Isonzo Friulano La Vila 2011-2012-2017 Lis Neris: quando l’Isonzo e il tempo sono galantuomini6 min read

C’è un motivo preciso perché ho scritto quest’articolo ma ve lo dirò più avanti. Intanto partiamo parlando di “non” colline.

Anche se Bordeaux è tutto fuorché in collina, le colline borgognone sono dei bassotti travestiti da colline, tante zone del Nuovo Mondo enoico (penso ad Australia e Nuova Zelanda) si estendono in pianori al massimo vallonati, per un produttore ma soprattutto per un appassionato il concetto di collina è alla base per produrre qualità. Per questo le prime parole che trovi sul sito internet di Lis Neris, la cantina di Alvaro Pecorari, potrebbero lasciarti interdetto: “I vigneti Lis Neris crescono nella Valle del fiume Isonzo”. Già qui tanta bella poesia enoica sulla collina va a farsi benedire, ma i luoghi comuni, quando si parla di Alvaro Pecorari e dei suoi vini devono essere messi da parte.

Ma non va messo da parte invece il concetto di fiume Isonzo, perché i terreni di questa valle hanno una caratteristica “fluviale, cioè sono più o meno formati da ciottoli, quelli belli levigati che un fiume crea e porta con sé.  A Châteauneuf-du-Pape li chiamano “galets” e come in quel famoso territorio sono sia superficiali che mescolati nel suolo a sabbie e a argille. Quindi siamo di fronte a terreni fortemente drenanti ma questi ciottoli servono (anche se in questi anni ne sentiamo meno il bisogno) pure a mantenere il calore diurno e ridistribuirlo nella notte. Quindi terreni dove l’acqua scivola via velocemente ma il calore estivo rimane fanno pensare a vini grassi e corposi, come appunto quelli nel sud della valle del Rodano. Però ci sono i venti e le montagne vicine che rendono spesso fresca questa valle, ed ecco nascere dall’unione di queste componenti il fatto che i vini dell’Isonzo e in particolare quelli di Alvaro Pecorari sposano sia corpo che eleganza, sia potenza aromatica che finezza.

La Valle dell’Isonzo con alle spalle colline e montagne

Ma per averte tutto questo c’è un prezzo da pagare, si deve aspettare: non mesi, anni.

I vini di Lis Neris infatti mi sono sembrati più volte vecchi da giovani (perché inespressi al naso e chiusi al palato) e giovani da vecchi, quando tutto quello che il terroir e Alvaro gli hanno messo dentro si esprime con notevole forza e compita eleganza.

E veniamo così al motivo dell’articolo: in Friuli per gli assaggi della nostra guida, specie se si parla di vini bianchi, normalmente i produttori inviano l’ultima annata prodotta di ogni vino e magari una “riserva” di due- tre anni.

Alvaro segue altre strade e anche quest’anno ci ha sorpreso inviando, assieme ad un vino giovane  il Friulano La Vila delle annate 2017-2012-2011. Il bello è che dopo averli assaggiati bendati ci siamo accorti che  tutte e tre le annate le avevamo assaggiate qualche o diversi anni fa, e dato che per regolamento interno non possiamo ripubblicare la degustazione dello stesso vino non sapevamo che fare. C’è anche da dire che avevano ottenuto grandi punteggi, nettamente superiori a quando li avevamo assaggiati da “giovani”.

Così ho pensato di usarli per scrivere un articolo su quanto sia strano ma bello approcciarsi ai vini di Alvaro, che da giovani hanno la sua timidezza ma nascondono anche la sua tenacia che viene fuori dopo 10-20-25 anni. Poi il Friulano è per me il vitigno che rappresenta di più questa regione, con la sua pacata morbidezza che però nasconde nerbo e freschezza, con i suoi profumi fini, eleganti e mai aggressivi e ridondanti

Alvaro Pecorari

In una terra, il Friuli, famosa per vini giovani e che ha purtroppo visto anni fa sfiorire un progetto (Superwhites) su vini longevi, alcuni bianchi di Alvaro, e La Vila è tra questi,  occupano un posto ben preciso perché puntano a privilegiare le caratteristiche particolari di un territorio attraverso non tanto il vitigno ma i terreni, la mano dell’uomo e le lunghe maturazioni in bottiglia. Sono vini che spesso vengono assaggiati e quasi vivisezionati perché in effetti hanno notevole complessità, scordando però quella che per me è la loro caratteristica principale, sono semplicemente molto, molto buoni ed è un vero piacere berli.

Lo stesso piacere che abbiamo provato assaggiando La Vila 2017, 2012 e 2011.

Ve li presento prendendo a prestito dal sito di Lis Neris le brevi presentazioni dell’annata e aggiungendo alcune brevi note di confronto tra quando l’avevamo assaggiati la prima volta e oggi.

 2017

In primavera, ad un germogliamento precoce, è seguito un periodo freddo che ha lasciato il segno sui vitigni più precoci come lo Chardonnay. Durante l’estate le viti hanno reagito grazie all’alternarsi di ondate di calore e periodi più freschi. Per il vigneto non è stata una stagione ideale, anche se la vendemmia ben distribuita ha riportato la fiducia.

Le belle e giuste osservazioni di Alvaro non nascondono quella che è stata una delle annate più difficili di questo giovane secolo: non per niente quando l’assaggiamo la prima volta cinque anni fa avevamo trovato un naso  con ancora il legno fuori squadra nonostante bei profumi floreali e una bocca poco espressa e leggermente amarognola. Oggi invece la nota di legno è scomparsa ma è rimasto il floreale affiancato da fresche  note minerali. In bocca si è aperto e ha messo in campo sapidità e notevole potenza. Non sembra un vino da annata caldissima.

2012

Un’annata segnata da gelate tardive e dal caldo intenso di agosto. La raccolta ha avuto tempi lunghi, per la diversità di maturazione fra i vigneti. L’anima settentrionale dei vini è garantita da eleganza e sapidità per i bianchi.

In realtà il 2012 ci era piaciuto anche 11 anni fa: l’avevamo trovato con la classicità del Friulano che punta a aromi di menta, anice, timo e leggermente vegetali e un corpo rotondo, burroso, pieno. In più adesso ha sviluppato molto aromaticità floreali mantenendo la nota burrosa sia in bocca che al palato dove la potenza e la dinamicità si uniscono per portare una notevole armonia.

2011

L’estate calda ha accelerato il processo di maturazione. La raccolta, iniziata alla fine di agosto, si è prolungata durante tutto il mese di settembre. I vini bianchi dispongono di una struttura superiore con profumi ampi e avvolgenti.

Dodici anni fa avevamo trovato un legno ben dosato ma ancora coprente e un corpo promettente ma ancora compresso, oggi invece ha mostrato un naso quasi esplosivo dove ancora si sentono benissimo la frutta matura (pesca) i fiori (gelsomino) e note minerali. La bocca è equilibrata ma non ha l’austerità conferita da annate fresche. Ma è il naso quello che ci ha lasciati a bocca aperta perché unisce la freschezza di un vino giovane a l’austera complessità di un vino maturo.

Chiudo dicendo che questa specie di degustazione a distanza di anni è servita per ribadire a noi stessi una regola ferrea : il vino col tempo cambia sempre, quello buono migliora e spesso ti sorprende.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE