In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.
Le Colline Teramane sono una porzione di Abruzzo di grande bellezza, dove l’intreccio tra uomo, natura e tempo ha origini antiche. Come la storia della viticoltura di questo territorio che, per sua natura, ha l’attitudine a creare vini profondi e scalpitanti, di grande identità, immediatezza ed eleganza.
L’area di produzione abbraccia l’intera collina litoranea ed interna della provincia di Teramo ed è caratterizzata, a est, da ampie colline che scivolano verso il mare Adriatico e dalla presenza imponente del Gran Sasso e dei Monti della Laga, a nord–ovest.
In questi luoghi da cartolina, tra brezze di mare e di montagna e terreni di natura argillo-limosa, il Montepulciano trova un habitat assolutamente unico e di questo, fortunatamente, se ne sono accorti anche i vignaioli locali che, nel corso del tempo, hanno fatto scelte di preservazione del territorio grazie, ad esempio, all’uso di pratiche agricole improntate alla sostenibilità ambientale, visto che oltre il 70% delle aziende opera in regimi di qualità certificata come il Biologico, la Lotta integrata, la Biodinamica, etc.
Faraone, nel territorio delle Colline Teramane, è sicuramente una delle aziende storiche visto che già dal 1930 ha iniziato coltivando passerina, sangiovese e, ovviamente, montepulciano, che ha iniziato a imbottigliare e commercializzare solo a partire dagli anni ’70 assieme a Trebbiano di Abruzzo e Cerasuolo d’Abruzzo.
Non è difficile, se si cerca bene soprattutto all’interno delle enoteche della zona, imbattersi in qualche vecchia annata di Montepulciano di Abruzzo di Faraone che ha nel Santa Maria dell’Arco il suo fiore all’occhiello, essendo il rosso di punta dell’azienda agricola da sempre. Il nome prende ispirazione da una vecchia cappella dove un tempo, nei primi anni ’90, l’azienda possedeva dei vigneti. Oggi il nome è rimasto per contrassegnare i vini di riserva aziendale sia di Montepulciano (DOCG) che Trebbiano e nello specifico le uve provengono dalla particella più alta del vigneto di Collepietro caratterizzato da terreno sabbioso e ciottoloso con esposizione sud\est.
Il millesimo 2006 che ho bevuto a casa di amici non fa altro che confermare la grande capacità di evoluzione del Montepulciano d’Abruzzo che, come scritto in precedenza, grazie alle specificità tipiche del terroir delle Colline Teramane non si rivela il classico “vinone” tutto muscoli e scarsa beva. Anzi, questo Santa Maria dell’Arco svela un lato di sé decisamente leggiadro e affascinante grazie ad un naso profondono dove iodio, sensazioni agrumate ed erbe medicinali creano un mix aromatico di invidiabile territorialità. Al sorso l’acidità, quasi agrumata, è ancora sugli scudi tanto da prevalere sulla presenza tannica e, in generale, sulla sostanza di questo Montepulciano ancora vivo, affilato e dalla generosa scia sapida finale. Diciassette anni e non sentirli!