In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.
Per un certo periodo sono stato in bilico tra preferire l’olio o i vini di Mila Vuolo, vignaiola salernitana che da alcuni anni presenta i suoi prodotti a Terre di Vite.
Poi mi sono reso conto che certe derive mentali me le potevo risparmiare, poiché quei due frutti della terra così diversi, raccontano lo stesso linguaggio, sono figli della stessa mano e quando li assaggi te ne rendi subito conto.
Mila Vuolo ha iniziato a produrre vino con l’annata 2003, la prima veramente siccitosa e difficile da gestire, tanto più con piante davvero giovani. Per primo arrivò l’aglianico, poi il fiano, sotto il controllo dell’enologo Guido Busatto; erano tempi in cui regnava ancora la concezione del rosso opulento, carico di colore e intenso nel gusto. C’è da dire, però, che già il Montevetrano di Silvia Imparato aveva dimostrato ampiamente che si può fare un vino corposo ma anche elegante, facendo da apripista nel territorio cilentano e non solo (anche se in questo caso l’aglianico era presente all’inizio per il 30%, affiancato dal cabernet sauvignon al 70%, in seguito ridotto al 10% per fare spazio a un 20% di merlot).
Mila ha scelto da subito la strada del monovitigno, concentrando l’attenzione sull’aglianico, cercando di farlo emergere con le proprie caratteristiche e lavorando per renderlo il più possibile armonico.
La versione 2010, prodotta in soli 6200 esemplari, mostra un pedigree ancora integro, i 14 anni dalla vendemmia non svelano cedimenti preoccupanti, è un aglianico aperto, dal colore granato di buona intensità e dal bouquet che rivela un frutto maturo ben sorretto dall’acidità e da un tannino perfettamente integrato. Narra di prugna e tabacco scuro, cuoio, viole macerate, un velo di carne affumicata, tracce agrumate, in un contesto vivo che si schiude con decisione man mano che si ossigena nel calice.
Impressionante la freschezza che restituisce, una vena balsamica che cancella qualsiasi pesantezza al sorso, lasciando una sensazione ariosa, una bellissima interpretazione del più noto vitigno a bacca rossa campano. Da goderselo con dei saporiti fusilli alla cilentana.