colore rosso rubino intenso con una spalla acida e una trama tannica che lo rendono ideale per l’invecchiamento. Al naso i profumi sono inconfondibili con confettura di prugna e mora, note di china. Un sorso austero di buona freschezza e dal tannino geometrico.

Le annate come la 2017 presentano sentori di macerazione vicini alla gelatina di prugna, note di ciliegia, lievi spezie dolci come il cardamomo ma anche chiodo di garofano.

Mi sento di segnalare tre Malanotte DOCG.

Bonotto delle Tezze 2018: frutti neri, sentori balsamici e di spezie con un richiamo alla liquirizia, tannino elegante, sorso lungo con un bel finale.

Antonio Facchin 2011: il 30% delle uve viene lasciato in appassimento, note di fieno e spezie dolci, finale lungo e abbastanza rotondo.

Cantina De Pra 2015:  riflessi leggermente granati, profumi di mora di rovo e prugna con sentori floreali di viola. In bocca si impone l’aroma di china con una nota di rabarbaro, di grande struttura con tannini avvolgenti.

E’ stato piacevole visitare, sia in barca che in e-bike, il territorio su cui si estende la tutela del Consorzio,  vasto e caratterizzato dalla presenza dei corsi d’acqua, le antiche vie commerciali e di spostamento dei veneziani: prima la discesa in barchino elettrico con arrivo a Santa Maria del Piave e poi in e-bike alla scoperta della Piave vecchia e delle barene, ovvero il percorso finale originale della Piave.  

Abbiamo conosciuto anche tre giovani produttori della Doc Piave, denominazione riconosciuta ufficialmente nel 1971 e anche questa caratterizzata dal Raboso: Riccardo Bonotto dell’Azienda agricola Bonotto Giorgio, Ylenia Sandre dell’Azienda agricola Sandre e Andrea Battaglini dell’Azienda agricola Villa Valonte, che hanno presentato i Raboso delle loro aziende abbinato ad un menù a base di soppressa veneta, casatella e polenta, faraona al forno con salsa peverada e formaggi locali, dimostrando come questo vino possa essere anche molto gastronomico.

I tre vini presentati,  tutti di  elevata struttura, avevano in comune un color rosso rubino molto intenso, un bouquet ampio e pieno che ricorda le violette e la frutta rossa e naturalmente tannini importanti.

Francesca Pinochi
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