InvecchiatIGP: Latour a Civitella 2005, Sergio Mottura: quando l’uva si ricorda benissimo dell’annata3 min read

In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.

 

Le caratteristiche dei vini di Sergio Mottura si possono capire da lontano, diciamo almeno 30/40 metri. Questa è infatti, più o meno, la distanza della cantina storica dall’arco austero, granitico, che non permette ad auto inutilmente larghe di accedere alla piazza dove si trova non solo l’azienda ma anche il loro agriturismo.

Infatti i vini di Mottura non sono certo larghi. Sono fini,  eleganti, in qualche caso austeri, sicuramente granitici nell’affrontare il tempo e potrei andare avanti con molte altre belle caratteristiche.

Lo abbiamo scoperto nell’ incontro in cui Giuseppe Mottura, figlio di Sergio, ci ha fatto fare un viaggio all’indietro nei suoi vini e nella loro idea di vino, culminato con un Latour a Civitella del 2005.

La loro idea di vino coincide praticamente con un vitigno, il grechetto, che nei terreni attorno a Civitella d’Agliano ha trovato forse la sua massima espressione.

Tutti conoscono la storia del nome del vino bianco più importante della cantina (del lazio e non solo…)  e quindi non starò a ripeterla, ma uno spunto va preso perché la vinificazione del La tour a Civitella è sempre stata la stessa: fermentazione in acciaio fino ad una certa gradazione alcolica e poi messo in barrique (di Latour naturalmente) per la parte terminale . Un cambiamento però c’è stato e cioè la diminuzione del tempo di permanenza in legno. Con il 2020 siamo a circa 12 mesi ma questo 2005 ne ha fatti sicuramente molti di più.

Capisco che voi adesso vorreste sapere qualcosa sul vino, ma servirà ancora qualche attimo di pazienza per inquadrare meglio una degustazione che ha messo in campo quasi tutte le annate importanti (non ho detto migliori, sarebbe stato troppo facile) degli ultimi 15/20 anni. Quello che ne è uscito è un preciso filo conduttore (di cui parleremo diffusamente per il Club Winesurf tra qualche giorno) che dal 2020 del Latour  a Civitella, attraversando gli altri bianchi aziendali (cioè  l’Orvieto Tragugnano e il Poggio della Costa) ci porta fino a questo 2005 che, tra l’altro è sicuramente il bianco italiano dotato di tappo stelvin  più vecchio che io abbia bevuto.

Ultima annotazione prima di entrare nel bicchiere su una meravigliosa frase di Giuseppe “L’uva si ricorda sempre dell’annata e se ne ricorda meglio dopo anni”

E la 2005 è stata un’annata che a me e a Giuseppe è sempre piaciuta molto. Punta più sull’equilibrio che sulla potenza, è certamente una vendemmia considerata allora inferiore a molte. Una “piccola differenza” sulla valutazione della vendemmia:  Giuseppe parlava dei bianchi mentre io, come penso la stragrande maggioranza di chi ci legge pensa, anche senza volerlo, alle vendemmie dal punto di vista dei vini rossi. Una pecca a cui dovremmo metter mano.

Ma alla fine questo 2005 è nel bicchiere: il colore è giovanile, un paglierino intenso e brillante. Per Il naso occorre usare una parola non di moda: minerale. Infatti la pietra focaia è ben presente sin da subito, accanto a fiori di campo e ad erbe officinali. Naso austero e quasi ritroso, ma che in pochi minuti ti conquista. Però è la bocca ad essere incredibile: intanto l’eleganza e la “rettitudine gustativa” dei vini di Mottura qui si esalta. Il vino ha croccante freschezza (frase rubata a Giuseppe), finezza e una struttura che lo porta ad una lunghezza gustativa incredibile, senza cedere di un millimetro.

L’uva del 2005 si è ricordata benissimo delle sue caratteristiche e adesso le esalta, dopo 17 anni, periodo importante anche per la stragrande maggioranza dei vini rossi, italiani e non.

Questo non è stato solo un assaggio di un grande vino, è stato un insegnamento per me e per tutti quelli che stentano a credere alla possibilità di fare grandi bianchi da invecchiamento in ogni parte d’Italia.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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